Un metodo di scrittura [che] permette infinite interpretazioni comprese fra i due estremi affermati… il Vaticano II ha prodotto documenti che, rifuggendo il fine definitorio e quindi il linguaggio definitorio, si propongono come testi aperti, soggetti a interpretazioni operate attraverso parole chiave e concetti cardine disseminati in altri testi.
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Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it , con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.
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Il successo di questa rubrica è testimoniato dal numero crescente di lettere che arrivano in redazione. A questo proposito preghiamo gli amici lettori di contenere i propri testi entro un massimo di 800 – 1.000 battute. In tal modo sarà più facile rispondere a più lettere nella stessa settimana. Ringraziamo tutti per la gentile attenzione e collaborazione.
PD
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Martedì 7 aprile 2015
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E’ pervenuta in Redazione:
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Caro Gnocchi,
mi permetta due righe di sfogo. S. Messa di Pasqua, in un santuario dedicato alla Madonna, dove secoli di storia ci raccontano di interventi miracolosi. Un bellissimo santuario, e tanti fedeli. Questo a prima vista conforta. Poi arriva lo strazio. Un coro che strilla – non canta, strilla – accompagnato da chitarre, tamburi e tamburelli. Assordante e pure stonato. Il celebrante che ringrazia il coro che si è preparato per “rendere più lieta la liturgia” (perché, la liturgia di Pasqua è triste?), ma in compenso un paio di volte deve far cenno al coro di smetterla, perché evidentemente non si sono messi bene d’accordo prima sui tempi degli interventi canori. Insomma, un clima di confusione, rumore (non musica, tantomeno sacra), raccoglimento zero e una predica in cui non si capisce più perché tutti dovremmo essere “felici”. Infatti durante la predica c’è un breve fuggevole accenno alla Morte e Resurrezione di Nostro Signore, ma in compenso si parla di letizia e felicità perché tutti ci riscopriamo fratelli. Ma in nome di cosa e perché, non lo si dice. Volemose bene. Sono uscito da questa Messa triste e se non credessi fermamente che l’ostia che ho ricevuto era Nostro Signore, mi sarei anche convinto di aver solo perso del tempo. Qui, mi pare, non si tratta più di concilio o postconcilio, di conservatori o progressisti. Qui si tratta di preti che non hanno più la Fede. Perché se si ha davvero Fede, come si può accettare di trasformare la Santa Messa in un caos? Ma il prete si rende ancora conto di ciò che fa sull’altare?
Scusi, forse sono stato troppo lungo. Grazie per quanto lei fa e un cordiale saluto
Franco Cabboi
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invece si tratta proprio di Concilio e postconcilio, di progressisti e conservatori. Anzi, a voler essere precisi si tratta di preconcilio e di Concilio, di progressisti e tradizionalisti. È bene intendersi sui termini perché oggi troppi “conservatori” fanno dolosamente il gioco dei progressisti e sarebbe sbagliato e ingiusto ascriverli a una battaglia che, se lo è mai stata, ormai da tempo non è più la loro. Lasciamo perdere il termine “conservatore” divenuto così ambiguo da essere utilizzato anche da chi oggi vuole “conservare” le rivoluzioni bergogliane dopo aver “conservato” le timide frenate ratzingeriane, dopo aver “conservato” gli slanci vitalistici wojtyliani, dopo aver “conservato” gli amletici dubbi “montiniani”, dopo aver “conservato” le profetiche aperture roncalliane e poi più nulla perché, secondo questi “conservatori”, ciò che è stato prima del Concilio Vaticano II non sarebbe da “conservare” neanche in un museo.
E lasciamo perdere pure il termine “postconcilio” perché la contesa non è tra un “post” che tradisce il presunto “vero” Concilio, ma tra il Concilio Vaticano II e ciò che lo ha preceduto. Non caso, i progressisti parlano di “Chiesa conciliare” opposta a una “Chiesa preconciliare” e, da questo punto di vista, sono decisamente più onesti e chiari di coloro che si nascondono nelle spire di un postconcilio malsortito per colpa di qualche progressista abile nell’arruffianarsi i giornali.
Caro Cabboi, se, a volte chiaramente e a volte tra le righe, non fosse stato tutto già scritto nei documenti approvati dai padri conciliari, ai progressisti non sarebbe bastato arruffianarsi i giornali per fare la rivoluzione. Ne è un esempio la questione liturgica, che mi pare le stia particolarmente a cuore.
Tutto nasce dalla Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia, “Sacrosanctum Concilium”, la prima approvata dall’assise nel 1963. Questa Costituzione, caro Cabboi viene presentata come un buon testo, in linea con la tradizione, ma snaturato da una cattiva interpretazione.
