Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
di Lino Di Stefano
Non sono mancati, nel corso dei secoli, nemici ed avversari dell’Alighieri, cioè dell’”altissimo poeta” per antonomasia, anche se l’espressione era, da Dante, riservata a Virgilio (Inf., IV, 80). Nemici ed avversari non in grado di elevarsi – valga per tutti il letterato Saverio Bettinelli (1718-1808) – all’altezza di un poema “al quale ha posto mano e cielo e terra” (Par., XXXV,1) e che, ancora oggi e, forse, per sempre, rimane insuperabile per la potenza dell’intelletto e per l’arditezza della fantasia danteschi.
Impresa talmente teandrica, come abbiamo accennato, che soltanto Omero e Virgilio possono reggere il confronto; dopo tale triade segue, segue, a nostro giudizio, una seconda triade costituita da Shakespeare, Milton e Goethe senza che all’orizzonte si intraveda uno spiraglio tale da poter ripetere col nostro Properzio – il quale si riferiva al parallelo Omero-Virgilio – “Cedite, Romani scriptores, cedite Grai, / nescio quid maius nascitur Iliade”(II). Al posto dell’Iliade, evidentemente, un poema moderno.
Ora, di recente, alcuni sedicenti ricercatori, facenti capo ad una Organizzazione non governativa, chiamata Gerush 92 – “parole di colore oscuro” (Inf., III, 10), avrebbe detto il divino Poeta –, Organizzazione sostenuta anche dall’ONU, hanno proposto che la Divina Commedia venga esclusa dai programmi scolastici o quanto meno ridimensionata, in quanto portatrice di elementi razzistici, antislamici ed antisemiti.
Ma c’è di più, perché una certa Valentina Sereni, Presidente del menzionato Gerush 92, ha addirittura affermato che il poema dantesco conterrebbe motivi discriminatòri tali da rimandare all’antisemitismo e al razzismo. La stessa parla, testualmente, di “stereotipi, luoghi comuni”, etc.
Di conseguenza, a detta della studiosa, sarebbero e sono sotto accusa alcuni Canti dell’Inferno quale, ad esempio, il XXVIII, Maometto e tutti gli altri “seminator di scandalo e di scisma”, e alcuni del Purgatorio, come, ad esempio, il XXVI, relativo a “la nova gente: Soddoma e Gomorra!”.
A questo punto, c’è da trasecolare, ma considerate alcune recenti, e meno recenti, scelte, in materia sessuale, di certi settori della società contemporanea – i matrimoni omosessuali ed altre diavolerie del genere – non occorre, purtroppo, scandalizzarsi più di nulla.
Per la verità, tra i critici più a noi vicini anche Benedetto Croce non lesinò forti rilievi all’Autore della Commedia e ciò perché egli applicò le categorie della distinzione anche al poema sacro con la nota dicotomìa ‘poesia’ –’non-poesia’ che, com’è noto, rischiava di frantumare la compattezza dell’opera dantesca; ma, qui, siamo ad un altro livello.
Gentile, al contrario, nei suoi capitali ‘Studi su Dante’, guardò sempre all’unità dell’opera del grande Fiorentino, opera e di stampo poetico e di impostazione filosofica, ragion per cui ci piace concludere il presente intervento con i versi dello stesso Dante il quale, di volta in volta, osserva: “E lascia pur grattar dov’è la rogna” (Par. XVII, 12) e: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” (Inf., III, 51).