di Roberto Dal Bosco
ADERIAMO ALL’APPELLO PER FERMARE LA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO L’OMOFOBIA
L’onorevole ha talvolta voglia di scherzare. Il 15 luglio gli parte un twitter sul caso Calderoli-Kyenge. «Non sono mai stato un sostenitore delle teorie di Lombroso, ma qualche volta ci prendeva. Calderoli ne è un esempio convincente». Poco importa allo sghignazzatore non si renda conto di essere la copia sputata di Wallace del cartoon britannico Wallace&Gromit, una bella trasmissione per giovanissimi, con i personaggi fatti di plastilina. Di fatto, l’onorevole Gian Luigi Gigli con sostanze come il pongo – che è deformabile e untuoso – ha molto a che fare.
Perché l’onorevole di Scelta Civica cambia forma come un gommoso proteo dei bassifondi politici, con una pelle viscida al punto da sgusciare via se stretto da una polemica di qualcuno che magari gli chiede di rendere conto delle sue cangianti posizioni.
Così, raccontata con il pongo, la storia è beautifully put, direbbero gli anglofoni. La realtà, detta in soldoni, è che l’onorevole Gian Luigi Gigli è un mentitore e un manipolatore. Un viscoso Pinocchio politico, la cui storia rivela talvolta tocchi di tenebra.
Panico all’Hotel Nazionale
La storia, della quale assieme a tanti altri siamo testimoni oculari, è la seguente. Il mattino di mercoledì 24 luglio i Giuristi per la Vita – assieme alla rivista Tempi e ai siti la Nuova Bussola Quotidiana e Culturacattolica.it – tengono una conferenza stampa sul tema della legge Scalfarotto-Leone all’Hotel Nazionale innanzi al Parlamento. L’opposizione alla legge di ogni intervento è ferrea, totale. Alcuni parlamentari in Sala – l’on. Pagano, l’on. Rocella, l’on. Giovanardi (va ricordata la presenza dei deputati della Lega on. Fedriga e on. Molteni, che hanno solo assistito dal pubblico) – pur non essendo nella scaletta dei redattori, prendono parola: confermano che anche loro si opporranno alla legge con ogni mezzo; Giovanardi promette addirittura la possibilità di far «cadere il quadro politico», perché in passato ci sono governi che sono caduti per questioni di asili nido, figuriamoci con una legge come questa. Scattano applausi, l’atmosfera è carica. Ma ecco, che a conferenza iniziata da un’ora buona, si fa materializza in sala l’onorevole Gigli. Sorride , attraversa la sala con una sicumera invidiabile, chiede di parlare immantinente perché recherebbe «notizie fresche».
Il discorso di Gigli – che continua incomprensibilmente a sorridere in modo beffardo – volge presto verso una meta del tutto inaspettata, distruggendo l’atmosfera di entusiasmo e unità che aveva caratterizzato l’incontro sino a poco prima: egli comincia a parlare di sconfitta, perché – dice – la legge passerà comunque, dobbiamo mettercela via. Il pubblico attonito comincia a mormorare. Lui rincara la dose: i cattolici sono una minoranza parlamentare, e oramai anche una minoranza nel paese. Bisogna quindi – proclama gaudente – cominciare a rassegnarsi. Qui scoppia il putiferio. Una signora del pubblico lo contesta pesantemente, chiedendogli se si rende conto del fatto che lui dovrebbe rappresentare i cattolici, che peraltro non è detto che siano considerabili tutt’ora come una minoranza quantomeno nel Paese reale. L’aria si scalda. Gigli non demorde, mentre anche dalla cattedra dei relatori lo sgomento diviene palese. L’onorevole gioca una carta a sorpresa: una esegesi dell’enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium Vitæ, documento che secondo lui spingerebbe il politico cattolico a cercare il male minore. Il sorriso, tra quelle gote lombrosianamente gonfie, non accenna a spegnersi. Si estinguerà – ma solo per una diecina di secondi – quando lo interrompe cortesemente la moderatrice dell’incontro, l’avv. Elisabetta Frezza, ricordandogli che non solo la posizione espressa dall’onorevole non è quella di chi ha organizzato l’evento, ma anche il fatto – gravissimo – che l’Evangelium Vitæ in nessun modo dice quanto riportato dal Gigli: l’enciclica parla di riduzione del danno solo in preesistenza di una legge anticristiana; qualora la legge sia di là da venire, è obbligo del cattolico impedirla con ogni mezzo. In pratica, l’onorevole è beccato mentre propina pubblicamente una menzogna sul Magistero. Gigli si inalbera per pochi attimi, poi con una sicumera sempre più invidiabile, riprende il ghigno mandiboloso e ammette che sì, è vero, ha detto una cosa sbagliata. Si tratta della palinodia più immediata e spudorata mai vista in vita sua dallo scrivente, che pure di figure di legno pubbliche nel corso degli anni ne ha viste molte: un esempio di simile magnitudine potrebbe essere il tragicomico caso dell’occhialuto ministro dell’informazione di Saddam, Mohammed Saeed al-Sahhaf, quell’omino in divisa che si trovò ad annunciare alle TV mondiali il potere dell’armata irakena, mentre dietro di lui si intravedevano i tank americani entrare in Baghdad.
