di Don Marcello Stanzione
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I Padri della Chiesa hanno sottolineato l’importanza degli angeli custodi delle nazioni e delle città, idea che trova una giustificazione biblica in un passaggio del Deuteronomio che spiega che il numero dei popoli è fissato in base a quello degli “angeli di Dio” (Dt 32, 8). Peraltro è solamente alla fine del Medio Evo che si sviluppa, a partire dalla penisola Iberica, una devozione collettiva all’angelo custode. Questa devozione ha lo stesso fondamento di quella resa ai santi locali: essa è giustificata dall’istituzione di una relazione di patronato tra l’angelo e la comunità locale. Considerato come suo protettore, l’angelo è venerato dalla comunità come tale. Così, al di fuori del chiostro, il primo culto ufficiale reso all’angelo custode fu un culto civico.
Il culto collettivo all’angelo custode locale fu specialmente notevole nella penisola Iberica dove, alla fine del XIV e nel XV secolo, alcune città si collocano sotto la protezione di questo custode particolare. Fin dal 1392, a Valencia, una cappella è dedicata all’angelo custode. Intorno agli anni 1450, le città di Gérone, Perpignan, Barcellona istituiscono ognuna una festa annuale dell’angelo custode. Nel 1493, è il turno di Saragozza di designare un giorno per festeggiare questo protettore. Localmente, queste instaurazioni ufficiali sono valide per mezzo delle autorità politiche: è tramite un atto municipale che Gérone decreta la sua festa dell’angelo e, a Perpignan, la festa “era per eccellenza la celebrazione civica dell’anno”.
Da ciò la cura di mettere delle rappresentazioni iconografiche dell’angelo custode in quei luoghi strategici che sono le porte delle città. E’ chiaramente il caso di Valencia dove delle tavole rappresentanti l’angelo della città sono situate sulle diverse porte; a Barcellona, una statua è situata al Portal del Orbs che successivamente diverrà Portale dell’Angelo. Anche Saragozza fissa la sua porta dell’angelo, affiancata da una statua dipinta. Questo angelo è generalmente portatore di attributi reali e militari e chiamato “Principe del reame di …”.
Il francescano Francesc Eiximenis, nato a Gérone verso il 1330 o 1340 e morto a Perpignan nel 1409, è l’autore del Libro degli Angeli, opera divisa in cinque trattati redatta in lingua volgare (catalano) alla fine del XIV secolo, poi tradotta in latino così come in differenti altre lingue, e nella quale egli fa la sua descrizione dell’angelo custode municipale: “sulle porte della suddetta città essi ammirano una bella immagine di un angelo che tiene una bella croce nella mano sinistra e con la mano destra fa segno alla città”. Le immagini degli custodi descritti da Gabriel Llompart hanno, nella loro mano sinistra, una corona e, nella mano destra, una frusta o una spada. Inoltre, l’angelo custode appare sempre più frequentemente munito di uno stendardo alle armi della città. A Saragozza, la statua dell’angelo custode seduto alla porta dell’angelo ha in mano una pergamena sulla quale sono, si dice, scritti i nomi di tutti gli abitanti. Più espressive ancora, alcune rappresentazioni dove l’angelo custode locale sostiene il plastico della città. Fra le moltitudini terribili di calamità che imperversavano allora e tra le quali si annoverano la guerra, le carestie, le intemperie, ce n’è una spaventosa tra tutte: la peste. E’ precisamente nel periodo della peste che le tavole con l’effige dell’angelo custode della città di Valencia furono piazzate alle porte della città e, in generale, gli inni e le preghiere composte in onore dell’angelo custode locale fanno frequentemente riferimento alla protezione contro questa piaga. Alla fine dell’epidemia che decimò Barcellona nel 1465-1466, fu organizzata una processione in onore dell’angelo custode della città.
La città intera partecipa dunque alle manifestazioni legate a questa devozione particolare e l’angelo custode locale viene trattato come un santo protettore. Ben inteso, questa protezione è suscettibile dall’estendersi al di là dello spazio municipale, tale l’angelo custode del Portogallo di cui la festa solenne è instaurata nel 1504, alla richiesta di Manuel I il Fortunato: nel corso dei secoli, il potere regale si appoggia su quest’angelo “nazionale”, sempre rappresentato munito degli attributi araldici del reame, e rafforzare il suo culto. Questa devozione ha preso un’ampiezza tale che essa contribuì a modificare l’immaginario collettivo poiché si attribuì retrospettivamente all’intercessione dell’angelo custode un certo numero di vittorie decisive. L’angelo del Portogallo è ancora menzionato dai veggenti di Fatima all’inizio del XX secolo.
