“… Tutti, anche i giovani e giovanissimi, possono impararci qualcosa: se non altro, a parlarsi tra uomini”
di Giovanni Lugaresi
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Quando nel 1966 uscì per i tipi di Vallecchi il primo volumetto di “Storia di un’amicizia”, cioè una scelta di lettere dal Carteggio Papini-Prezzolini (il secondo tomo sarebbe stato pubblicato nel 1968), a cura dello stesso Prezzolini, Indro Montanelli scrisse un lungo elzeviro sul Corriere della Sera. E la chiusa così recitava: “… Tutti, anche i giovani e giovanissimi, possono impararci qualcosa: se non altro, a parlarsi tra uomini”.
Questa battuta ci è venuta alla memoria scorrendo le pagine di quello che non è più una “selezione” di missive, bensì l’intero epistolario intercorso fra due dei maggiori protagonisti della cultura italiana del secolo scorso.
Si tratta del terzo volume del “Carteggio Giovanni Papini- Giuseppe Prezzolini 1915-1956 – Dalla Grande Guerra al secondo dopoguerra”, a cura di Sandro Gentili e Gloria Manghetti (Edizioni di Storia e Letteratura – Biblioteca Cantonale Lugano Archivio Prezzolini; pagine 768; Euro 88,00), un carteggio di complessive 1592 lettere scambiate nell’arco di oltre mezzo secolo e il cui stigma è rappresentato, appunto, da quel “parlarsi fra uomini” che significa: con sincerità assoluta, senza rispetti umani, senza convenzionalismi. Fra amici, e i due protagonisti lo furono sempre, non risparmiando critiche (e contrarietà) nei confronti l’uno dell’altro. Di esempi in questo Carteggio se ne trovano non pochi, a incominciare dalla critica rivolta da Prezzolini alla “Storia di Cristo”, libro famoso, emblematico della conversione di Papini al cattolicismo – che peraltro aveva avuto il consenso di Piero Gobetti e Mario Missiroli. Ancora, sul fronte della religione e della fede, Prezzolini ebbe a criticare certe posizioni dell’amico e in particolare il primo (e unico) tomo del “Dizionario dell’omo salvatico” scritto insieme a Domenico Giuliotti – fermo restando, sempre, che se uno dei due poteva fare qualcosa per l’altro, lo proponeva, si attivava. E’ il caso della proposta di Papini negli anni Trenta di far tornare Prezzolini dall’esilio (volontario) americano, impegnandosi con Mussolini onde far avere all’amico un posto, un ruolo degni di lui.
Si sa che il direttore della “Voce” era stato lo “scopritore” del futuro Duce del fascismo quando questi era soltanto un agitatore socialista, ed è anche ben noto quanto Prezzolini tenesse alla propria indipendenza di giudizio e alla propria libertà. Quando l’editore Formiggini gli aveva chiesto di scrivere un “medaglione” su Mussolini, Prezzolini aveva accettato, ma a patto di poterne redigere un altro su Giovanni Amendola, oppositore del Duce!
Sulla proposta dell’amico, valutò i pro e i contro, non dicendosi contrario in partenza, ma decidendo alla fine di restare a New York, appartato e in una solitudine che sarebbe stata poi una condizione particolarmente sofferta, ancorché liberamente scelta, e questo a dare la misura, a nostro avviso, e per ampliare l’espressione di Montanelli citata all’inizio, di quale pasta fosse fatto il fondatore e direttore della “Voce”…
Il Carteggio si apre con una lettera dal fronte scritta da Prezzolini (che si firma spesso “Giuliano”, come quando sul Leonardo era “Giuliano il sofista”) il 2 settembre 1915, e comunica all’amico che il telegramma annunciante la nascita del secondogenito (Giuliano!) “è arrivato salutato da 4 cannonate contro un aeroplano…”. E si conclude con un’altra missiva dello stesso scritta a New York un mese prima (6 giugno 1956) della morte dell’amico.