Gigli a questo punto, un po’ alle corde ma non disposto a darla vinta a quella cinquantina di persone che osavano pensarla in modo diverso da lui, provò ancora a giustificare la sua posizione. «Vi sembra un cedimento il mio?» chiede cercando di legittimare la sua posizione. «Siiii!» gli risponde più di qualcuno. Davanti al mormorio sempre più altisonante dei convenuti, il nostro improvvisamente tira fuori il calumet della pace e lo offre all’assemblea. «Mica ho detto che voterò la legge! Ho detto così?». Oramai la amarezza dei presenti è inconsolabile, al punto che a salvare tutto ci prova l’on. Rocella, che chiede parola: ma non vuole rispondere punto per punto alle assurde, oblique, infingarde posizioni di Gigli. Vuole invece gettare acqua sul fuoco, chiede a tutti di calmarsi, invocando, specie in un momento come questo, «l’unità dei cattolici».
Amen. Si esce dall’incontro dei Giuristi per la Vita un po’ frastornati, ma anche fiduciosi: almeno, una manciata di deputati che non voteranno la legge si è trovata.
Tant’è che l’indomani, giovedì 25 luglio, davanti al Parlamento l’onorevole Gigli si fa vedere al sit-in organizzato dai ragazzi della Manif pour Tous Italia: centinaia di giovani e meno giovani imbavagliati seduti di fronte al Parlamento, pronti alle proteste – anche clamorose – dei nostri vicini francesi per scongiurare questa legge. Il Gigli arriva, cammina di fronte a tutti, poi si sistema qualche minuto nella zona della piazza dove si raccoglie qualche personaggio noto. A suo modo, un buon segno, si direbbe: forse era vero che l’on. Gigli non voterà la legge, altrimenti come lo spiegherebbe a queste centinaia di ragazzi impavidi
La notte della Repubblica
Poi arriva la notte del 5 agosto. La legge Scalfarotto viene finalmente discussa in Aula, sia pure con il favore delle tenebre: i lavori andranno innanzi sino a sera inoltrata. Parla, come prevedibile, anche Gigli. Il suo discorso è ben fatto, con momenti davvero pregevoli. Poi sul finale, si ode l’inaspettato. Il Gigli parla di emendamenti. «Chiedo ora ai proponenti di dimostrarci che la loro intenzione è solo quella di proteggere la dignità e la sicurezza delle persone omosessuali e transessuali. Se questo è vero, diano via libera all’approvazione degli emendamenti proposti per migliorarla, permettendo di votarla anche a coloro che, pur non avendo nulla contro gli omosessuali e rispettandoli come persone, vogliono che questa legge non possa assumere un valore simbolico per plasmare la nostra società attorno all’ideologia del gender».
Traduciamo: l’on. Gigli voterà la legge sull’omofobia, se accetteranno i suoi emendamenti.
Si tratta, in tutto e per tutto, di qualcosa di scioccante. Almeno per noi che eravamo presenti all’Hotel Nazionale. Non ci è dato di capire come sia possibile combattere l’ideologia del gender quando le si permette di insinuarsi, dogmaticamente, fin dentro al legislatore: già il fatto che si parli di omofobia è di per sé una vittoria del gender – una ridefinizione bioetica inedita, una rivoluzione epistemologica dello Stato, che ora dovrà ammettere l’esistenza scientifica di un nuova categoria umana. Neppure il darwinismo, cui certo non mancano i propalatori intorno al Parlamento, era arrivato a tanto. La natura umana è ridisegnata – e questo strappo nei confronti della realtà non ci pare sia emendabile in nessun modo.