Per cominciare, vale la pena di ricordare che lo schema preparatorio di questo documento fu l’unico a non essere rigettato dal colpo di mano neomodernista operato in apertura di Concilio. Come scrive Roberto de Mattei nel suo saggio “Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta”, era “l’unico che soddisfaceva i progressisti, definito dal domenicano Edward Schillebeeckx ‘un capolavoro’. Gli olandesi insistettero perché lo schema, che figurava come il quinto nell’ordine dei lavori, fosse il primo ad essere discusso. Si trattò, come sottolinea Wiltgen, di una nuova vittoria del fronte centro-europeo”.
Capisce bene, caro Cabboi, che un “capolavoro” agli occhi di una punta di diamante del neomodernismo come padre Schillebeeckx non può certo tranquillizzare chi abbia a cuore l’ortodossia cattolica. Neanche quando da tale “capolavoro” sortisca un documento come la Costituzione “Sacrosanctum Concilium” in cui si trovano affermazioni in linea con la Tradizione, poiché, secondo una collaudata strategia, i neomodernisti disseminarono il testo di passaggi che permettevano di leggerlo e applicarlo in chiave eversiva.
In perfetta consonanza tradizionale, per esempio, vi si sostiene che nella “liturgia (…) soprattutto nel divino sacrificio dell’eucaristia, ‘si attua l’opera della nostra redenzione’”. E, riguardo alla conservazione della lingua liturgica, che molti conservatori estrapolano trionfalmente dal testo conciliare, al primo paragrafo del punto 36 si dice: “L’uso della lingua latina, salvo il diritto particolare, sia conservato nei riti latini”.
Ma il primo paragrafo del punto 36 è seguito da un secondo paragrafo che dice: “Dato però che, sia nella messa, sia nell’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l’uso della lingua può riuscire di grande utilità per il popolo, vi sia la possibilità di concedere ad essa un ampio spazio, anzitutto nelle letture e nelle monizioni, in alcune orazioni e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti”.
Il “però” avversativo è la vera chiave anche di questo testo conciliare. Un metodo di scrittura che permette infinite interpretazioni comprese fra i due estremi affermati. Rimane il fatto che l’estremo dominante, come ha dimostrato la storia e come dimostra quotidianamente la cronaca di cui lei stesso, caro Cabboi, è testimone, si è mostrato quello neomodernista, lasciando supporre che le affermazioni tradizionali fossero solo residuali ed estranee alla trama occulta sottostante al testo.
A proposito della ricaduta di tale ambiguità, scrive Brunero Gherardini in “Concilio Vaticano II. Un discorso da fare”: “Si prenda ad esempio SC 21: vi si parla di ’una parte immutabile perché d’istituzione divina, e di parti soggette a cambiamento… qualora vi si fossero insinuati elementi meno rispondenti alla natura della Liturgia o si fossero resi meno adatti’. Una formula del genere fa di qualunque innovazione un gioco da ragazzi”.
Più avanti, prendendo in esame il dettato conciliare di procedere a “un’accurata riforma generale della liturgia stessa”, il teologo scrive: “Che si chieda la soppressione degli elementi eterogenei i quali, nel tempo, si sian sovrapposti alla ‘parte immutabile’ della Liturgia stessa e sian quindi incompatibili con essa, è ovvio. Non è ovvio, invece, che si parli di riforma generale, e da compiere nel modo più accurato se ad una tale riforma la Liturgia stessa sottrae la sua ‘parte immutabile’ e quindi irreformabile”.
Secondo Gherardini, le smanie di novità “trovaron proprio nel dettato conciliare, cioè nel suo linguaggio e nelle porte ch’esso andava dischiudendo, un insperato aiuto. Si legga con attenzione quanto segue: ‘Salva la sostanziale (il corsivo è mio, ma la parola è quanto mai sintomatica) unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci un margine alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni’ (SC 38). ‘I riti, conservata fedelmente la loro sostanza (come sopra), sian resi più semplici; si sopprimano gli elementi che, col passare dei secoli, vennero o duplicati o meno utilmente aggiunti; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti sian ripristinati, secondo la tradizione dei Padri, nella misura che sembrerà opportuna e necessaria’ (SC 50). Qui c’è molto di più di una porta aperta: è addirittura spalancata. (…) L’accenno alla tradizione dei Padri, di per sé ineccepibile, sembra nel contesto una pennellata d’archeologia. Sì, la porta è proprio spalancata. E se qualcuno è passato attraverso di essa per introdurre nella Chiesa non una riforma liturgica che armonizzasse, sulla base delle sue fonti, la Tradizione ecclesiale con le attese dell’oggi in vista del domani, ma una liturgia eversiva della sua stessa natura e delle sue finalità primarie, in ultima analisi responsabile è proprio il testo conciliare”.
