Il romanzo storico è uno dei generi letterari più affascinanti della narrativa. Nato nell’800 col grande Walter Scott, ha continuato a sfornare capolavori anche nel ‘900, anche se da tempo e da più parti se ne è proclamata la morte. A volte riaffiora sotto le spoglie di altre narrazioni, in particolare il Giallo Storico: basti pensare a Valerio Manfredi o Carlo Lucarelli.
Tuttavia, c’è chi non teme di cimentarsi ancora una volta con il romanzo storico nella sua forma più classica. Uno di questi autori è Guido Cervo. Al suo attivo ci sono diversi romanzi ambientati nell’antica Roma, più un paio di incursioni nella storia italiana del ‘900. Bandiere rosse e aquile nere, collocato durante la Guerra Civile, è un romanzo straordinario, forse il capolavoro di Cervo, un’opera epica che avrebbe meritato maggior successo di critica oltre che di pubblico.
Ora Cervo torna alla sua amata storia romana, della quale è conoscitore documentatissimo, in particolare per gli aspetti militari, con un nuovo romanzo collocato alla fine del Terzo secolo dopo Cristo, durante l’impero di Diocleziano (Il generale di Diocleziano, Piemme, 2020, pag. 392 euro 18). Per la precisione, la storia inizia con un episodio tragico e commovente della storia del Cristianesimo: il martirio della Legione Tebana. Una legione reclutata in prevalenza in Egitto e nel Nord Africa, e guidata da colui che entrò nella gloria dei martiri col nome di san Maurizio, una figura che nella Chiesa antica ebbe grande importanza.
All’inizio del romanzo troviamo proprio Maurizio che marcia con i suoi uomini nel territorio dell’attuale vallese svizzero. La Legione Tebana è fatta di valorosi soldati, che ancora credono negli antichi valori civili e militari di Roma, ma allo stesso tempo sono diventati cristiani, hanno abbracciato quella fede arrivata dalla remota Palestina, una fede ancora duramente perseguitata, hanno creduto in Cristo Salvatore. Il Cristianesimo ha trasformato il loro stesso modo di essere soldati: non sono più i guerrieri del mondo antico, sono un’anticipazione di quella che sarà la Cavalleria Cristiana medievale, che non a caso riconoscerà in san Maurizio uno dei propri patroni. Prima ancora che per essersi rifiutati di rendere culto all’Imperatore, i legionari della Tebana si sono resi invisi ai commilitoni pagani per il loro comportamento rispettoso nei confronti delle popolazioni che incontrano, degli stessi nemici. Sono soldati che rispettano un codice d’onore, ma che sopra ogni altra cosa pongono i Comandamenti di Dio. Per questo subirono la decimazione, il martirio.
Se questo è l’episodio che apre il libro, il romanzo di Cervo si arricchisce pagina dopo pagina di personaggi, alcuni reali, come Massimiano, colui che affiancherà Diocleziano come Imperatore, e altri inventati. É attraverso questi personaggi che si sviluppa la trama del romanzo, attraverso le vicende di una delle tante guerre che Roma combattè nella sua storia gloriosa ma anche sanguinaria: la Guerra contro la Bagaudia. Con questo termine si indica una ribellione che era scoppiata nelle Gallie e poi estesa ai territori dell’attuale Germania. Bagaudi erano coloro- soprattutto di etnia celtica- che si opponevano al giogo ormai secolare di Roma. Un ultimo colpo di coda dell’antico orgoglio celtico piegato a suo tempo con la forza da Giulio Cesare.
La rivolta dei Bagaudi era anche di tipo sociale ed economico: il decadente Impero Romano manteneva i suoi lussi e le sue mastodontiche strutture di potere attraverso una tassazione esosa che strangolava le famiglie, i villaggi, le popolazioni.
La Bagaudia era una rivolta in nome delle proprie antiche radici etniche e culturali, in nome di una libertà capillarmente oppressa dalle milizie di Roma, in nome di una economia locale. Delle comunità contro un Impero.
Cervo ci descrive con maestria i personaggi, i valori di cui sono portatori.
Tra questi spicca Valerio Metronio Stabiano, un romano d’antico stampo, un uomo d’ordine, un valente soldato, da sempre dedito a Roma e ai suoi valori, che è stato emarginato a causa di invidie politiche. Un destino comune a molti uomini retti, lontani dagli intrighi di potere, ai tempi di Diocleziano come ai nostri.Metronio è una sorta di Cincinnato, ritirato a fare il gentiluomo di campagna sui monti dell’Elvezia. Ma quando Roma chiama, una Roma in seria difficoltà di fronte alla ribellione della Bagaudia, non esita a riprendere la spada e l’armatura e a combattere sotto le insegne dell’Aquila.
Cervo è maestro nelle descrizioni delle battaglie, delle tattiche, delle armi, ma la sua narrazione è davvero avvincente quando si tratta di ritrarre le figure che popolano il romanzo. Le sue simpatie vanno certamente per i tetragoni ufficiali romani, come Metronio, ma non ha problemi a descrivere le qualità, l’eroismo, i princìpi dei cosiddetti barbari. Così come non esita a mostrare i vizi e le mollezze di una Roma inesorabilmente avviata alla decadenza, una Roma tanto simile agli attuali grandi imperi mondialisti, multietnici, multiculturali, un grande calderone caotico dove si idolatra il potere fine a se stesso. Un mondo scosso da radicali sconvolgimenti che chiamano i protagonisti a scelte decisive e al sacrificio personale in difesa dei valori in cui ciascuno crede, dagli ultimi sognatori celti agli ardenti martiri cristiani, a chi ancora rimane attaccato all’idea della civiltà romana.
Un libro epico che ci mostra che il romanzo storico è tutt’altro che morto.