Il presidente russo Vladimir Putin ha partecipato a distanza al Forum annuale di Davos, che si è svolto dal 25 al 29 gennaio 2021. Quest’anno il principale argomento di discussione è stata la nuova situazione globale al tempo della pandemia da coronavirus. Il discorso di Putin non è stato affatto banale, generico o di circostanza. Il presidente russo ha ribadito i suoi già numerosi appelli alla cooperazione internazionale per risolvere i problemi più gravi, come il problema dell’ampliamento delle disuguaglianze sociali nel mondo, ed evitare che le tensioni da esse create diventino un fattore permanente di instabilità e di conflitto.
Ha parlato altresì dei pericoli sociali del passaggio alla robotica e della diffusione dell’automazione, nonché del peso eccessivo di alcune grandi compagnie tecnologiche nella vita politica degli Stati. Ha ribadito la necessità del multilaterialismo nelle relazioni internazionali, il ruolo di stabilizzazione e pacificazione svolto dalla Russia in varie regioni del pianeta e, soprattutto, ha fatto l’affermazione più importante, una vera e propria sfida al liberismo e al dirigismo autoritario: “l’uomo non deve essere un mezzo, ma un fine dell’economia”. Ha ribadito la necessità di invertire la folle corsa all’accrescimento e alla ricchezza personale di pochi uomini.
È stato, come per altri versi quelli pronunciati a Valdai nel 2013, 2014 e 2017, un discorso storico per la sua concretezza, la sua distanza dal mainstream obbligato occidentale e soprattutto per la denuncia del ruolo improprio ed abnorme assunto dalle multinazionali tecnologiche, il “partito di Silicon Valley”, nonché per aver ulteriormente denunciato l’unilateralismo, ossia il mondialismo, ed aver confermato l’importanza che la Russia attribuisce ai principi impropriamente detti “tradizionali”, che noi preferiamo chiamare valori permanenti: legge naturale, famiglia, persistenza delle identità nazionali, libertà di pensiero. Ha accennato all’urgenza di affrontare la crisi demografica di intere nazioni.
Il suo è stato un importante appello di concreto anti-liberismo e di rivendicazione della ricerca del bene comune, contro le distorsioni neoliberiste dell’ideologia economica e finanziaria del cosiddetto Washington Consensus. Ci piace ricordare un passaggio cruciale in cui Putin afferma che il mondo non può intraprendere la strada della costruzione di un’economia che funzioni per un milione di persone. Parole di grande coraggio e di esemplare chiarezza anche sulle sfide legate alla tutela dell’ambiente; in generale, un refolo d’aria fresca nel clima mefitico del cosiddetto Grande Reset e dell’attacco alle libertà quotidiane da parte della nuova dittatura tecnologica.
Per questo, ci è sembrato utile proporre integralmente il discorso di Vladimir Putin largamente ignorato dal sistema di comunicazione occidentale, davanti al Forum Economico Mondiale, il “partito di Davos”, vetrina del liberismo mondialista, motore del Reset.
Discorso di Vladimir Putin al Forum di Davos 2021
Caro signor Schwab, caro Klaus! Cari colleghi!
Ho partecipato a molti eventi organizzati dal signor Schwab negli anni 90. Klaus ha appena ricordato che ci siamo incontrati nel 1992. Durante il mio lavoro a San Pietroburgo, ho partecipato a questo Forum consultivo in diverse occasioni. Vorrei ringraziarvi per l’opportunità che mi è stata data oggi di portare il mio punto di vista alla comunità di esperti, che si riunisce su questa piattaforma riconosciuta a livello mondiale grazie agli sforzi del signor Schwab.
Prima di tutto, onorevoli colleghi, desidero dare il benvenuto a tutti voi al Forum economico mondiale. È bello vedere che quest’anno, nonostante la pandemia, nonostante tutte le restrizioni, il forum sta ancora continuando il suo lavoro. Sebbene sia online, funziona ancora e offre ai partecipanti l’opportunità di condividere le loro valutazioni e previsioni in una discussione aperta e libera, che in parte compensa la mancanza di comunicazione diretta tra leader, rappresentanti di aziende globali e pubblico, che si è accumulata negli ultimi mesi. Tutto questo è importante in un momento in cui abbiamo così tante domande difficili a cui rispondere.