Ma non è solo questo ciò che colpisce – l’on. Binetti, altra Scelta Civiva che pensavamo in quota Opus Dei, ha parimenti dichiarato di essere pronta a votare la legge se emendata – no, a sconvolgere è che pare proprio che l’on. Gigli, quel giorno al nazionale, abbia mentito. Aveva esclamato: «mica ho detto che voterò la legge!», e se lo ricordano un po’ tutti. Qui invece tende la mano a Scalfarotto, e si dice pronto a votare la legge. Resta da capire cosa si vuole proteggere con gli emendamenti? Le Chiese dove potere ancora leggere San Paolo a bassa voce, attenti a che non ci sentano di fuori, in attesa che qualche giudice non faccia saltare anche questo residuale diritto da riserva indiana? E le istituzioni scientifiche – psicologi, psichiatri, sessuologi, endocrinologi – che hanno fatto dell’omosessualità il campo della loro ricerca? E comunità terapeutiche benemerite come il Gruppo Lot di Luca Di Tolve? Grande mistero. Se si volesse emendare tutto questo, perché più semplicemente non votare la legge? I sospetti qui diventano tremendi. Quando l’on. Gigli in Aula sostiene di non aver «nulla contro gli omosessuali» sta forse comunicandoci di avere, come dire, una visione un po’ «adulta» del Catechismo? È per caso uno di quei cattolici come Prodi, che si fanno vedere a messa ma sono pro-aborto e pro-eutanasia? In teoria, non è il profilo di Gigli, anche se il fatto che sia stato eletto in uno strano partito come Scelta Civica un po’ inquieta: neanche tanto per le voci di massoneria e appartenenza a lobby internazionali che gravano su Monti (sin dai suggerimenti automatici di Google quando si digita sulla stringa di ricerca “Mario Mon…”: “Mario Monti massone” “Mario Monti Bildergerg” e via declinando, suggerisce subito il motore di ricerca) quanto per il fatto che il suo stesso partito ospita personaggi come l’on. Irene Tinagli, che ha recentemente proposto in Parlamento di limitare l’obiezione di coscienza all’aborto: più che alla gravità in sé di questo osceno progetto, siamo spinti a chiederci, invero incuriositi assai, cosa mai si sono detti fra loro in tutti questi mesi i deputati di Scelta Civica agli incontri di partito.
Succede poi che la truppa sedicente cattolica Scelta Civica, in combutta con i soci (ex soci? non si capisce) dell’UDC e i soci (neosoci? al momento nemmeno questo si capisce) del PD scrivono una lettera trionfante al direttore di Avvenire spiegando che sono stati bravissimi, e se a settembre si potrà votare una legge sull’omofobia (sì, votare) sarà per merito loro, della loro unità transpartitica, del fatto che hanno lavorato bene dietro alle quinte, senza clamore, come da aplomb in uso nella magica era del Loden.
Ci sono la Bindi, Fioroni, Buttiglione, Romano. Nessuno di quelli del PDL, che forse nemmeno sono contemplati come «cattolici». Gigli è ovviamente nella lista.
Il direttore di Avvenire Tarquinio, pur esprimendo qualche dubbio, ringrazia.
Lo sconforto di chi ha discusso la legge all’Hotel Nazionale è colossale, e di fatto Riccardo Cascioli, direttore della Nuova Bussola Quotidiana presente all’incontro degli Giuristi per la Vita dove Gigli portò la sua metaforica faccia di bronzo, reagisce, chiedendo in un articolo del suo sito il senso della strampalata lettera autoincensatoria dei parlamentari emendazionisti ad Avvenire.