Sul modello del culto dei santi, le feste di questi angeli custodi hanno un carattere pubblico che contrassegna dunque l’importanza amministrativa e politica che è stata rilevata da Jean Delumeau, che la definisce come un “culto civico”, facendo notare che le prime cappelle dedicate all’angelo custode furono precisamente erette nei palazzi comunali. In tutti i casi, l’angelo protettore gode di una festa annuale, di una iconografia specifica e di una liturgia propria. Tavole, statue, uffizi, inni, preghiere e processioni testimoniano l’ampiezza della solennità di questo nuovo culto. Il termine stesso angelo custode rinvia alla nozione di difesa civile e l’angelo, dotato di attributi militari e araldici, si presenta come il baluardo dell’identità contro i nemici potenziali o contro le piaghe minaccianti la collettività. D’altronde, non è la Chiesa che ha preso l’iniziativa dell’instaurazione di questi legami di patronato che sono decretati da una municipalità o da un regno. Ciò portò a far coesistere due modalità di culto, l’uno comune a tutti i cristiani; l’altro locale, particolare, e avente il suo proprio calendario.
Tra il 1392 e il 1395, Valencia è, sembra, la prima città a instaurare un culto civico all’angelo custode municipale, di cui le espressioni sono diverse e dove si gioca ugualmente un’ambiguità tra quest’ultimo e l’arcangelo Michele. L’angelo custode della città ha la sua festa propria, la festa dell’angelo (dopo l’ottava di San Pietro), e viene invocato nel corso degli uffici. Lo si sollecita anche in occasione della commemorazione della riconquista della città sui Mori, a ottobre. Il legame tra l’angelo custode e l’identità municipale si esprime ancora riguardo all’attribuzione delle chiavi della città poiché, dal XV all’inizio del XVI secolo, esse vengono consegnate ai nuovi sovrani dagli angeli, nel corso delle cerimonie festive. Jacqueline Hadziiossif, che studiò l’emergere del culto valenziano, accenna alla necessità, per la città, di instaurare un mito fondatore, garante della concordia sociale. Infine questa nuova devozione non è senza conseguenze sulla politica di urbanizzazione della città: delle strade vengono ampliate per facilitare il passaggio delle processioni e una nuova piazza viene dedicata all’angelo custode.
Il giorno della festa dell’angelo, la processione parte dalla “casa della città” per arrivare alla cattedrale. Degli stendardi con simbolo della città vengono trasportati dal corteo regolato da una rigorosa distribuzione delle piazze. Ad occupare il seggio episcopale, c’è un giovane che fa l’angelo, dotato dei relativi attributi della maestà (statura, vermiglio, orifiamma).
“Con o senza immagini, un sistema liturgico necessita di oggetti per focalizzare i gesti e gli sguardi della comunità e per ricevere i segni dell’adorazione alla presenza della divinità”, scrive Jean Wirth. E’ per colpa delle reliquie che hanno fatto interpretare il ruolo dell’angelo della città a un giovane, il quale, vissuto e apparso come un principe, ha il rango della più alta autorità religiosa locale? Con ogni evidenza, il corteo non può fare l’economia di una incarnazione del protettore locale.
Questo culto dell’angelo è pubblico e tutta la città partecipa alle celebrazioni. Tuttavia, a dispetto di tutte queste manifestazioni, questa devozione valenziana comincia a perdere vigore nel XVI secolo per essere infine soppiantata dal culto di san Vincenzo Ferreri associato a quello di san Vincenzo martire. Nel XVIII secolo la processione dell’angelo custode viene definitivamente integrata a quella del Corpus Christi. Non si tratta più di una cerimonia locale: la Festa di Dio, celebrazione della Chiesa trionfante e universale e esaltazione del Santo Sacramento, ingloba la devozione particolare all’angelo custode. Ma Valencia è lontana dall’essere il solo caso dove si sostituisce di fatto, in epoca moderna, la devozione all’angelo custode con il culto di un santo. Ciò porta a domandarsi se, e in cosa, i santi erano più qualificati degli angeli per fungere da patroni delle comunità locali.