Il Forum di quest’anno è il primo del terzo decennio del XXI secolo e la maggior parte dei suoi temi, ovviamente, riguarda i profondi cambiamenti in atto sul pianeta.
In effetti, è difficile non notare trasformazioni fondamentali nell’economia globale, nella politica, nella vita sociale e nella tecnologia. La pandemia di coronavirus appena accennata da Klaus, e che è diventata una seria sfida per tutta l’umanità, ha solo stimolato e accelerato i cambiamenti strutturali, le cui premesse erano già in atto da tempo. La pandemia ha esacerbato i problemi e gli squilibri accumulati fino ad allora nel mondo. Ci sono tutte le ragioni per credere che ci siano rischi di escalation dei conflitti. E queste tendenze possono essere viste praticamente in qualsiasi campo.
Ovviamente non ci sono paralleli diretti nella storia. Ma alcuni esperti – rispetto la loro opinione – confrontano la situazione attuale con gli anni Trenta del secolo scorso. Si può essere o meno d’accordo con questa situazione. Ma sotto molti aspetti, in termini di entità e natura complessa e sistemica delle sfide e delle potenziali minacce, alcune analogie sono comunque giustificate.
Stiamo assistendo a una crisi dei precedenti modelli e strumenti di sviluppo economico. La stratificazione sociale si sta intensificando, sia a livello globale che nei singoli paesi. Ne abbiamo già parlato. Ma questo a sua volta porta a una forte polarizzazione dell’opinione pubblica, provoca la crescita del populismo, del radicalismo di destra e di sinistra e di altri estremismi, e peggiora e aggrava i processi politici interni, anche nei paesi leader.
Tutto ciò influisce inevitabilmente sulla natura delle relazioni internazionali e non porta né stabilità né capacità di previsione. Le istituzioni internazionali si stanno indebolendo, i conflitti regionali sono in aumento e il sistema di sicurezza globale si sta deteriorando.
Klaus ha menzionato la mia conversazione di ieri con il Presidente degli Stati Uniti e l’estensione del Trattato sulla limitazione delle armi strategiche. È sicuramente un passo nella giusta direzione. Tuttavia, i conflitti sono in aumento. Come è noto, l’incapacità e la riluttanza a risolvere in modo sostanziale tali problemi nel [la prima parte del] XX secolo hanno portato alla catastrofe della seconda guerra mondiale.
Ovviamente, un conflitto globale altrettanto “caldo” è ora, spero, impossibile in linea di principio. Lo spero davvero. Significherebbe la fine della civiltà. Ma, ancora una volta, la situazione può evolversi in modi imprevedibili e incontrollabili. Se, ovviamente, non viene fatto nulla per impedirlo. Potremmo dover affrontare un vero sconvolgimento nello sviluppo globale, con una lotta di tutti contro tutti, con tentativi di risolvere conflitti latenti alla ricerca di nemici interni ed esterni, con la distruzione non solo dei valori tradizionali (che noi in Russia amiamo), come la famiglia, ma anche le libertà fondamentali, compreso il diritto di libera scelta e la privacy.
Vorrei sottolineare qui che la crisi sociale e dei valori si sta già trasformando in conseguenze demografiche negative, a causa delle quali l’umanità rischia di perdere interi continenti di civiltà e cultura.
La nostra responsabilità comune oggi è quella di evitare una simile prospettiva, simile a una sinistra distopia, per garantire lo sviluppo su una traiettoria diversa, positiva, armoniosa e creativa. A questo proposito, mi concentrerò sulle principali sfide che credo che la comunità globale stia attualmente affrontando.