La risposta di Gigli non si fa attendere: dopo aver annunciato, a sorpresa, di essere stato aiutato nella compilazione degli emendamenti da alcuni giuristi vicini alla Nuova Bussola Quotidiana -sulla cui identità tutti si stanno ancora interrogando, visto che è proprio la Bussola il sito che ha lanciato la raccolta di firme per fermare la legge -, rivendica il suo lavoro di trattativa «con la componente più disposta a trattare» e anche qui è mistero fitto sulle persone a cui si riferisca. Scalfarotto? Vendola? I Grillini? Cascioli controreplica, e con guanto bianco, giustamente si chiede «Lei il 24 luglio si era impegnato pubblicamente a non votare la legge anti-omofobia pur con gli emendamenti migliorativi; ora, firmando la “Lettera dei 26” manifesta esattamente il contrario. A quale Gigli dobbiamo credere?»
Florilegio del Gigli parlamentare
Già, a quale Gigli dobbiamo credere, se lo vediamo mentire in modo così spudorato, plateale? Se lo vediamo manovrare sulle persone, manipolare encicliche con quella sublime – sorridente – faccia tosta?
Viene così il dubbio di capire chi sia questo Gigli, e cosa abbia fatto per meritarsi il tag di «cattolico» al punto da finire proiettato in Parlamento – via Porcellum, ça va sans dire – con la promessa fallita delle ultime elezioni, il Paese dell’ambiguo Mario Monti.
Notiamo intanto, che come attività politica, il nostro non si è distinto più di tanto, se non per un paio di episodi non esattamente edificanti. Il più recente capita alla trasmissione radiofonica La Zanzara, noto trappolone satirico per politicanti ingenui dove il nostro cade immediatamente. «Stipendio? Io al contrario di altri mi tengo tutto e non mi basta perché ho cinque figli da mantenere ed è pesante (…) Rispetto al mio lavoro prima della politica ci ho rimesso perché ho perso una buona fetta di introiti legati alla libera professione. Con cinque figli è dura, in tasca non rimane nulla. Pensate che finora ho resistito al tesoriere del partito che vorrebbe da me 1.500 euro al mese. Non riuscirei a tirare alla fine del mese, e poi non so nemmeno se c’è ancora Scelta Civica». Così virgoletta l’Ansa. I blog titolano: Gigli, il deputato a cui non basta lo stipendio. Va ricordato che il tutto accade proprio il 25 luglio, a ridosso di tutti gli eventi raccontati all’inizio di questo articolo: convegni, discussioni, manifestazioni pubbliche come la Manif. L’on. Gigli evidentemente stava pensando ad altro. Pazienza poi se vi sono molte famiglie – specie quelle cattoliche – che hanno cinque figli e tentano di tirare avanti con un decimo di quello che dichiara di costare la famiglia Gigli, che ad occhio e croce è abituata davvero bene.
Ci fu poi, sempre recentemente, il caso Kabobo – il ghanese demente che a Milano ammazzò a colpi di piccone degli sventurati passanti. Ne parlò anche l’Aula: l’on. Fedriga della Lega Nord stigmatizzò l’evento associandolo all’immigrazione clandestina. Subito dopo chiede di parlare Gigli, che nello stupore generale prende le difese dell’assassino africano: «Un giovane immigrato di anni 21, probabilmente sballottato dalle durezze della vita sulle nostre coste. Mi dispiace smentire l’on. Fedriga, ma quella persona era a passeggio proprio per rispetto delle nostre leggi, aveva infatti presentato domanda di ricorso contro il decreto di espulsione ed era in attesa di decisione… Trovarsi per le necessità della vita a 21 anni in un Paese del quale forse si conosce a malapena la lingua, in una condizione di disoccupazione, probabilmente anche di disperazione, credo che possa far uscire di testa chiunque». Insomma, va in onda in Parlamento una strabiliante giustificazione della strage commessa dallo psicopatico ghanese, e a lanciarsi nella più classica, laida difesa del crimine («è la società che è cattiva e mi ha spinto a farlo») non è un deputato che viene dai Centri sociali, non è di SEL, e neppure un ingenuo del M5S: è lo stimato, scafatissimo, prof. Gigli. Come ha scritto Marco Ventura su Panorama (15 Maggio), «Chi “esce di testa” non come il povero muratore di 64 anni che si è dato fuoco ieri in Sicilia per un debito con la banca di 10mila euro, ma mietendo teste di sconosciuti nella notte, non ha e non può avere giustificazioni. È ignobile e irresponsabile definirlo “uno che era a passeggio per rispetto delle nostre leggi”».
