Siamo molto grati al prof. Lino Di Stefano per questo articolo. Leggiamolo attentamente e vedremo che non tratta di una pura questione “da letterati”, da “addetti ai lavori”, perché la stravagante idea dei due docenti angloamericani è un ulteriore passo su quella strada, già fin troppo percorsa, dell’abbruttimento, dell’abbandono delle origini, del rifiuto dell’armonia, in nome di un non ben specificato “progresso”, i cui benefici sono tutti da vedere (sempre che ve ne siano…)
PD
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Gli studiosi anglosassoni vogliono abolire la virgola…
di Lino Di Stefano
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In nome della velocità, della brevità, della generale globalizzazione della nostra società – i nostri futuristi farebbero ridere al confronto – ed anche per effetto, altresì, dello strapotere dei ‘media’, leggasi com’è scritto perché ‘media’ è un termine latino, e dei rimanenti strumenti elettronici di cui l’’homo technologicus’ contemporaneo dispone in maniera quasi illimitata, uso che, man mano, è diventato abuso, due studiosi angloamericani – Simon Horobin, inglese, e John Mc Worther, americano, entrambi cattedratici, rispettivamente ad Oxford e alla Columbia – si sono distinti, di recente, per un’uscita, a nostro giudizio, infelice, proponendo l’abolizione, per il momento, della virgola – dopo, non si sa – per una presunta chiarezza delle opere letterarie dei nostri tempi.
Sulla bella Rivista di Cultura, Poesia, Dialetto, Arte e Tradizioni Popolari, ‘VOCE ROMANA’, ha preso posizione, sull’ultimo, numero, maggio-giugno 2014, la scrittrice e poetessa Francesca Di Castro, Vice Direttrice della stessa, con un garbato, quanto incisivo articolo in cui ha sostenuto, tra l’altro, l’indispensabilità della punteggiatura, con tali espressioni.
“Il poeta è musicista della parola al quale è stato donato il segreto della traduzione e dell’immagine rivelata in ‘battere e levare di sillabe e fonemi e come musicista si deve imporre la ‘scienza del comporre’: limiti di sonorità, euritmia e metrica, scelta severa del vocabolo e dei segni di interpunzione”
Ora, ci piace tornare sull’argomento sia per mettere in rilievo la pochezza dell’idea, sia, ancora, per rafforzare la necessità delle leggi dell’interpunzione, quell’insieme dei segni ortografici, cioè, preposti ad una corretta scrittura che suggerisce le pause e l’intonazione della voce nella lettura. In un testo scritto, in altre parole, le proposizioni, i periodi e i singoli vocaboli, vengono divisi fra di loro mediante i segni convenzionali da tutti conosciuti.
L’ignoranza e la trascuratezza di tali norme causa, come spesso avviene nei nostri giorni, una grande confusione a scapito della chiarezza e dell’intelligenza dei testi; ciò è, orazianamente, noto “lippis et tonsoribus”, ma l’andazzo sembra prevalere senza che nemmeno l’Accademia della Crusca faccia nulla visto l’indulgenza con la quale accoglie acriticamente parole straniere, in particolare britanniche, sciacquate nel Tamigi e restituite come autoctone.
E, qui, è giocoforza sottolineare che, ad onta della fortuna raggiunta dall’inglese, per i motivi che tutti conoscono, più spesso bisogna esaltare la dignità della lingua latina ed italiana rispetto a ciò che un importante filosofo pragmatista americano – anzi l’iniziatore di tale indirizzo filosofico, Charles Sanders Peirce – osservò intorno al proprio idioma: “Questo gergo di pirati, la lingua inglese è povera di certe parole”. Parole, aggiungiamo, sottratte ad altre lingue come il latino e l’italiano, soprattutto.
Ora, questi studiosi anglosassoni intendono toglierci anche l’interpunzione visto che gli stessi Romani separavano le parole con una lineetta. Adesso, la dimostrazione dell’importanza della punteggiatura nel testo scritto ed anche nella recitazione delle liriche e delle opere drammatiche, è ribadita da qualche esempio, iniziando dal grande Giambattista Vico. Questi, celebre filosofo e cattedratico di Eloquenza nell’Università di Napoli e, ‘qua talis’, grande ‘iuris peritus’, in un luogo del suo capolavoro, ‘La Scienza Nuova’ (Ed. 1744), cita un’antica formula della giurisprudenza.
E cioè che “qui cadit virgula, caussa cadit”; Il filosofo scrive esattamente ‘caussa’, con due ‘esse’. E sebbene l’espressione non abbia bisogno di traduzione, tuttavia ci piace riportare la versione dello studioso e giurista Paolo Rossi, curatore della grande opera vichiana: “Se è nulla una sola virgola nella formula, si perde la causa”. Se si può, quindi, perdere una causa per una virgola, a maggior ragione tale segno ortografico riveste una importanza fondamentale nella lettura e nell’interpretazione delle opere, pena l’inintelligenza dei testi greci, latini, italiani etc.