Il primo è socio-economico. Sì, a giudicare dalle statistiche, nonostante le profonde crisi del 2008 e del 2020, il periodo degli ultimi quarant’anni può essere definito un successo, se non un super successo per l’economia mondiale. Il PIL mondiale a parità di potere d’acquisto è raddoppiato in termini reali pro capite dal 1980. Si tratta certamente di uno sviluppo positivo.
La globalizzazione e la crescita interna hanno portato a una forte ripresa nei paesi in via di sviluppo, sottraendo alla povertà più di un miliardo di persone. Quindi, se prendiamo un livello di reddito di 5,5 dollari a persona al giorno (a parità di potere d’acquisto), la Banca Mondiale stima che in Cina, ad esempio, il numero di persone a basso reddito sia sceso da 1,1 miliardi nel 1990 a meno di 300 milioni negli ultimi anni. È sicuramente un successo per la Cina. E in Russia, da 64 milioni di persone nel 1999 a circa 5 milioni di oggi. Noi pensiamo che questo sia he un passo avanti del nostro paese nella direzione giusta, sia detto di passaggio.
Tuttavia, la domanda principale, dalla cui risposta dipende molto la comprensione dei problemi attuali, è: qual è stata la natura di questa crescita globale, chi ne ha tratto i maggiori benefici.
Naturalmente, come ho detto prima, i paesi in via di sviluppo hanno beneficiato in molti modi della crescente domanda dei loro prodotti tradizionali e anche di nuovi prodotti. Tuttavia, questa integrazione nell’economia globale non ha solo prodotto posti di lavoro e guadagni da esportazione. Ma anche costi sociali. Compreso un enorme divario nel reddito dei cittadini.
E le economie sviluppate, dove il livello medio di ricchezza è molto più alto? Per quanto possa sembrare paradossale, le questioni della stratificazione nel mondo sviluppato sono ancora più profonde. La Banca mondiale stima che mentre 3,6 milioni di persone vivevano con meno di 5,50 dollari al giorno negli Stati Uniti nel 2000, erano 5,6 milioni nel 2016.
Nello stesso periodo, la globalizzazione ha determinato un aumento significativo dei profitti delle grandi multinazionali, principalmente aziende americane ed europee.
Inoltre, per quanto riguarda i cittadini, la tendenza nelle economie sviluppate dell’Europa è la stessa degli Stati Uniti. Ma ancora una volta, quando si tratta di profitti delle grandi imprese, a chi giova? La risposta è nota, è ovvia: l’uno per cento della popolazione.
Che cosa è successo nella vita del resto delle persone? Negli ultimi 30 anni, in alcuni paesi sviluppati, il reddito di oltre la metà dei cittadini in termini reali è rimasto fermo, non è aumentato. Ma il costo dell’istruzione e dei servizi sanitari è aumentato. E sapete di quanto? Del triplo.
Ciò significa che milioni di persone, anche nei paesi ricchi, non hanno visto la prospettiva di un aumento del reddito. E devono affrontare molti problemi, come mantenere se stessi e i loro genitori in buona salute, come fornire ai figli un’istruzione di qualità.
C’è anche un aumento di persone che di fatto non hanno un lavoro. Ad esempio, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che nel 2019 il 21% dei giovani del mondo, ovvero 267 milioni di persone, non ha studiato o lavorato in nessun modo. E anche tra i lavoratori (ecco un numero interessante, alcuni numeri interessanti), anche tra i lavoratori, il 30% vive con redditi inferiori a 3,2 dollari al giorno a parità di potere d’acquisto.
Queste distorsioni dello sviluppo socioeconomico globale sono il risultato diretto delle politiche perseguite negli anni 80, spesso in modo grossolano e dogmatico. Queste politiche erano basate sul cosiddetto “Washington Consensus”, con le sue regole non scritte che davano priorità alla crescita economica basata sul debito privato con deregolamentazione e basse tasse per i ricchi e le grandi imprese.