Ma a Gigli sarà perdonato anche questo – del resto questa protezione ad oltranza dell’immigrazionismo selvaggio potrebbe benissimo rientrare nella categoria del buonismo «adulto» di tanto cattolicesimo politico e non.
Del resto, quando uscirono i nomi dei candidati di Scelta Civica, Gigli vi figurava come sicuro approdo “cattolico” della compagine montiana. Lui, il neurologo cristiano che tanto si batté per Eluana, era una certezza. Pazienza se su Monti circolano certe voci. Pazienza se l’ambiguo ex-ministro Riccardi, il celeberrimo dominus della Comunità di Sant’Egidio, prima di ritirarsi dalla competizione elettorale (e lanciarsi in veraci attacchi a Monti, come fa ora), avesse dichiarato a chiare lettere che i principi non-negoziabili non rappresentavano una priorità per il raggruppamento montiano. Pazienza se nel partito vi sono personalità iper-abortiste come Irene Tinagli. Pazienza se in Toscana era candidato – fino a che non è scoppiato lo scandalo – Alessio De Giorgi, editore di siti internet come gay.it (ora, apparentemente, oscurato) gaysex.it, gaytube.it (siti di omo-pornografia), me2.it, nowescort.com (siti con annunci di prostituzione), un sobrio signore la cui foto in cui viene allattato in discoteca da un amico drag queen ha fatto il giro di tutti i media italici. Pazienza, pazienza, pazienza: forse ha pensato così anche qualche Signor Vescovo. L’endorsement elettorale fatto a Monti dall’Osservatore Romano lo scorso 26 dicembre purtroppo non è un sogno, per quanto in tanti abbiano stentato a crederci stropicciandoci gli occhi per giorni e giorni.
Di più: il Gigli, si mormora, è in predicato per diventare il prossimo presidente del Movimento per la Vita, il possibile sostituto del controverso on. Carlo Casini, che è alla presidenza da più a lungo di Lukašenko in Bielorussia. Molti, anche di quelli che sono esasperati dalla tremenda gestione casiniana del MpV, ridotto ad agenzia di consegna di prodotti alimentari a ragazze “problematicamente” gravide, vedevano di buon occhio la possibilità di Gigli presidente. Anche da dentro al Movimento gioiscono: il loro sonnecchioso si scuote per dare la bella notizia dell’elezione a Montecitorio del loro membro Gigli, con tanto di rassegna stampa.
Gigli oscuro
Gigli si è imposto alla pubblica opinione quando, nei tragici giorni di Eluana Englaro si batté per che la ragazza non fosse assassinata eutanasicamente. Gigli figurò sui giornali locali e nazionali come il valoroso neurologo – operante proprio a Udine – che era sistematicamente attivo riguardo al caso, con proteste, dichiarazioni e quant’altro: senza dubbio, un vero campione pro-life. All’Hotel Nazionale lo scorso 24 luglio, per calmare le acque, lo aveva ricordato lui stesso: «ho preso quattro denunce per Eluana» aveva detto al pubblico che sussultava ascoltando quei suoi dubbi che cominciavano a suonare un po’ come tradimento, «ma per fortuna si sono risolte bene», aveva sospirato felice. Ora, sveliamo al lettore una realtà statistica: pressoché chiunque abbia detto qualcosa riguardo ad Eluana si è beccato una denuncia da Beppino Englaro, che ricorreva alla querela sistematicamente: Don Mangiarotti, l’animatore del sito Culturacattolica.it, a breve potrebbe infatti essere rinviato a giudizio. I Giuristi per la Vita, mi disse un membro, sono nati proprio per questo: difendere i difensori della Vita davanti alla forsennata prevaricazione di Beppino Englaro e dei suoi avvocati, nonché di tutto l’entourage intellettuale fanatico dell’eutanasia filiale.
