Tra le vittime dello smottamento del quadro politico italiano, provocato dal voto di domenica, c’è anche il cosiddetto centro moderato. E non è un dettaglio da poco. A essere venuta giù non è solo l’idea neocentrista, con un occhio a sinistra, di Casini e della Lorenzin, quanto soprattutto la vecchia logica del centrismo, inteso quale luogo di mediazione e di compromesso politico. A confermarlo le percentuali insignificanti degli ultimi nostalgici dello scudocrociato.
È “smottato” perfino il “mitico” collegio della Camera di Pergine-Valsugana, quello che fu di Alcide De Gasperi e di intere generazioni democratico-cristiane e poi della Margherita, dell’Ulivo e del Pd d’ispirazione cattolica. A vincere, in quello spicchio di Trentino, è stato il candidato del centrodestra, un leghista, segno dello scarto politico provocato anche qui dalle ultime elezioni. Uno scarto politico che evidentemente non mette in discussione la forte identità cristiana della zona, ma gli dà nuovi significati, la rende anzi più diretta, più popolare, più vicina agli interessi concreti dei cittadini. E dunque l’allontana dalla mentalità compromissoria tipica del vecchio democratismo, disponibile ai facili inciuci etici (quelli sul valore della vita, della famiglia, dell’identità tradizionale), obbligandola a “radicalizzarsi” sul piano dei principi.
Con il voto di domenica la gente ha finalmente scelto, azzerando nei numeri e nei fatti il centrismo politico e con esso l’idea di un moderatismo che nulla ha a che fare con la virtù cristiana della prudenza e che ha rappresentato – per anni – l’espressione del peggiore machiavellismo, complice dello smantellamento dei valori che sono alla base della nostra identità nazionale.
Anche da una nuova domanda di “radicalità” bisogna partire per comprendere il senso del voto di domenica. Gli elettori hanno detto che ci vuole ben altro che qualche appello alla moderazione e al “buon governo” per rispondere alle grandi domande epocali che bussano alle nostre porte e sono già dentro le nostre città, problemi enormi determinati dall’integralismo religioso e culturale di matrice islamica, dal potere della tecnica e della finanza, dal cosmopolitismo e dalla domanda di identità dell’uomo contemporaneo.
Di fronte a questi scenari, di fronte all’eccezionalità delle sfide in atto ed in fieri, che fanno emergere una grande domanda di politica, cioè della capacità di prefigurare, di decidere, di amministrare il cambiamento e dunque di fare chiare scelte di valore, il vecchio moderatismo centrista ha mostrato tutta la sua storica inadeguatezza, anche a livello di classe dirigente. Per questo è stato sconfitto.
A vincere, oggi, è il decisore. Raccoglie il consenso chi dà chiare indicazioni valoriali e programmatiche. Si impone chi usa il linguaggio dell’intransigenza.
Vengono alla mente inusuali ascendenze evangeliche: “Sia il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno”. È – in fondo – il senso del “de profundis” per il moderatismo centrista, sancito dalle urne.
3 commenti su “Il de profundis centrista e “moderato” – di Mario Bozzi Sentieri”
Condivido, e aggiungo che se Berlusconi non fosse andato a Bruxelles a riverire i Burocrati, se non avesse ventilato la candidatura del burocrate Tajani, se non avesse ancora creduto nei moderati, probabilmente il Centro-destra avrebbe ottenuto la maggioranza e si sarebbe potuto avere un governo. Purché non avesse avuto a capo un designato dal Berlusca… In sostanza, la gente non ne vuol più sapere nemmeno della UE,
l moderati sono come gli ignavi danteschi
E intanto i “decisori” della Lega, così chiari nelle loro indicazioni, sono già pronti a governare col Pd. Contenti voi…