Detto questo, caro Cabboi, lei si chiederà perché i modernisti, con le loro interpretazioni, hanno avuto la meglio sui loro oppositori. La ragione sta nel fatto che il Vaticano II ha prodotto documenti che, rifuggendo il fine definitorio e quindi il linguaggio definitorio, si propongono come testi aperti, soggetti a interpretazioni operate attraverso parole chiave e concetti cardine disseminati in altri testi.
Uno di questi concetti cardine è quello di “popolo di Dio”, che non è certo nuovo nella storia della Chiesa. Ma qui diventa un concetto dinamico e aperto che necessita di un contenitore a sua volta dinamico e aperto. Un’esigenza che si può soddisfare solo rivoluzionando i termini e le gerarchie del discorso.
Ecco così che la Costituzione “Lumen gentium” sulla Chiesa, per “narrare” il concetto di “popolo di Dio” rimanda al decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio”. Una costituzione “dogmatica” come “Lumen Gentium” rimanda dunque a un testo di inferiore importanza quale è un decreto come “Unitatis redintegratio” dichiarando di essere un contenitore aperto e di fatto da completare. E qui, seguendo “Lumen gentium”, al punto 15 ci si chiede: i giusti acattolici (per esempio i protestanti in buona fede) sono membri della Chiesa? Non si sa con certezza. Il punto 3 di “Unitatis redintegratio”, che dovrebbe chiarire la questione, non porta alcuna luce e dunque rimangono operanti le soluzioni più diverse e rivoluzionarie.
Ebbene, caro Cabboi, provi ad applicare il concetto dinamico e aperto di “popolo di Dio” come chiave di lettura e di recezione della Costituzione sulla Sacra Liturgia. Se vuole sapere che cosa ne esce, torni a Messa nel santuario di cui ha parlato nella sua lettera.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
10 commenti su ““FUORI MODA”. La posta di Alessandro Gnocchi – rubrica del martedì”
Una cosa è certa: dove c’è la “creatività” liturgica a poco a poco i fedeli si diradano; dove c’è il decoro tocca sempre stare in piedi e ci si sta con gioia.
E’ verissimo.
E questo, se da un lato è molto consolante, dall’altro fa concludere:
le forze del Male vogliono vuotare le Chiese con ogni mezzo possibile.
E purtroppo ci stanno riuscendo sempre di più!!!!!
Tre sono stati i momenti in cui i riti pasquali della mia parrocchia mi hanno dato il senso di ciò che si stava celebrando: quello del silenzio durante la traslazione dell’eucarestia alla fine delle liturgie del giovedì, quello in cui ho visto la chiesa spoglia del venerdì e quello del canto del preconio nella serata del sabato, con l’accompagnamento di organo e altri strumenti tradizionali.
Per il resto del tempo ho cercato di tenere gli occhi chiusi e di meditare sulle letture e sulla morte e resurrezioni di nostro Signore.
Ho la fortuna di ricordare la liturgia preconciliare della Pasqua, quando da piccolo chierichetto mi assoggettavo a servizi interminabili e di grande solennità, che mi davano l’idea di assistere a qualcosa di immenso.
Ma chi non può attingere a questi ricordi, come può immaginare la grandezza cui sta partecipando?
Anch’io ho provato le stesse impressioni. Non potendo, dato il maltempo e l’ora tarda, andare alla Chiesa, non troppo vicina, dove viene celebrato il rito in latino, ho preso parte alla Veglia Pasquale nella mia Parrocchia, a pochi passi da casa. Nulla di veramente mal fatto o mal detto, ma letture fatte solamente da donne, perché non saprei. Idem per i canti, ben eseguiti dalla corale, ma nemmeno uno a me noto, tradizionale. E che brutte le litanie dei Santi in italiano!
una angolazione che nasce dalla mia esperienza di organista e studente da anni di musica:provate ad applicare al vostro giusto discorso il concetto di “popolo di Dio che crea l’arte”ed avrete tanta musica “sacra liturgica”di oggi.cioè:oggi molti compositori non cercano più di dare musica che porti il popolo “verso l’alto”,ma si ispirano al sentimentalismo del cuore umano!proprio come nel modernismo si afferma che Dio è ,in fondo ,l’uomo stesso e che la Chiesa ,tramite i dogmi ecc. ha tradito il “cristo cosmico”,già appunto presente iconicamente mell viscere dell’umanità!