Lo scorso 15 marzo l’on. Gigli fa sapere al Gazzettino che, essendo chiuso anche l’ultimo processo, può finalmente parlare. Si lascia quindi andare a dichiarazioni-shock: «nelle cartelle cliniche che io ho potuto vedere solo quando sono stato chiamato a giudizio, la fisioterapista aveva segnalato che Eluana aveva più volte eseguito ordini a comando, mentre l’infermiera di notte, aveva riferito che la paziente per due volte aveva distintamente chiamato “mamma”». Eluana avrebbe detto due volte la parola «mamma»: una bomba, una notizia che avrebbe potuto forse cambiare le carte in tavola, un annuncio struggente che sarebbe valso più di mille bottigliette d’acqua depostitate fuori dalla clinica assassina o dal Duomo di Milano. C’è da capire, dunque, perché l’on. Gigli non l’abbia detto prima. Avrebbe violato la legge? Era già sotto processo. Temeva di far precipitare le cose? Le cose sono precipitate. Se ne è dimenticato? Adesso però che è protetto dalla carica parlamentare, improvvisamente se lo ricorda.
Del resto il disastro del caso Englaro a Gigli gli si stava dipanando proprio sotto il naso. A Udine, l’onorevole giuoca in casa, in quanto è Professore ordinario di Neurologia nella Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università locale. Sul sito di questa, compare il suo curriculum, che è di quelli che fanno impressione: «Direttore della Clinica Neurologica, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia, Presidente del Corso di Laurea Triennale in Tecniche di Neurofisiopatologia, Presidente del Corso di Laurea Triennale in Fisioterapista, Delegato del Rettore dell’Università di Udine per i problemi degli studenti disabili. Ha inoltre le responsabilità clinica di Direttore della SOC Clinica di Neurologia e di Neuroriabilitazione, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia”, Udine», nonché quelle scientifiche di «Presidente dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS), Membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Neurologia (SIN), Membro del Consiglio Direttivo della Associazione Italiana di Psicogeriatria, Membro del Consiglio Esecutivo dell’Associazione Scienza e Vita». Non pago, sotto la voce «altri incarichi» veniamo a scoprire che l’on.dott.prof. è «Membro del Consiglio Direttivo della Pontificia Accademia per la Vita, Immediate Past-President della World Federation of Catholic Medical Associations (President dal 1998 al 2006), Membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Morpurgo-Hoffman di Udine, ONLUS con finalità di studio ed assistenza nel campo dei problemi degli anziani», e – dulcis in fundo! – Presidente Regionale del partito UDC (2010-2011). Il nostro non manca di citare i suoi precedenti incarichi: «Membro del Consiglio Superiore di Sanità (2000-2002), Membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria (1999-2010), Responsabile del Programma Dipartimentale sull’Ictus dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine (2007-2010), Direttore, Dipartimento di Neuroscienze, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione “S. Maria della Misericordia” di Udine (1998-2005), Direttore, Struttura Complessa di Neurologia-Neurofisiopatologia, Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia, poi Azienda Ospedaliero-Universitaria (1996-2007), Coordinatore della Commissione Tecnico-Scientifica del Ministero della Salute sugli Stati Vegetativi (2009), Membro della precedente Commissione Tecnico Scientifica del Ministero della Salute sugli Stati Vegetativi (conclusione dei lavori nel 2005), Ricercatore ed Aiuto della Clinica Neurologica dell’Università di Roma “Tor Vergata” (1984-1996), Docente presso la Scuola di Diploma per Terapisti della Riabilitazione e presso la Scuola di Specializzazione in Neurologia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, Assistente dell’Ospedale Psichiatrico S. Maria Immacolata di Guidonia (Roma) (1977-1984), Presidente della Fondazione Morpurgo-Hofmann (2005-2008) [aridaje, ndr], per la quale ha progettato l’Hospice di Udine, in via di realizzazione».
Insomma, è chiaro che sarebbe una clamorosa diminutio parlare di «barone universitario», o immaginarselo che cammina per l’ospedale attorniato da uno stormo a V formato dalla classica mezza dozzina di giovani dottori. I curricula di Gigli sono da Re, da Imperatore del regno bifronte di Clinica e Cattedra, capo di uno stormo medico così folto che neanche Gli Uccelli di Alfred Hitchcock: «Ha prodotto oltre 200 full papers, di cui circa 130 su riviste internazionali dotate di revisione critica e censite per l’impact factor, oltre a capitoli di libri editi in Italia e all’estero e a pubblicazioni su riviste italiane. Ha editato 4 numeri speciali di riviste internazionali, rispettivamente per “Clinical Neurophysiology”, “Sleep Medicine” , Neurorehabilitation” e “Cell Proliferation”, oltre ad alcuni volumi». Ci fermiamo qui, potremmo andar avanti ancora per moltissimo, citando pubblicazioni, associazioni, riviste, imprese scientifiche.
