Il concetto di biopotere, insieme con quello di biopolitica, fu enunciato dal filosofo Michel Foucault in un saggio del 1976. In quell’epoca di svolta della civiltà occidentale, Foucalt scoprì il legame tra la sfera dei desideri e quella del potere. Biopolitica significava per il discusso intellettuale parigino l’assoggettamento della sfera vitale degli esseri umani, specialmente della dimensione sessuale, al potere (politico, economico, tecnocratico). In questo senso, il pensatore neomarxista fu un precursore delle attuali derive del relativismo radicale e del neoprogressismo diversitario che stanno impregnando l’orizzonte intellettuale dell’Occidente nella sua torsione terminale, nichilista ed ipersoggettivista.
Oggi, è del tutto evidente che il biopotere, autorappresentazione delle élite tecnoscientifiche, cosmopolite e narcisiste, minaccia in modo gravissimo l’intero impianto etico e legislativo tradizionale degli Stati, facendo crollare tutte le costruzioni culturali della nostra civiltà, trascinandola in una particolare forma di anomia. Secondo uno dei padri della sociologia, Emile Durkheim, l’anomia, ossia l’assenza o la carenza di valore della legge, è tipica di periodi di grave crisi o di mutamenti sociali tanto rapidi da non consentire alle norme di tenere il passo con le sollecitazioni e istanze emergenti in settori del corpo sociale, lasciando così senza direzione o punti di riferimento. Enorme è il rischio del biopotere anche sul versante della tenuta normativa dei sistemi costituzionali faticosamente elaborati in secoli di pensiero, azione, tentativi.
Il biopotere, o biopolitica, può essere inteso come il controllo esercitato dal potere reale, cioè dalla società di mercato, sul processo di nascita, riproduzione, condizioni genetiche e morte – anzi fine vita, come prescrive il galateo obbligato politicalcorrettista, degli esseri umani. Per dirla tutta, l’obiettivo strategico del biopotere è il controllo e la gestione totale della e sulla vita umana.
Nel suo ponderoso trattato di bioetica, il cardinale Elio Sgreccia, recentemente scomparso, uno dei massimi esperti mondiali della materia, insegna che il biopotere ha due volti. Uno di questi è la lucida, intransigente rivendicazione della dignità e del valore intrinseco di ogni aspetto e momento dell’esistenza di ciascuno. La seconda è la tenebrosa china dell’utilitarismo materialistico, la cui premessa fondamentale è il semplice calcolo delle conseguenze dell’agire umano in base al rapporto costi-benefici, sganciando il fatto naturale della vita da ogni considerazione morale e premessa metafisica.
Il biopotere si rafforza giorno dopo giorno attraverso l’esercizio di tre tipi di controllo. Il primo è il controllo eugenetico. Questa disciplina a cavallo tra scienze naturali, antropologia e etica utilitaria nacque nel XIX secolo in ambiente scientifico positivista su presupposti di razzismo biologico e intellettuale. Ebbero larga diffusione teorie come quella di Cesare Lombroso (1835-1909), scienziato italiano di origine ebraica, improntate sull’origine genetica della “vocazione” criminale, e, in ambito anglosassone, dell’antropologo Francis Galton (1822-1911), legato ai circoli più riservati del potere imperiale britannico, il quale enunciò i principi per una “scienza dei ben nati”.
Su tali premesse teoriche, lo stato americano dell’Indiana promulgò nel 1907 la prima legge eugenetica in seguito imitata da molti altri Stati dell’Unione. Erano norme che introducevano la sterilizzazione di coloro che erano considerati anormali, secondo il criterio di esperti in varie discipline- scientifiche e non – investiti di un potere assoluto sulla vita altrui.
Nel progressista Stato di California la sterilizzazione veniva giuridicamente definita una misura profilattica tesa a difendere la salute pubblica e attenuare la minaccia costituita dai “disadattati” e “mentalmente deboli”. Al riguardo, nel 1927 la Corte Suprema degli Stati Uniti confermò lo statuto sulla sterilizzazione della Virginia nel caso Buck contro Bell, riconoscendone la legittimità in nome della “salute collettiva” della cittadinanza. Iniziò così una campagna di sterilizzazione i cui massimi vennero raggiunti tra gli anni trenta e il 1963, che sterilizzò per legge decine di migliaia di sventurati per scopi eugenetici. Non si comportò diversamente, in quei decenni, la sempre “avanzata” e civilissima” socialdemocrazia nordica, con l’ampia legislazione eugenetica svedese giustificata ideologicamente dal benessere collettivo e dal contenimento dei costi economico sociali di alcuni tipi umani stigmatizzati.