Come ho detto, la pandemia di coronavirus ha solo esacerbato questi problemi. L’anno scorso, la recessione economica globale è stata la più grande dalla seconda guerra mondiale. A luglio, le perdite sul mercato del lavoro erano equivalenti a quasi 500 milioni di posti di lavoro. Sì, la metà di loro era stata recuperata entro la fine dell’anno. Ma ciò rappresenta ancora quasi 250 milioni di posti di lavoro persi. E’ una cifra importante e molto allarmante. Solo nei primi nove mesi dello scorso anno, la perdita globale di redditi da lavoro è stata di 3.500 miliardi di dollari. E quel numero continua a crescere. Ciò significa che le tensioni sociali sono in aumento.
Allo stesso tempo, la ripresa dalla crisi non è facile. Se 20 o 30 anni fa il problema poteva essere risolto stimolando la politica macroeconomica (è quello che ancora si fa), oggi tali meccanismi sono praticamente esauriti, non funzionano. Le risorse sono praticamente esaurite. Questa non è un’affermazione infondata da parte mia. Secondo le stime del FMI, il livello del debito aggregato del settore pubblico e privato è vicino al 200% del PIL mondiale. E in alcune economie ha superato il 300% del PIL nazionale. Nel frattempo, i tassi di interesse sono vicini allo zero nelle economie sviluppate. E nelle principali economie emergenti, sono ai livelli più bassi della storia.
Tutto ciò rende virtualmente impossibile stimolare l’economia con strumenti tradizionali a scapito dell’aumento del prestito privato. Il cosiddetto quantitative easing, che non fa che aumentare, gonfia la bolla del valore delle attività finanziarie e porta a un’ulteriore stratificazione della società. E il crescente divario tra l’economia reale e virtuale (ne sento spesso parlare da rappresentanti dell’economia reale in molti paesi, e penso che anche i partecipanti all’incontro di oggi dal mondo degli affari saranno d’accordo con me) è una vera minaccia, che porta scosse gravi e imprevedibili.
Alcune speranze di poter riavviare il vecchio modello di crescita sono legate alla velocità dello sviluppo tecnologico. In effetti, gli ultimi 20 anni hanno gettato le basi per quella che è conosciuta come la Quarta Rivoluzione Industriale, che si basa sull’uso diffuso di intelligenza artificiale, soluzioni automatizzate e robotica. La pandemia di coronavirus ha notevolmente accelerato questi sviluppi e la loro attuazione. Tuttavia, questo processo genera nuovi cambiamenti strutturali, prima di tutto penso al mercato del lavoro. Ciò significa che senza un’efficace azione del governo, molte persone corrono il rischio di essere disoccupate. E queste appartengono sempre più spesso alla classe media, base di ogni società moderna.
Questo rimanda alla seconda sfida fondamentale del prossimo decennio: la sfida socio-politica. I crescenti problemi economici e le disuguaglianze dividono la società, generano intolleranza sociale, razziale ed etnica, e questa tensione esplode anche nei paesi le cui istituzioni civili e democratiche apparentemente consolidate sono progettate per appianare e sopprimere questi fenomeni ed eccessi.
I problemi socio-economici sistemici generano un tale malcontento pubblico da richiedere un’attenzione speciale, da esigere che questi problemi siano risolti in modo concreto. La pericolosa illusione di poter essere ignorati, trascurati, messi da parte è irta di conseguenze. In questo caso, la società sarà sempre divisa, sia politicamente che socialmente. Perché per le persone le ragioni per essere infelici non sono astratte speculazioni, ma problemi reali che riguardano tutti, qualunque sia l’opinione politica a cui aderiamo o che pensiamo di avere. Sono i problemi reali che generano il malcontento.
Vorrei sottolineare un altro punto fondamentale. I moderni giganti tecnologici e, soprattutto, digitali hanno iniziato a svolgere un ruolo sempre più importante nella società. Se ne parla molto oggi, soprattutto in relazione agli eventi accaduti negli Stati Uniti durante la campagna elettorale. E non sono più solo dei giganti economici; in alcune parti del mondo sono di fatto in concorrenza con gli Stati. Il loro pubblico è composto da miliardi di utenti che trascorrono una parte significativa della loro vita all’interno di questi “ecosistemi”.