C’è solo un punto, in questa incredibile sfilza di vanti, per il quale solleviamo mestamente le antenne: è quando nel profluvio degli attestati spunta fuori «vincitore di Borsa di Studio Fulbright (1979)».
Ci permettiamo di raccontare al lettore un secondo cosa sia la Fulbright Scholarship. Il Fulbright program è un esteso piano di borse di studio a studenti di tutto il mondo. Una sorta di sistema di scambio culturale, su scala vastissima. Ad istituirlo, fu il senatore americano James William Fulbright (1905-1995), considerato dai critici come «il Mahatma dei socialisti ed internazionalisti americani»; in seguito, fu con ogni evidenza mentore e protettore di un astro politico nascente proveniente dal suo stesso stato, l’Arkansas: Bill Clinton. In molti vedono nella dottrina Clinton, che qualcuno ribattezzò come «l’Ulivo mondiale», una diligente continuazione del pensiero politico mondiale di Fulbright. E proprio per facilitare il raggiungimento di siffatte mete globaliste, è evidentemente stato costituito questo fondo miliardario che promuove studenti da tutto il mondo, compresa certamente l’Italia, dove è attiva la U.S.-Italy Fulbright Commission, ente bilaterale che è emanazione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America (cioè il Ministero degli Esteri statunitense, che svolge, oltre che compiti di assistenza agli americani espatriati anche precisi compiti di Intelligence presso i paesi stranieri) e della Direzione generale per la promozione del sistema paese del Ministero degli Affari Esteri italiano.
È molto istruttivo gettare uno sguardo sulla lista dei borsisti italiani.
Vi sono, tra gli altri, l’ex primo ministro socialista Giuliano Amato, l’ex primo ministro Lamberto Dini, l’economista ex membro del comitato esecutivo della BCE Lorenzo Bini Smaghi, l’ex divulgatrice ateista Margherita Hack, il banchiere ex ministro Corrado Passera, il potente diplomatico Umberto Vattani, la deputata di Scelta Civica Irene Tinagli (ma guarda…), il giornalista americanista Gianni Riotta, la saggista para-grillina Loretta Napoleoni, il bestsellerista Umberto Eco, lo storico dell’ebraismo Paolo Bernardini.
Difficile, in verità, scorgere in questo elenco un cattolico che si dica pienamente tale, uno di quelli che rifiuterebbe immediatamente l’etichetta di «cattolico adulto». Gigli però c’è.
Sulla Fulbright, questa borsa di studio che aiuta gli studenti ad avere una maggiore consapevolezza del contesto globale, nessuno ha fatto davvero qualche pensiero cattivo – questo a differenza della borsa di studio Rhodes, un programma simile, si sprecano i commenti, compreso quello di Mel Gibson che nel 1995 dichiarò alla rivista Playboy che essa era solo un veicolo per imporre «un nuovo ordine mondiale» di stampo marxista.
Eppure, da qualche parte, qualcuno avanzò l’idea che anche il fine del programma Fulbright non fosse completamente innocente. A far suonare il campanello d’allarme fu – guarda caso – proprio il paese che più di tutti ebbe attriti, finanche bellici, con l’«Ulivo mondiale» retto dal fulbrightiano Clinton: la Yugoslavia. Nell’aprile 1995 compare presso il quotidiano di Belgrado Politika Ekspres un articolo dal titolo «Il Network Fulbright – la Fondazione Scientifica Americana come sponsor di una guerra speciale contro la Repubblica Federale di Yugoslavia». L’occhiello è ancora più chiaro: «Un corso di spie». Nel pezzo l’autore, tale A. Vojvodić rileva come i servizi segreti yugoslavi sapessero dall’inizio che il programma Fulbright fosse un «affare dubbio» e che gli agenti di Belgrado «tentarono di dimostrare agli organi competenti dello Stato che tra gli studenti Fulbright vi fossero alcuni che poi vennero indottrinati con la politica Occidentale e con la filosofia del Nuovo Ordine Mondiale». Anche l’allora direttore dei Servizi yugoslavi Obren Đorđević (1927-1997) in un testo uscito in Yugoslavia nel 1986 e chiamato Leksikon bezbednosti («Lessico della sicurezza») metteva in guardia contro i «possibili rischi e abusi» del programma Fulbright. Il quotidiano prosegue con una lista di studenti Fulbright: vi sono, oltre che poeti e sociologi, anche diversi fisici nucleari e ingegneri di tecnologia militare. Vi sono, anche qui, scrittori, registi, direttori di museo, storici, politici. «La loro intelligenza sociale può essere usata molto più efficacemente nel loro stesso paese [ in questo caso, La Repubblica socialista federale di Yugoslavia, ndr] specialmente quando essi non abbiano cambiato il proprio impegno politico» dice Vojdović, disegnando così un vero e proprio quadro di infiltrazione: persone che continuano a dirsi socialiste (o cattoliche…) ma in realtà perseguono un’altra agenda.
