di Alfredo De Matteo
fonte: Corrispondenza Romana
Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha emanato un documento che sancisce la fondatezza costituzionale dell’obiezione di coscienza. Nel documento si sottolinea che essa è «un diritto della persona e una istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili»; nel contempo si tiene a precisare che «La tutela dell’obiezione per la sua stessa sostenibilità nell’ordinamento giuridico non deve limitare né rendere più gravoso l’esercizio dei diritti riconosciuti per legge né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza sociale».
In tal senso, il CNB raccomanda che la legge preveda «misure adeguate a garantire l’erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi». Nella parte del documento riservata all’analisi morale si chiarisce che l’obiezione non si basa su una mera opinione soggettiva , ma su di un valore «riconoscibile e comunicabile» ed essa viene distinta nettamente, da un punto di vista giuridico, da qualsiasi forma di sabotaggio di leggi in vigore, ma anche dalla disobbedienza civile e dalla resistenza al potere.
Nel documento si afferma che nel caso della difesa della vita o della salute il valore richiamato dal medico obiettorerappresenta in effetti una diversa interpretazione del valore protetto dalla Costituzione rispetto a quanto avviene nella legge approvata a maggioranza. Dunque, la legittimità dell’obiezione testimonia che il diritto costituzionale più aggiornato «accetta uno spazio critico nei confronti delle decisioni della maggioranza». Ora, il documento del Comitato Nazionale di Bioetica rappresenta senz’altro un arretramento della cultura di morte, anche perché esso ammette, neanche troppo tra le righe, l’evidente contrasto tra la difesa di valori riconoscibili, dunque non il frutto di interpretazioni soggettive, come quello del diritto alla vita, tutelato dalla stessa Costituzione, e l’esistenza di leggi che negano palesemente tale diritto.
È lecito affermare che si è potuto raggiungere questo risultato grazie alla tenacia ed alla combattività di una parte del fronte pro-life italiano e dell’associazionismo cattolico; in particolare, lo storico evento della Marcia Nazionale per la Vita, svoltasi a Roma il 13 maggio scorso, ha posto l’opinione pubblica di fronte ad un popolo della vita per nulla rassegnato, deciso a scendere in piazza per denunciare l’iniquità e la malvagità di leggi omicide in chiaro contrasto con i principi della legge naturale.
Nel contempo, appare fuori luogo accogliere tale documento come se rappresentasse una vittoria delle ragioni della vita o, addirittura, come se fosse una vittoria del mondo cattolico. Trattasi sempre di un documento dal chiaro intento compromissorio che non intende in alcun modo colpire lo status quo ma che anzi tende a ribadire la liceità di leggi che hanno trasformato il delitto in un inesistente diritto. Sta di fatto che la legittimazione dell’obiezione di coscienza, in particolare per il personale medico, non sembra compromettere per nulla la fruizione pubblica di servizi sanitari come l’accesso alla cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza previsto dalla legge 194.
È proprio un membro del Comitato di bioetica, nonché nota firma del quotidiano “Avvenire”, a sentire il bisogno di rassicurare l’opinione pubblica circa la non pericolosità dell’obiezione di coscienza, redigendo una postilla aggiunta al documento con la quale mette in evidenza, dati alla mano, come non esista nessuna correlazione tra numero di obiettori e tempi di attesa per l’interruzione volontaria di gravidanza. Cioè a dire: state tranquilli, in Italia si potrà continuare ad abortire egualmente, con la stessa frequenza e con la stessa celerità, malgrado la presenza, più o meno marcata, di medici obiettori!