Gli studi sulla storia della devozione religiosa locale hanno dimostrato che l’elezione di un santo patrono genera una forma di “diritto di proprietà” nonché una rivalità di fatto tra i vari patroni. E’ importante che ogni località si appropri del proprio santo, che non deve essere confuso con il santo del vicino, come spiega bene William A. Christian: “La religione locale è localizzatrice. Delle figure universali come Maria e Cristo sono rese singolari in delle immagini di santuari specifici, diventando Notre-Dame di Riansares o il Cristo di Urda, e sono maggiormente stimati degli altri Maria e Cristo”. Se più Vergini e più Cristo sono suscettibili di essere venerati simultaneamente da collettività distinte, a maggior ragione si può ipotizzare una molteplicità di angeli custodi.
L’individuazione dell’angelo custode locale si opera dunque a livello della sua designazione toponimica: c’è l’angelo custode della città di Valencia, quello della città di Perpignan, etc. Nelle città della corona d’Aragona, l’angelo custode è posto come un protettore municipale e il suo culto è deciso dalla comunità politica, operazione che richiama le “canonizzazioni popolari” dei santi locali e la disputa dei patronati. Tuttavia si tratta di un protettore di cui non si hanno né “vere” immagini, né reliquie, e il “diritto di proprietà”, che costituisce un aspetto fondamentale del culto civico, non ha quasi fondamento. Ciò spiega in parte la disaffezione progressiva dei popoli per i loro protettori angelici mentre un posto d’onore è di nuovo accordato a questo o a quel santo patrono di cui si possiedono le reliquie e del quale si può raccontare la vita. Si sono in realtà, tuttavia, fabbricate delle reliquie di angeli. Nel racconto della fondazione del santuario del Monte san Michele in Francia c’è anche la questione delle reliquie – un pezzo di drappo e un frammento della pietra sulla quale l’arcangelo ha posato i piedi – che Sant’ Auberto, vescovo fondatore del santuario normanno, avrebbe ottenuto dal Monte Gargano in Puglia, altro luogo prestigioso di apparizione. Egli ha due reliquie insolite: uno scudo e una spada in miniatura, troppo piccoli per essere attinenti al combattimento. Pierre Saintyves parla dell’esistenza di un unghia di Cherubino, di un muso di Serafino o ancora di una fiala di sudore di san Michele, ma lo storico delle tradizioni popolari qualifica queste pretese reliquie come farsesche ed egli permette di pensare che gli uomini del Medio Evo avevano percepito la contraddizione tra la natura incorporale degli angeli e l’idea di possederne delle reliquie. Era dunque difficile pretendere di possedere una reliquia di un angelo o di un arcangelo e, stante l’importanza conferita alla detenzione di reliquie nel contesto religioso medievale, si pensa che l’angelo stentò ad avere il grado del santo protettore.
Qualunque sia il suo prestigio, l’angelo custode sembrò presto venir meno a inscriversi nella località come può fare la figura del santo attraverso il racconto della sua vita, della sua morte, e soprattutto della traslazione delle sue reliquie – i racconti di quest’ultimo tipo apparendo molto spesso come l’elemento fondatore dell’inscrizione locale del culto. Tuttavia, l’elezione di un santo patrono può anche trovarsi giustificata da miracoli compiuti dopo la sua morte in favore della comunità locale, giustificazione che resta accessibile all’angelo custode: molte città, si è detto, hanno eletto tale angelo come patrono pretendendo che egli li avrebbe liberati dalla peste. Una città poteva dunque sempre trovare delle ragioni per mettersi sotto la protezione di un angelo. Perciò bisogna piuttosto cercare nella politica della Chiesa i fattori che permettano di comprendere il declino, in epoca moderna, delle devozioni collettive all’angelo custode. All’inizio del XVII secolo, sotto il pontificato di Urbano VIII, una serie di decreti marca la fine dell’autonomia delle Chiese locali in materia di elezione di un santo patrono. Le procedure si induriscono, divenendo più costrittive e sottomesse all’approvazione della santa Sede. A partire dal XIII secolo, in effetti solo la canonizzazione