Ma c’è di più, per il semplice motivo che spesso e volentieri l’opinione pubblica cita un proverbio senza capirne il genuino significato. La massima recita testualmente: “Per un punto Martin perdé la cappa”, laddove il termine ‘punto’ non ha un significato numerico. Premesso che la ‘cappa’ designa una carica ecclesiatica come quella del ‘priorato’, superiore, cioè, di monastero – che Martino effettivamente perse – la storia è la seguente.
Il monaco al cospetto dell’iscrizione latina, sulla porta del convento: “Porta patens esto nulli claudatur honesto”, pensando che dopo “nulli” ci fosse un punto, invece di tradurre correttamente “La porta sia aperta e non resti chiusa a nessuna persona onesta”, interpretò: “La porta non sia aperta a nessuno e resti chiusa ad ogni persona onesta”.
In questo caso il punto, non ci voleva, ma il titolare della confraternita agì, forse inconsciamente, con il risultato della privazione del grado a cui tanto teneva. Da qui, l’estrema importanza dell’interpunzione che qualche studioso, anche autorevole, ritiene di poter eliminare in nome dell’esaltazione della modernità, della velocità e del dinamismo espressivo. Di questo passo, infatti, si corre il serio rischio di eliminare qualsiasi norma sia nelle lettere, sia nella musica con il corollario da tutti intuibile.
Pertanto, i due studiosi anglosassoni pensino alla loro lingua la quale non è altro che un dialetto dell’idioma tedesco – vera manifestazione, come il latino, l’italiano e il francese, di idee, sentimenti e pensieri – mentre noi condividiamo, con Francesca Di Castro, “la necessità di una ricchezza dell’interpunzione anche nella poesia, ossia proprio lì dove per prima è stata abolita”.
9 commenti su “Gli studiosi anglosassoni vogliono abolire la virgola… – di Lino Di Stefano”
sempre piacevole e istruttivo leggere gli scritti di Lino Di Stefano!
Provo a fare un commento senza virgole anzi senza punteggiatura la lingua inglese purtroppo per gli inglesi e gli americani è una lingua povera e siccome oggi pare vada di moda il pauperismo forse questa idea avrà fortuna come tutte le idee strampalate che adesso piacciono tanto ma che essendo strampalate avranno vita breve per lo meno lo speriamo ma visto che essendo anche molto di moda l’animalismo ci si potrebbe anche aspettare un deterioramento del linguaggio e contemporaneamente anche della scrittura che Dio ci salvi anche da questa iattura
Magnifico?
Sembra proprio che certi ” Imparati ” abbiano come progenitori gli scimmioni visto come ragionano, invece di pensare alla nostra bellissima lingua , sarebbe meglio pensassero alla loro .
Abolendo la virgola, la parola scritta sarà sempre più povera, ma sempre più simile al flusso di coscienza,
prefigurato nel delirio erotico e dislogico delle ultime pagine di Ulisse di Joyce! Ecco la modernità!
C’è una battuta ricorrente in Inghilterra. Accanto al segnale stradale di “lavori in corso” loro scrivono 4 paroline
SLOW MEN AT WORK.
l’autorità pensa di scrivere: “SLOW, MEN AT WORK”
il pubblico legge:” SLOW MEN, AT WORK”
Lasciamoli nella loro ignoranza a riguardo dell’importanza della punteggiatura.
Ci mancava anche questa…..
Non bastavano i piuttostochè piuttostochè piuttostochè e i “famigliari” (orrendo, ai miei tempi se non scrivevi nei compiti di italiano il corretto e armonioso “familiari” ti garantivi un “due politico”!).
Di questo passo dove arriveremo? alla Comunione ai marziani??? (http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2014/05/12/papa-lo-spirito-santo-aggiorna-la-chiesa-non-limitiamolo_970a6b60-95d3-41ac-9ef4-18bd435d2d39.html)
Ottimo articolo!
A mio avviso, l’unica modifica che dovrebbero proporre gli studiosi inglesi, sarebbe quella di adattare lo scritto alla pronuncia: ho sempre considerato irrazionale e brutta una lingua che non ha chiare regole di corrispondenza fra scritto e orale.
Ma questi tizi, sono pagati da qualcuno per proporre scemenze o lo fanno spontaneamente??
Facciamo male noi a dargli troppo retta! Figurarsi che io, fanatica della punteggiatura, vorrei che la lingua italiana usasse anche gli accenti tonici!