Si dirà, quella dei Serbi era una tardiva paranoia da Guerra Fredda. E l’on. Gigli con tutto questo non c’entra nulla. Sarà, ma quando pensiamo a perché l’on. Gigli voglia votare la legge Scalfarotto sino al punto da mentire di fronte a suoi elettori e perdere la faccia, potremmo anche finire a pensare all’ordine internazionale sull’istituzione delle nozze omosessuali – un qualcosa, che viste le felici coincidenze in tutto il mondo, è di per sé innegabile -, ordine che qualcuno ha emanato a tutti i recettori sparsi per il mondo, possa anche propagarsi attraverso il Network mondialista rappresentato dalla Fulbright. I fulbrightiani Clinton, del resto, non si perdono un gay pride che sia uno.
Così quando vediamo una bislacca, ingiustificabile difesa della immigrazione terzomondista più selvaggia – il caso del killer Kabobo – ci grattiamo la testa e magari finiamo a immaginare che anche lì da qualche parte c’è stato un ordine preciso, per il quale – d’improvviso – dobbiamo lasciare invadere i nostri paesi da masse di disperati. Lo dice la UE, lo dice l’ONU, tutti consessi ragionevoli, come sicuramente quelli degli ex-allievi Fulbright, basta dare una occhiata alla lista degli alumni italiani per rendersene conto: aperti, democratici, persone per bene.
Nella compagine però mancava un cattolico, uno di quelli che magari si è pure conquistato qualche medaglietta sul campo, battagliando per la povera Eluana Englaro (un caso drammatico, che però, a pensarci bene, era a rischio zero da un punto di vista legislativo: si trattava di salvare una persona, non di cambiare una legge, che è cosa che ai Padroni del vapore mondiale non sempre piace, in ispecie se si tratta di abolire aborto ed eutanasia).
Ma queste sono supposizioni, illazioni.
Gigli magari è uno a posto, uno di cui fidarsi davvero.
Se è così, non ce ne siamo accorti: colpa nostra.
Attenderemo le sue prossime mosse in Parlamento, o magari perfino la sua presidenza del Movimento per la Vita, con i noti milioni di contributi che ha alle spalle l’organizzazione.
Magari il Gigli si batterà come un leone per abolire la 194, perseguire chi organizza turismo sessuale per affittare uteri, proibire ogni forma di eutanasia, salvare le migliaia di embrioni che vengono gettati nella spazzatura con la fecondazione in vitro. Magari sarà esattamente così, Fulbright o non Fulbright.
Davanti a noi, al momento, abbiamo però avuto un altro spettacolo.
Abbiamo visto – con i nostri occhi – menzogne, retromarce, manipolazioni.
Per l’intanto, quindi, caro onorevole Gigli, vergogna.
E la vergogna sia anche su quei cristiani – politici, funzionari, intellettuali, elettori e perfino Vescovi – che permettono che simili personaggi si gettino sul palcoscenico di questa apocalisse, fingendo di rappresentare il Cattolicesimo politico di questo Paese.
Abbiamo bisogno di Santi ed Eroi. Di baroni traditori, di panciafichisti vigliacchi, di Pinocchi di pongo, di utili idioti della Cultura della Morte proprio non sentiamo necessità, se non quella di vederli spazzati via dalla scena politica. Per sempre.