di un servitore di Dio era sottomessa alla riserva papale; d’ora in avanti la beatificazione – definita come la procedura che autorizza il culto pubblico locale – è anch’essa sottomessa a questa stessa riserva. L’autorità papale dispone a questo riguardo di un nuovo ordine di controllo, la sacra Congregazione dei Riti, creata nel 1588 sotto Sisto V, e che mostra tutta la sua efficacia in materia di regolamentazione canonica della santità a partire dal 1625. Questa politica ha delle importanti conseguenze nell’ambito votivo e agiografico, non potendo il “servitore di Dio” godere di una qualsiasi manifestazione pubblica del culto prima della sua beatificazione ufficiale, pena il vedere affondare le sue possibilità di accedere alla santità. Dunque la sua causa viene introdotta in Congregazione, lo si qualifica come “venerabile” e comincia allora il lungo e impegnativo processo di beatificazione che esige il riconoscimento dell’eroicità delle virtù come di un certo numero di miracoli. Oltre al fatto che essa suppone una definizione della santità più rigorosa rispetto al passato, questo accentramento toglie ogni potere alle collettività locali in quest’ambito. La disaffezione verso l’angelo custode collettivo potrebbe dunque essere legata a questa politica di accentramento poiché il suo culto, malgrado le precauzioni teologiche, scappa ancora largamente al controllo della Chiesa. Il coinvolgimento delle persone note e dell’insieme degli abitanti nelle cerimonie, le commemorazioni politiche, l’incidenza sullo sviluppo urbano, le immagini affisse alle porte delle città e non negli edifici religiosi: tutto concorre a fare del culto dell’angelo custode locale una devozione “centrifuga”, facente parte di un processo di valorizzazione territoriale.
Uno dei maggiori promotori della devozione all’angelo custode della città fu il già citato frate domenicano san Vincenzo Ferreri. Il nostro santo nacque a Valencia nel 1378. ordinato sacerdote nel 1378, quando scoppiò lo scisma d’Occidente con le due sedi pontificie di Roma e di Avignone, egli, in buona fede, si schierò con il papa illegittimo; ma fu sempre comunque pieno di zelo, predicando in varie nazioni, affinché si ristabilisse l’unità della chiesa. Il santo parlava in madrelingua castigliana, ma tutti lo comprendevano nella propria. Fu un grande predicatore e una guida spirituale molto pratica. Una volta venne da lui a chiedere consiglio una donna sposata: “ Padre, ditemi come devo fare con mio marito, sempre violento appena apro bocca…”. San Vincenzo le diede una boccetta piena di acqua, dicendole: “ E’ un’acqua preziosa questa; appena tuo marito accenna ad infuriarsi, bevetene un buon sorso e tenetela in bocca finché non si sia calmato…”. La vita del sacerdote domenicano spagnolo san Vincenzo Ferreri è molto legata al mondo angelico. Egli stesso, a livello iconografico, viene assai spesso rappresentato come un angelo vestito da domenicano, con le ali dietro le spalle e una tromba in mano. Questo perché un giorno durante una predica in cui commentava il passo dell’Apocalisse “ Poi vidi un altro angelo che volando in mezzo al cielo recava un vangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, razza, lingua e popolo. Egli gridava a gran voce: Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio” ( Ap. 14, 6-7) affermò di esser lui l’angelo di cui parlava il libro sacro ed esortò i suoi uditori a dare gloria all’Altissimo perché il suo Giudizio non era un avvenimento poi tanto lontano. Fra Vincenzo era un uomo e non un angelo ma sentì quel giorno di esserlo perché sentì improvvisamente data a sé una funzione che Dio dà ad alcuni angeli, in genere appartenenti al coro degli arcangeli, quella di annunciare grandi eventi. Personalmente devoto agli angeli custodi, suo e delle persone che incontrava, il Ferreri non perdeva occasione di magnificare dinnanzi ai fedeli la missione benefica loro affidata e di invitare caldamente a corrispondervi con gratitudine e docilità; e raccomandava caldamente la recita dell’invocazione Angelo di Dio, affermando che chi si lascia guidare dal suo angelo custode non smarrisce la propria strada.