Caratteristiche di questo epistolario, oltre a quelle citate?
Il pessimismo prezzoliniano che si manifesta in un crescendo continuo nella e dopo l’esperienza del conflitto mondiale. Pessimismo sull’Italia e sugli italiani ai vari livelli, soprattutto quello della classe dirigente. Poi ci sono i discorsi sui libri e sulle collaborazioni giornalistiche; i frequenti riferimenti a Machiavelli; i giudizi su questo o quell’autore, per i quali emblematico ci pare un riferimento ad Ernest Hemingway.
Nel 1953 Prezzolini pubblicò sul quotidiano “Il Tempo” di Roma una recensione elogiativa de “Il vecchio e il mare”, avendolo letto in originale, cioè in inglese. La qual cosa aveva indotto Papini ad acquistare la traduzione (di Fernanda Pivano) edita da Mondadori, restando però deluso, con dispiacere dell’amico che gli avrebbe scritto fra l’altro: “Mi spiacque di averti fatto spender del denaro inutilmente col mio articolo sul libro di Hemingway. Vedi un po’ quel che capita ad un critico quando segue i tuoi consigli e dimostra dell’entusiasmo. Ma ti dirò francamente che il libro deve aver perduto nella traduzione. La sua prosa inglese è molto bella, e per lo meno è un sollievo dai mucchi e groppi di frasi di altri autori moderni”.
Ancora: acutezza di osservazione unita al disincanto, in un Prezzolini ammiratore, ma anche critico della sua seconda patria: “La meraviglia degli Americani, che vorrebbero destare l’amore in tutto il mondo, e si trovano circondati di antipatie, nasce da una ignoranza della storia e del cuore umano che è ingenua e pietosa e, nello stesso tempo, fa rabbia. Alle volte considero le altezze che vedo dei grattacieli un po’ col senso delle piramidi, vestigia di una civiltà ammiranda, colossale e peritura. E’ un sentimento terribile di veder già morte e seppellite le cose che ci stanno sotto gli occhi…”.
Non possiamo infine concludere queste note sottolineando come, a fronte di un Papini pervenuto alla fede, testimoniata nell’accettazione della sofferenza degli ultimi anni e in non poche di quelle “Schegge” che andava pubblicando sul Corriere della Sera, l’amico resti invece lontano, ancorché sempre interessato (“intrigato”, come si dice oggi) al problema religioso. L’amicizia con don Giuseppe De Luca, la stima per Giovanni Battista Montini, le frequentazioni di don Cesare Angelini e di don Giovanni Abbo, delle “suorine” di Morristown (in primis Margherita Marchione) rappresentano altrettanti elementi religiosi caratterizzanti l’esistenza del pessimista ateo Prezzolini, che soltanto negli ultimi tempi dei suoi cent’anni, si dichiarò “non negatore” e pronto a ricevere la grazia divina, se Dio gliel’avesse concessa – dono gratuito.
Machiavelli e sant’Agostino, Novalis e i mistici tedeschi erano del resto “amori” del nostro, considerato spesso dalla sponda cattolica un’anima tormentata alla ricerca della fede, il che è vero. Lo stesso Paolo VI in un non dimenticato discorso pubblico in piazza San Pietro, aveva lanciato un appello-esortazione per la conversione di Prezzolini, come già era avvenuto anni prima per l’amico Papini.
A proposito poi dell’attenzione del mondo cattolico all’intellettuale italiano emigrato a New York, Prezzolini non mancò di sottolineare, in una lettera del 1954 all’amico, come i reverendi padri della Civiltà Cattolica (che allora giudicavano, e come se giudicavano!!!, ndr) avessero fatto “gli elogi del mio Machiavelli (“Machiavelli anticristo”, ndr) che non avevo avuto da nessun altro. La cosa m’ha fatto impressione, anche perché avevo avuto con uno di essi una polemichetta. Non dico per gli elogi, ma per il fatto di averne parlato, sono stati molto onesti..”.
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