perché diciamo no al degasperismo
di Piero Vassallo
Auspicata dalla gerarchia cattolica e attesa dai fedeli impauriti dall’indiavolato can can messo in scena dai politicanti disonesti e dai loro comici contestatori, la rifondazione di un movimento politico d’ispirazione cristiana costituisce l’unico serio incentivo a sperare nella rinascita italiana.
La tabula rasa del politicismo autorizza finalmente a guardare per il sottile, dunque a rilanciare le tesi proposte dalle rigorose avanguardie cattoliche e respinte (tra il 1944 e il 1946) dalla confusione e dal pavido conformismo prevalenti nella maggioranza democristiana.
Negli anni nei quali si è compiuta la stortura modernizzante della Dc, il pensiero cattolico era agitato da pie illusioni intorno al mondo moderno. Illusioni che Benedetto XVI ha finalmente sconfessato nel discorso dell’11 ottobre 2012 al sinodo dei vescovi, ammettendo l’insufficienza della definizione del mondo d’oggi proposta dalla Gaudium et Spes, il documento conciliare che riassume le ragioni delle fughe democristiane in avanti e contro la tradizione.
L’accertata insufficienza dell’approccio maritainiano al “mondo moderno” e alle sue sciagurate rivoluzioni, costringe ad abbandonare il percorso ottimistico e irenistico tracciato da Maritain e ostinatamente battuto dai cattolici progressisti.
Il pensiero di Maritain, (come è noto ai lettori di “Umanesimo integrale”) fu sempre contrario all’idea di un argine contro la sovversione. Del resto nelle rivoluzioni, Maritain, contemplava lo strumento della Provvidenza.
Se non che la furente svolta nichilista e tanatofila, che la rivoluzione moderna ha compiuto al seguito degli scolari francofortesi e californiani di Walter Benjamin, stronca le festose ragioni che sostenevano il progetto del compromesso cattolico con la modernità.
I fautori del compromesso ultimamente sono radunati nell’esangue e anacronistica scuola di Bologna, dove Melloni e Riccardi accendono dotti e superbi lumicini davanti alla figura dell’amata ma estinta modernità.
Il rinnovato partito dei cattolici non può nascere dall’imitazione di Alcide De Gasperi. Lo statista trentino, infatti, subì con riluttanza i suggerimenti e le esortazioni di Pio XII alla rottura con il Pci. E intralciò l’applicazione della politica economica alternativa a quella dei liberali, che era proposta da Amintore Fanfani. Lo ricorda Ettore Bernabei , nell’intervista concessa a Pippo Corigliano e pubblicata da Cantagalli, editore cattolico in Siena.
Peraltro sono numerosi gli eminenti pensatori cattolici che hanno sollevato obiezioni contro Maritain (ad esempio Alfredo Ottavini, Giuseppe Siri, Cornelio Fabro, Antonio Messineo, Julio Meinvielle, Augusto Del Noce, Ennio Innocenti, Gianni Baget Bozzo) e degli storici e dei testimoni che hanno contestato la politica di De Gasperi (ad esempio Luigi Gedda, Gianni Baget Bozzo, Ettore Bernabei).
Il padre gesuita Giovanni Sale ha pubblicato un saggio (“Dalla monarchia alla repubblica”, Jaca Book, Milano 2003) in cui si trova una perfetta descrizione delle oscillazioni degasperiane tra la fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa e il timido ossequio alle contrarie opinioni dei liberali e dei progressisti.
Correva l’anno ”costituente” 1946, quando un insigne filosofo del diritto, Guido Gonella, presentò al congresso democristiano un eccellente schema di costituzione, affermando coraggiosamente: “Noi non vogliamo una costituzione di partito … ma la costituzione del popolo italiano. Ma il popolo italiano è un popolo cristiano, e quindi nel nostro paese i principi generali della politica e del diritto pubblico devono essere conformi all’etica cristiana”.