Dal punto di vista delle imprese, la loro posizione di monopolio è ottimale per l’organizzazione dei processi tecnologici e del business. Forse è giusto, ma il pubblico si pone una domanda: in che modo un tale monopolio corrisponde all’interesse pubblico? Dove sta il confine tra il successo delle imprese globali, i servizi e i benefici richiesti, il consolidamento dei dati personali e i tentativi di gestire brutalmente la società, a loro piacimento, di sostituire legittime istituzioni democratiche, anzi, usurpare o limitare il diritto naturale delle persone di decidere da sole come vivere, che cosa scegliere, quale posizione esprimere liberamente? L’abbiamo visto tutti di recente negli Stati Uniti e tutti capiscono di cosa sto parlando ora. Sono sicuro che la stragrande maggioranza delle persone condivide questa posizione, compresi coloro che partecipano alla conferenza con noi oggi.
Infine, la terza sfida, o più precisamente l’ovvia minaccia che potremmo affrontare nel prossimo decennio, è un ulteriore aggravamento dell’insieme dei problemi internazionali. Alla fine, i problemi socio-economici interni irrisolti e crescenti possono incitarci a cercare un colpevole per tutti i problemi farci reindirizzare l’irritazione e il malcontento dei nostri cittadini. E lo possiamo già vedere, possiamo sentire che il livello della politica estera, della retorica propagandistica è in aumento. Possiamo aspettarci che la natura delle azioni concrete diventi più aggressiva, inclusa la pressione sui paesi che non sono d’accordo con il ruolo di satelliti obbedienti e eterodiretti, l’uso di barriere commerciali, sanzioni e restrizioni illegittime in ambito finanziario, tecnologico e dell’informazione.
Questo gioco senza regole aumenta notevolmente i rischi di un uso unilaterale della forza militare, ovvero il pericolo di ricorrere alla forza con qualsiasi stravagante pretesto. Moltiplica la probabilità di nuovi ” punti caldi ” sul nostro pianeta. È una situazione d’ insieme che può solo preoccuparci.
Allo stesso tempo, cari partecipanti al Forum, nonostante un tale groviglio di contraddizioni e sfide, non dobbiamo certo perdere la nostra visione positiva per il futuro e dobbiamo rimanere impegnati in un programma costruttivo. Sarebbe ingenuo suggerire delle cure miracolose universali per i problemi menzionati. Ma dobbiamo tutti cercare di sviluppare approcci comuni, avvicinare il più possibile le nostre posizioni e identificare le fonti delle tensioni globali.
Vorrei ripetere la mia tesi: la causa fondamentale dell’insostenibilità dello sviluppo mondiale è, in larga misura, l’accumulo di problemi socio-economici. Pertanto, la domanda chiave oggi è come sviluppare la logica delle azioni al fine non solo di ripristinare rapidamente economie e settori globali e nazionali colpiti dalla pandemia, ma anche per garantire che questo ripristino sia sostenibile nel lungo termine e abbia una struttura qualitativa che aiuta a superare il peso degli squilibri sociali. È chiaro che, dati i vincoli di politica macroeconomica già citati, l’ulteriore sviluppo economico dipenderà maggiormente dagli stimoli fiscali, con i bilanci governativi e le banche centrali che giocano un ruolo chiave.
In effetti, stiamo già assistendo a tali tendenze nei paesi sviluppati e anche in alcuni paesi in via di sviluppo. Il ruolo crescente degli Stati nella sfera socioeconomica a livello nazionale richiede ovviamente una maggiore responsabilità e una stretta cooperazione interstatale anche nell’agenda globale. In vari forum internazionali, si possono sentire continui appelli per una crescita inclusiva, per la creazione di condizioni per raggiungere uno standard di vita dignitoso per ogni persona. È la cosa da fare e il nostro lavoro comune sta andando nella giusta direzione.
È assolutamente chiaro che il mondo non può intraprendere la strada della costruzione di un’economia che funzioni per un milione di persone o anche per un “ miliardo dorato”. È semplicemente una posizione distruttiva. Un tale modello è per definizione insostenibile. I recenti avvenimenti, in particolare le crisi migratorie, lo hanno confermato una volta di più.