Sulla stessa linea lavorò Margarita Sanger, figura eminente dell’eugenetica americana, pioniera della contraccezione e dei cosiddetti “diritti riproduttivi”. Fu la Sanger a coniare l’espressione “controllo delle nascite”, e a fondare le prime organizzazioni orientate a tale scopo, con lo slogan che la vita avrebbe dovuta essere favorita tra “i più dotati” e impedire la nascita di bambini con il “patrimonio genetico peggiore”. Aprì già nel 1916 la prima clinica per il controllo della natalità, al motto “gli esseri inetti devono astenersi dal procreare”.
Evidente lo sfondo razzista e profondamente totalitario delle sue idee, che sarebbero state oggetto di condanna senza appello solo quando furono adottate dal governo nazionalsocialista tedesco. La sua attività si concentrò in campagne nei quartieri poveri delle minoranze razziali nere e latine, per tenere sotto controllo le nascite di quelle comunità. L’attività di pulizia genetica ebbe successo, trasformandosi nel tempo nella più ricca, potente ed influente organizzazione antinatalista della terra, la Planned Parenthood. La realtà odierna non è dunque che la continuazione con migliori mezzi tecnici e più ipocrite motivazioni di tendenze risalenti al pensiero utilitarista.
Il secondo tipo di influsso esercitato dal biopotere è il controllo del mercato sulla vita. È tremendo utilizzare il termine mercato, ma la verità si cela con eufemismi. Parliamo delle pratiche genetiche e riproduttive commercialmente redditizie. Il primo grande scandalo si è verificato negli Stati Uniti nel 1993, quando una società industriale ha chiesto di brevettare un carattere genetico estratto da una donna panamense, peraltro senza l’autorizzazione della poveretta. È ormai comune la pratica di compravendita privata di prodotti, servizi, tecniche legate alla procreazione, con il corollario di un fiorente mercato a fini di lucro costituito da siti Internet, intermediari, propagandisti, veri e propri agenti di commercio, cliniche specializzate.
Più controversa, ma sul punto di essere accettata con il vergognoso pretesto dell’altruismo, la pratica della fecondazione artificiale di donne – quasi sempre povere e residenti nel terzo mondo – la cosiddetta maternità surrogata, accompagnata da contratti capestro e dalla sconcertante mercificazione radicale del corpo umano. La madre surrogata riceve l’uovo fecondato o dona l’ovulo che sarà fecondato con lo sperma di qualcuno, talvolta il committente, più spesso uno squallido venditore di seme scelto per le sue caratteristiche genetiche.
Attraverso queste pratiche, la nascita di esseri umani degrada in ordinazione e produzione di esseri umani, travolgendo la natura, la biologia, la psicologia e il valore etico e sociale dell’essere genitori. Allo stesso modo, interrompe la catena non solo genetica, ma affettiva e comunitaria della condizione di figli. L’essere umano è riformulato per intero con criteri utilitaristici, economici e secondo intenzioni, desideri, ordini di chi detiene il potere e orienta il gusto. Desta orrore il solo esprimersi in questi termini riguardo alla vita umana.
Noleggiare l’utero dovrebbe essere vietato come imperativo morale naturale; la madre “surrogata” nell’eufemistica definizione di “gestazione per altri” è riconvertita in un bene commerciale da proteggere con specifiche norme contrattuali per il tempo strettamente necessario allo svolgimento del suo triste lavoro zootecnico e poi abbandonare a lavoro eseguito, ovvero a bimbo dato alla luce.
Lo stesso nascituro è un prodotto da scegliere secondo i criteri o capricci personali di chi paga il conto, non diversamente da un’automobile o un abito, un essere cui non viene assicurata un’identità familiare e genetica, tanto meno il diritto più grande di tutti: avere un padre e una madre. Si tratta di un attacco brutale, l’arma definitiva contro la condizione umana come l’hanno conosciuta centinaia di generazioni.
Il terzo tipo di controllo che esercita il biopotere è sulla longevità umana, ossia sulla durata naturale della nostra esistenza. La tendenza a controllare, decidere la longevità delle persone, attribuire la data di scadenza come per lo yogurt, attivare o accelerare il processo di morte si è radicata nella confluenza di due fattori: i tassi di natalità molto bassi nei paesi ricchi dell’Europa e del cosiddetto Occidente, con la drammatica diminuzione nella popolazione giovane che un tempo arricchiva, sostituiva e riproduceva le società, nonché il correlato invecchiamento della popolazione. L’interazione dei due fenomeni ha generato un collasso di quello che era chiamato stato sociale, con la perdita della sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali, pensionistici, assicurativi e sanitari.