De Gasperi bocciò la proposta Gonella con un tortuoso ragionamento: “Il discorso di Gonella è stata una magnifica esposizione della costituzione. Se dovessi fare un appunto, è proprio questo: egli è stato troppo teologo. Questo, assolutamente parlando, non è un difetto, ma sul terreno tattico della lotta con gli avversari può dar luogo a contraccolpi inaspettati”.
La fedeltà alla dottrina sociale può dar luogo a contraccolpi pericolosi, conviene dunque seguire i consigli della prudenza democristiana e abdicare ai principi. Di qui la mostruosa attribuzione della sovranità al popolo e l’implicita negazione del primato che compete a Dio e alla sua indeclinabile legge.
D’altra parte Ettore Bernabei ha pubblicato clamorose (e mai confutate) rivelazioni sull’incauto accordo tra De Gasperi e l’iniziato Raffaele Mattioli il gran banchiere crociano, che, lo ricorda Massimo Caprara, si dichiarava emulo di quel Parvus, organizzatore del viaggio di Lenin a Pietroburgo [1].
Da diversi e per certi aspetti contrastanti punti di vista, Luigi Gedda (nel saggio “18 aprile”), Giulio Andreotti (nelle sue sapide testimonianze sulla storia della Dc) ed Eugenio Corti (nella “Breve storia della Democrazia cristiana”), hanno dimostrato che l’opposizione democristiana a Pio XII aveva origine da un complesso d’inferiorità nei confronti della cultura laica, in quegli anni interpretata sontuosamente dal papa laico Benedetto Croce e dall’iniziato Raffaele Mattioli [2].
Davanti a simili dimostrazioni di fragilità e conformismo, ci si chiede se Augusto Del Noce esagerò, quando sostenne che la scristianizzazione dell’Italia fu attuata non senza responsabilità dei democristiani.
Forse il più esatto bilancio dell’impostazione “laica” che De Gasperi volle dare alla Dc è stato formulato da Cornelio Fabro, quando deplorava “la viltà di ministri e prelati cristiani e perfino cattolici – come in Italia – di combattere e far combattere apertamente (come il Vangelo voleva) l’approvazione dell’infame legge del divorzio (1974) e di quella incomparabilmente più infame dell’aborto” (“Riflessioni sulla libertà”, Edivi, Segni 2004).
Un efficace partito dei cattolici, pertanto, può nascere solamente dalla rinuncia a quell’anacronistica idea di compromesso con il moderno che ha debilitato l’azione dei democristiani. Va da sé che tale scelta non esclude la stima che si deve alla persona di De Gasperi e al suo severo stile di vita. L’attenzione dei cattolici rifondatori può invece rivolgersi ai politici italiani (Alberto Beneduce, Amintore Fanfani ed Enrico Mattei ad esempio) che – seguendo le indicazioni della Quadragesimo anno – attuarono una politica economica intesa a stabilire un efficace equilibrio tra impresa privata e impresa di stato.
Questa linea, che affonda le radici nel tardo, splendido medioevo italiano, costituisce la vera alternativa a quell’imperialismo mondiale del denaro la cui sciagurata azione nell’oscuro presente, conferma le ragioni della dura condanna formulata da Pio XI.
[1] Cfr.: “Un uomo di fiducia”, Rizzoli, Milano 1998.
[2] In una postilla a Julio Meinvielle, il teologo Ennio Innocenti sostiene che De Gasperi ha messo la bandiera cristiana al servizio del liberalismo e al proposito rammentando che “Croce riteneva che la conciliazione tra liberali e cattolici fosse cosa fatta con la Dc … qualificati osservatori hanno rilevato l’egemonia liberale nella Dc. Del Noce ha visto tra De Gasperi e Croce una collaborazione che si è conclusa con l’abdicazione del cattolicesimo”. Cfr.: Julio Meinvielle, “Il cedimento dei cattolici al liberalismo”, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, 1991, pag. 179