Dio volle esortarlo un giorno ad aver devozione anche agli angeli custodi delle città e delle nazioni. San Vincenzo Ferreri era un predicatore itinerante ed aveva ricevuto inconsapevoli aiuti nelle suo peregrinare da questi angeli. Le cronache narrano che stando un giorno per entrare a piedi insieme a un gruppo di fedeli nella città di Barcellona per ammaestrarne gli abitanti si fermò improvvisamente davanti alla porta della città detta allora Puerta del Orbs o Puerta Els e guardando in alto disse in dialetto catalano: Angel de Déu ¿Qué fas aquí? Che fai qui Angelo di Dio? Dopo un po’, come se avesse ricevuto una risposta soddisfacente, era entrato in Barcellona attraverso la porta. A chi gli chiedeva che cosa avesse visto e con chi avesse parlato raccontò di aver visto un grande angelo con una spada nella mano destra e una corona regale nella mano sinistra che aveva affermato, sempre in dialetto catalano, di esser l’angelo protettore di Barcellona per ordine dell’Altissimo che gli avrebbe dato aiuto. Dobbiamo credere che da allora san Vincenzo Ferreri non entrò più in nessuna città europea senza salutarne prima l’angelo protettore. Gli abitanti di Barcellona, saputa la visione di san Vincenzo, ribattezzarono subito Puerta del Orbs “Puerta del Angel”. Nel 1466 fu costruita presso di essa una cappella contenente una statua dell’angelo di Barcellona. Oggi non esistono più né la Porta né la cappella. Il professore Antonio Adinolfi nella sua relazione sull’iconografia angelica al meeting sugli angeli del 2010 a Campagna (Sa), parla di tre xilografie che raffigurano la visione di san Vincenzo che sono state riportate su tre cartoline con annullo filatelico nel 1966 in occasione dell’XI esposizione filatelica e numismatica di Saints-Hostafrancs (che è un nuovo quartiere di Barcellona) per ricordare il V centenario della costruzione della cappella. In esse l’angelo vi appare maestoso. In due di esse dalla bocca di san Vincenzo esce scritta la domanda che fece all’angelo, dalla bocca dell’angelo la sua risposta. Nel museo della Cattedrale di Barcellona – precisa il prof. Adinolfi – c’è un retablo quattrocentesco di Jaime Huguet in cui si vede l’angelo custode di Barcellona insieme non a san Vincenzo Ferreri ma al sacerdote francescano italiano san Bernardino da Siena. Come mai? Il prof. Adinolfi lo spiega col fatto che san Bernardino conobbe da giovane fra Vincenzo quando questo predicava in Piemonte. Lo andò ad ascoltare ad Alessandria. Il Ferreri vedendolo tra la folla dei suoi uditori disse con accento profetico: “Io torno ad evangelizzare la Francia e la Spagna perché c’è tra voi un frate Minore (N.B. in quella data Bernardino non era ancora frate) che predicherà per tutta l’Italia la parola di Dio come non si è mai sentito”.
Canonizzato nel 1450, Bernardino fu raffigurato da Jaime Huguet pochi anni dopo insieme all’angelo di Barcellona. Bernardino ha la stesso atteggiamento con cui sarà raffigurato Vincenzo Ferreri canonizzato dopo Bernardino: libro sacro aperto nella mano sinistra, braccio destro alzato e indice della mano destra che indica il cielo. L’angelo di Barcellona di Huguet ha una tunica candida con una sottile stola incrociata sul petto ed è coperto da un elegantissimo mantello sui cui bordi, che gli scendono dai polsi, sono ricamate verticalmente figure di santi. Nella mano destra ha la spada ma nella sinistra ha uno scudo crociato e non una corona come aveva nell’apparizione a san Vincenzo. E’, nello stesso tempo, un angelo sacerdote e un angelo-guerriero. Il Ferreri morì a Vannes in Francia nel 1419, egli è il protettore dei predicatori e dei costruttori e lo si invoca contro l’epilessia, contro i fulmini e i terremoti.
2 commenti su “Gli Angeli Custodi delle città – di Don Marcello Stanzione”
Ringrazio don Marcello Stanzione che attraverso i suoi libri mi ha aiutato a riscoprire l’interesse sopito per l’angelo custode e la devozione a San Michele Arcangelo. (QVIS VT DEVS?)
Una trattazione molto interessante e con un taglio rigoroso, ciò va a pieno merito dell’Autore, che ringrazio. Mi sono ricopiato alcuni pezzi, spero in futuro di poterli considerare con calma come spunti di approfondimento mirato a questo aspetto dell’immaginario collettivo medievale.