La risposta, nella logica dell’utilitarismo della società-obitorio, è la diffusione, attraverso campagne massicce centrate su concetti come qualità della vita, morte degna e simili, dell’eutanasia nella sua forma più ripugnante, ovvero l’incoraggiamento a morire di propria volontà con pratiche cliniche assistite, per malati, anziani, depressi (il caso Pethoven in Olanda è stato solo la punta di un iceberg tragico). Pena di morte praticata senza rimorsi da esperti secondo parametri statistici, analisi costi-benefici, istogrammi dei profitti e statistiche sull’aspettativa di vita in caso di malattie o invalidità.
Inutile indagare su chi abbia finanziato le campagne di opinione: l’elenco è lungo, assicurazioni contro le malattie, centri di ricerca scientifica farmacologica, fondi pensione privati e l’intera compagnia di giro che domina l’Occidente progressista. Tutto ciò, nonostante i progressi della medicina palliativa, le continue intemerate contro la violenza, a favore della tolleranza e del rispetto della vita umana. Proscritta, espulsa dal vocabolario la parola morte, se non accompagnata da aggettivi come “degna”, “dolce”, “assistita” e simili. Politicamente corretti anche nell’ora estrema, non ascoltiamo i numerosi specialisti in medicina terminale che mettono seriamente in discussione tali pratiche con argomenti scientifici.
Dal punto di vista filosofico, giuridico e politico, il biopotere eutanasico è un attacco decisivo a ciò che resta della tradizione del costituzionalismo occidentale, che ha sempre difeso il diritto alla vita, il cui valore intrinseco è patrimonio indisponibile della civiltà, sottratto al controllo dello Stato e al capriccio umano, ossia indipendente, superiore alla sfera del potere. La torsione antiumana dell’utilitarismo neoprogressista crede e fa credere che l’esistenza intera sia soggetta alla sfera decisionale soggettiva, a partire dal potere di vita e di morte offerto a operatori psicologici, psichiatri, sanitari, ad assistenti sociali, oggi persino, indirettamente, agli “influencer” .
La radice essenziale dell’ideologia del biopotere è che la vita è proprietà dell’essere umano autodeterminato o del potere pubblico. Il pendolo oscilla drammaticamente tra due estremi entrambi distruttivi e nessuno, in Europa e in Occidente, nessuna agenzia di senso, neppure la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane che hanno costruito la storia spirituale delle nostra gente, osa ribellarsi seriamente. Eutanasia individuale, eutanasia di un mondo estenuato, o, come ci è già capitato di scrivere, l’inspiegabile sindrome della balena spiaggiata, l’istinto che porta cetacei sani a cercare la morte sulla terra ferma senza ragioni biologiche apparenti.
2 commenti su “Il biopotere all’assalto della vita”
Di quanto si è sviluppata l’intelligenza umana, di tanto si è accresciuto l’orgoglio, lo stesso orgoglio che distrusse Lucifero, il più bello degli angeli. Così può spiegarsi questo “mondo estenuato”, quest’uomo che rifiuta se stesso e desidera la morte pur avendone terrore. Il non trovare un Oltre avendo esaurito tutto qui è il dramma che consuma il mondo di oggi, così lontano da Dio da ridursi a confonderlo, come i primitivi, con gli “spiriti” della foresta, dei suoi animali e delle sue acque. Un amazzonico sacrilego cammino a ritroso, fin verso il nulla, un annichilimento totale per giunta incoraggiato (e qui è l’abominio) dalla congrega pseudoreligiosa che si è impadronita della sede di Pietro. Tutto si tiene in quest’ottica di morte, in questa strage di innocenti che grida vendetta al cospetto di Dio.
Che non debba succederci come a Sodoma e Gomorra.
Tonietta: “Che non debba succederci come a Sodoma e Gomorra”.
Se ce lo meritiamo, gentile signora Tonietta, – e ce lo meritiamo abbondantemente! – perché no? Forse questo estremo sincero sentimento di colpevolezza può essere considerato dal Padre Celeste degno della Sua magnanima misericordia.
Per quanti che in esso si identificano, penso che in questa assunzione di colpa alberghi almeno un filo di speranza di salvezza in un mondo oggettivamente disperato. E poi, non è questa speranza essa stessa segno della presenza di Dio?