Conta adesso passare dalle dichiarazioni generali all’azione, a risorse dirette e sforzi reali per ottenere sia la riduzione delle disuguaglianze sociali all’interno dei diversi paesi sia la graduale convergenza del livello di sviluppo economico dei paesi del pianeta. A quel punto, non ci sarà alcuna crisi migratoria.
Il significato e l’importanza di tale politica, intesa a garantire uno sviluppo sostenibile e armonioso, è evidente. Di cosa si tratta? È la creazione di nuove opportunità per tutti, condizioni per lo sviluppo e la realizzazione del potenziale umano, indipendentemente da dove si è nati e si vive.
E qui presenterò quattro priorità principali. Perché le vedo come priorità. Forse non dirò niente di originale. Tuttavia, poiché Klaus mi ha permesso di esprimere la posizione della Russia, la mia posizione, lo farò volentieri.
Primo. Ogni persona dovrebbe avere un ambiente di vita confortevole. Si tratta di alloggi e infrastrutture accessibili: trasporti, energia, servizi pubblici. E, naturalmente non dovrebbe mai essere dimenticato il benessere ambientale.
In secondo luogo. Ogni persona deve essere sicura di avere un lavoro, che gli fornirà un reddito in costante aumento e, di conseguenza, un tenore di vita dignitoso. Dovrebbe avere accesso a meccanismi efficaci di apprendimento permanente, oggi assolutamente necessario, che le consentano di sviluppare e costruire la sua carriera, e dopo il suo completamento di ottenere una pensione e un pacchetto sociale dignitoso.
In terzo luogo. Ogni persona deve essere sicura di ricevere cure mediche efficaci e di qualità quando ne avrà bisogno e che il sistema sanitario le garantisca comunque l’accesso a servizi di livello moderno.
Quarto. Indipendentemente dal reddito familiare, i bambini dovrebbero avere l’opportunità di ricevere un’istruzione dignitosa e realizzare il loro potenziale. Ogni bambino ha un potenziale.
Questo è l’unico modo per garantire lo sviluppo più efficiente dell’economia moderna. Un’economia in cui l’uomo non è un mezzo, ma un obiettivo. E solo i Paesi che potranno progredire in questi quattro ambiti (non esaustivi, ho detto solo l’essenziale), solo i Paesi che potranno progredire almeno in queste quattro grandi settori, garantiranno sostenibilità, inclusione e sviluppo.
Questi sono gli approcci che sono al centro della strategia che anche il mio paese, la Russia, sta attuando. Le nostre priorità ruotano intorno all’individuo, alla sua famiglia e mirano allo sviluppo demografico e alla conservazione della nazione, migliorando il benessere delle persone e proteggendo la loro salute. Ci sforziamo di creare le condizioni per un lavoro dignitoso ed efficiente e un’imprenditorialità di successo, per garantire la trasformazione digitale come base della modalità tecnologica del futuro dell’intero Paese, non di un ristretto gruppo di aziende.
Vogliamo concentrare gli sforzi del governo, delle imprese e della società civile su questi compiti e mettere in atto una politica fiscale stimolante negli anni a venire.
Siamo aperti alla più ampia cooperazione internazionale possibile per raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo nazionale e crediamo che la cooperazione sull’agenda socioeconomica globale avrebbe un impatto positivo anche sull’atmosfera generale degli affari mondiali, mentre l’interdipendenza nell’affrontare le questioni urgenti attuali aiuterebbe la fiducia reciproca, oggi particolarmente importante e urgente.
E’ di tutta evidenza che è finito il tempo dei tentativi di costruire un ordine mondiale centralizzato e unipolare. Quei tempi sono finiti. In effetti, non erano nemmeno ancora iniziati. E’ stato fatto Solo un tentativo in quella direzione. Ma anche questo è passato. Un tale monopolio era del tutto intrinsecamente contrario alla diversità culturale e storica della nostra civiltà.