Non esiste più una liturgia. Anche i gesti più significativi, come l’ ostensione dell’ Ostia durante la consacrazione, sono una anarchia: chi solleva l’ Ostia con una mano sola, chi invece di sollevarla la protende come un panino al McDonald; il calice vien sollevato, sempre con una mano sola, ad imitazione della statua della Libertà. La distribuzione dell’ Eucarestia è affidata al primo laico che passa, senza che si sia neppure purificato le mani. Soppresso il tintinnabolo che richiamava l’attenzione sul momento più solenne della celebrazione. Il Canone, scelto sempre nella forma più breve possibile, dura in media un minuto e mezzo ( contro i 30 minuti di insignificante omelia). Il momento di silenzio dopo l’Eucarestia è scomparso, sostituito dai canti sanremesi di cui si è detto. I paramenti sacri sono trascurati o pretermessi: specialmente in estate si celebra con camice e stola e basta, e dal camice spuntano polpacci di preti in bermuda. L’ ars orandi non c’è più e così cae anche l’ars…
Che dire, allora, delle cosiddette “Messe dei bambini”? Per tenere calmi i cari frugoletti e impedire che si mettano a scorrazzare tra i banchi, si deve ricorrere all’aiuto delle mamme; le poverette si sforzano di mantenere la disciplina ma come impedire gli scherzi e le risate prima dell’inizio della S. Messa e addirittura spesso mentre essa è in corso? Allora subentra il sacerdote che rallegra l’omelia raccontando ai bambini piacevoli fatterelli, più o meno inventati, riguardanti Gesù, che era stato bambino come loro e suscitando risate. Poi ci sono le letture, affidate ai bambini stessi ai quali non è stato insegnata affatto l’osservanza della punteggiatura e il significato dei testi, perciò cosa possono capire della Parola di Dio le povere creature? Tutto questo ho visto a una recente Messa dei bambini durante la quale è stato battezzato un mio nipotino. C’era una “caciara” (mi si perdoni il termine romano, ma sto scrivendo di getto) indescrivibile, che però è ritenuta necessaria per interessare i bambini stessi. Ma allora io mi domando se i bambini della mia generazione, cui veniva insegnato veramente come ci si comporta in chiesa, erano degli stupidelli o se i genitori e i sacerdoti moderni siano degli incapaci in campo educativo. Propendo per questa seconda ipotesi e me ne dispiace molto..
Da genitore “moderno” di una bimba di due anni, le confermo senz’altro la seconda ipotesi. I bambini oggi non sanno stare zitti e rispettare contesti “adulti”, né a Messa, né altrove. Per conto mio, per ora semplicemente non porto la figlia a Messa, facendo a turno con mia moglie. Poi vedo famiglie con figli vocianti e piangenti ignorare gli sguardi di riprovazione delle persone vicine, e il prete buonista ricordare a tutti che i bimbi sono un dono di Dio e hanno le loro esigenze… E penso: la prossima volta sto a casa anch’io 🙁 .
San Pio narra che un giorno in un estasi il Signore gli disse parlando dei suoi preti: un giorno Gesù mi apparve, era tutto malconcio e sfigurato , egli mi mostrò una gran moltitudine di preti , che svolgevano le loro funzioni. Gesù era molto angustiato e mi disse la ragione di tale angustie:A causa delle anime da me più beneficate sarò in agonia fino alla fine del mondo, e con lo sguardo innorridito si allontanò da quella turba di preti gridando disgustato : Macellai . – Ho ridotto di molto la narrazione che comunque troverete su ogni buon libro . – Nostro Signore come spesso accade viene tradito proprio da quelli che più ama e che più ha beneficato
Oh beh, insomma, i bambini basta educarli. Mia figlia viene a Messa da quando aveva una settimana. E si è sempre comportata più che decorosamente. Tenere i bambini piccoli a casa mi sembra un insulto innanzitutto a loro, che hanno il sacrosanto diritto di venire in chiesa… Tocca a noi educarli a comportarsi in modo acconcio. Cosa che non si può pretendere di fare con un bambino già grandino: si può fare solo se andare in chiesa è da subito naturale come bere il latte!
Alessandro 2, mi permetto di consigliarle di portare la sua piccolina a Messa al più presto: se aspetta ancora, poi davvero qualche problema potrà porsi.
Cominciando a pochi giorni di vita si viene su “insieme” alla liturgia e non si fa nessunissimo casino, tanto per essere chiari, mentre cominciando dopo si rischia davvero di vociare e disturbare…
Coraggio!!! Ma bisogna fa presto…