La vera assente nel confronto elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo è stata – non sembri un paradosso – proprio l’Europa. Dei destini del nostro Continente non si è parlato. Della sua collocazione geopolitica non un cenno. Della sua proiezione mediterranea neppure. Di politiche sociali non pare interessare ai più.

Al fondo di tutto sta il non detto sulle radici della vera Europa. Ci si occupa solo di un’Unione parcellizzata nei suoi parametri economici, divisa dai suoi piccoli egoismi, sfibrata dagli spread e dalle percentuali finanziarie, priva di quelle parole d’avvenire, che nascono dalla consapevolezza di una spiritualità condivisa.

Manca ancora verso l’Europa quell’amore carnale, concreto, patriottico, evocato da Pierre Drieu La Rochelle negli anni terribili dell’ultima guerra fratricida. Manca l’orgoglio per quei “gioielli” culturali che ne hanno fatto e ancora ne fanno la grandezza, oltre ogni piccola visione economicistica: l’Europa olimpica e dorica, protesa, da Capo Sounion, per farsi abbracciare dal Mediterraneo, Madre antica che non teme le notti glaciali, certa, nell’attesa, che la luce tornerà a irradiarla. Europa di templi e di dei, romana e imperiale, audace e guerriera. Cervello socratico e cuore cristiano – come scrisse un grande europeista spagnolo (Salvador de Madariaga). Capace di specchiarsi nei vetri delle sue cattedrali, segno d’una epoca splendente d’oro, d’argento, d’azzurro, di rossi e di verdi, fiammeggiante – per dirla con l’indimenticabile Drieu – sui portali delle chiese, nei saloni dei castelli, nelle case dei borghesi e dei fattori.

Europa d’incunaboli e di immaginazioni futuriste, nel lungo rosario di genialità artistiche, scientifiche, drammaturgiche. Europa del lavoro e del diritto, capace di farsi esempio di civiltà. Eravamo, siamo diversi? Certamente, ma nel senso indicato da José Ortega y Gasset: “perché una Nazione esista è sufficiente che essa abbia coscienza del suo esistere”. E allora un’Europa, cosciente del proprio ruolo, avrebbe potuto essere, integralmente, organicamente se stessa, se avesse pensato meno a farsi strumento burocratico, orizzonte codificato entro cui morire d’inedia, coltivando i piccoli spazi della quotidianità.

A saperla guardare l’Europa vera, che attende di prendere coscienza, continua a splendere fiammeggiante, come sugli antichi portali e da lì bisognerà ripartire per trovare quelle visioni geopolitiche, mediterranee, sociali e culturali, che oggi mancano. A questa Europa, malgrado tutto, ancora si può credere. Ben oltre gli appuntamenti elettorali.

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