La realtà è che nel mondo sono emersi e si sono fatti conoscere diversi poli di sviluppo con i propri modelli originali, sistemi politici e istituzioni sociali. E oggi è estremamente importante costruire meccanismi per coordinare i loro interessi, in modo che la diversità e la competizione naturale dei poli di sviluppo non si trasformi in anarchia e in una serie di conflitti prolungati.
A tal fine, dobbiamo, in particolare, lavorare per rafforzare e sviluppare istituzioni universali con una speciale responsabilità per garantire stabilità e sicurezza nel mondo e per definire le regole di condotta dell’economia e del commercio mondiale.
Ho detto più di una volta che molte di queste istituzioni stanno attraversando tempi difficili. Ne parliamo costantemente a diversi vertici. Queste istituzioni sono state create in un’altra epoca, questo è chiaro. Può essere oggettivamente difficile per loro affrontare le sfide di oggi. Tuttavia, vorrei sottolineare che questo non è un motivo per rifiutarle, senza mettere nulla al loro posto. Tanto più che queste strutture hanno un’esperienza unica e un grande potenziale, in gran parte inutilizzato. Non c’è dubbio che debbano essere attentamente adattate alle realtà attuali. Ma è ancora troppo presto per gettarli nella pattumiera della storia. Dobbiamo saper lavorare con esse e utilizzarle.
Allo stesso tempo, è ovviamente importante utilizzare nuovi e aggiuntivi modelli di interazione. Mi riferisco al fenomeno del multilateralismo. Certo, si possono intendere in modi diversi. Può essere affermare i propri interessi, dando una parvenza di legittimità ad azioni unilaterali mentre gli altri devono solo annuire con la testa per approvare. Oppure è una vera unificazione degli sforzi degli Stati sovrani per risolvere problemi specifici nell’interesse comune. In questo caso, possiamo parlare della risoluzione dei conflitti regionali, della creazione di alleanze tecnologiche e di molti altri temi, compresa la formazione di trasporti transfrontalieri e corridoi energetici, eccetera.
Cari amici, signore e signori!
Voi comprendete che esiste un vasto campo di lavoro comune. Gli approcci multilaterali funzionano davvero. La pratica lo dimostra. Permettetemi di ricordarvi che con il Gruppo di Astana, Russia, Iran e Turchia stanno facendo molto per stabilizzare la situazione in Siria e stanno ora contribuendo a stabilirvi un dialogo politico. Ovviamente con altri paesi. Lo facciamo insieme. E questo generalmente non è senza successo, lo voglio sottolineare.
Ad esempio, la Russia ha intrapreso sforzi di mediazione attivi per porre fine al conflitto armato nella regione del Nagorno-Karabakh, in cui sono stati coinvolti i popoli e gli stati a noi vicini – Azerbaigian e Armenia. Allo stesso tempo, abbiamo cercato di monitorare i principali accordi raggiunti nell’ambito del Gruppo di Minsk dell’OCSE, in particolare tra i suoi copresidenti – Russia, Stati Uniti e Francia. Anch’esso è un ottimo esempio di cooperazione.
Come sapete, a novembre è stata firmata una dichiarazione trilaterale tra Russia, Azerbaigian e Armenia. E’ importante che sia, nel complesso, attuata in modo coerente. Siamo riusciti a fermare lo spargimento di sangue. Questa è la cosa più importante. Siamo riusciti a fermare lo spargimento di sangue, a garantire un cessate il fuoco completo e ad avviare il processo di stabilizzazione.
La comunità internazionale e, senza dubbio, i paesi coinvolti nella risoluzione della crisi devono ora aiutare le aree colpite ad affrontare le sfide umanitarie del ritorno dei profughi, la ricostruzione delle infrastrutture distrutte e la protezione e il restauro dei monumenti storici, religiosi e culturali.
Un altro esempio. Vorrei sottolineare il ruolo della Russia, dell’Arabia Saudita, degli Stati Uniti e di una serie di altri paesi nella stabilizzazione del mercato globale dell’energia. Questo metodo è diventato un esempio produttivo di interazione tra paesi con visioni diverse, a volte anche completamente opposte, sui processi globali e sulle visioni del mondo.
Allo stesso tempo, ovviamente, ci sono questioni che riguardano tutti gli Stati senza eccezioni. La cooperazione nello studio e nel controllo della pandemia di coronavirus è un esempio. Recentemente, sono emerse diverse varianti di quella che è nota per essere una malattia pericolosa. La comunità internazionale deve creare le condizioni affinché scienziati e specialisti lavorino insieme per capire perché e come si verificano le mutazioni del coronavirus e in che modo diversi ceppi differiscano l’uno dall’altro. E, naturalmente, dobbiamo coordinare gli sforzi di tutto il mondo, come richiesto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e come abbiamo chiesto al vertice del G20 non molto tempo fa, al fine di unire e coordinare gli sforzi in tutto il mondo per combattere la diffusione della malattia e aumentare la disponibilità dei tanto necessari vaccini contro il coronavirus.
Dobbiamo aiutare le nazioni che hanno bisogno di sostegno, comprese quelle africane. Sto parlando di aumentare i test e le vaccinazioni. Constatiamo che la vaccinazione di massa è ora accessibile principalmente ai cittadini dei paesi sviluppati, mentre centinaia di milioni di persone in tutto il mondo non hanno nemmeno la speranza di beneficiare di tale protezione. In pratica, questa disparità può rappresentare una minaccia generale, perché, come è noto ed è stato ripetuto più volte, l’epidemia continuerà a protrarsi e persisteranno sacche incontrollabili. E’ senza frontiere.
Non ci sono confini per infezioni e pandemie. Dobbiamo quindi imparare dalla situazione attuale e proporre misure per aumentare l’efficacia del sistema di sorveglianza per la comparsa di queste malattie nel mondo e l’evoluzione di queste situazioni.
Un altro settore importante in cui dobbiamo coordinare il nostro lavoro e quello della comunità internazionale nel suo insieme, è la protezione del clima e della natura del nostro pianeta. Neanche qui dirò niente di nuovo.
Solo insieme possiamo fare progressi nella risoluzione di problemi gravi come il riscaldamento globale, la deforestazione, la perdita di biodiversità, l’aumento dei rifiuti, l’inquinamento degli oceani da parte della plastica, eccetera. E trovare il migliore equilibrio tra gli interessi dello sviluppo economico e la conservazione del ambiente per le generazioni presenti e future.
Cari partecipanti al forum! Cari amici!
Sappiamo tutti che la competizione, la rivalità tra paesi nella storia del mondo non è cessata, non si ferma e non cesserà mai. In effetti, differenze e conflitti di interesse sono un elemento naturale per un organismo complesso come la civiltà umana. Tuttavia, nei momenti critici questo non ci ha fermato, ma al contrario, ci ha incoraggiato a unire i nostri sforzi nelle direzioni più importanti e decisive. Mi sembra che stiamo vivendo proprio in un tempo simile.
È molto importante valutare onestamente la situazione, concentrarsi non su problemi immaginari ma reali, eliminare gli squilibri che sono della massima importanza per l’intera comunità internazionale. E poi, ne sono certo, riusciremo ad avere successo ad affrontare con dignità le sfide del terzo decennio del ventunesimo secolo.
Vorrei concludere qui e grazie per la vostra pazienza e attenzione.
2 commenti su “Il discorso di Putin al Forum di Davos. Contro il logorìo del Grande Reset”
Impressionante, per usare un eufemismo, il silenzio dei media, dopo tanto discorso, che non solo lo hanno totalmente oscurato, ma si sono concentrati ossessivmente, nei giorni a seguire, alle cronache ridicole del caso Noalny e fidanzata.
Grazie di questa opportunità. Sono anch’io sconcertato del totale silenzio di questo importante intervento di Putin. Continua una becera propaganda piena di “pilotate” fobie che non forniscono analisi e strumenti ai cittadini. Molto pericoloso. Grazie ancora