In Giovani idee (Edizioni Ares, 2023, pagine 184, € 16,00), si sono raccolti dei brevi e stimolanti saggi (alcuni inediti in italiano) che Gilbert Keith Chesterton scrisse tra il 1922 e il 1928 su “The Illustrated London News”. La raccolta di questi incisivi articoli, a cura di Giovanni Maria Molfetta, giovane studioso appassionato chestertoniano, sottolinea quella “felicità di pensare” che ha caratterizzato la statura del grande scrittore londinese. Diviso in tre parti, il libro evidenzia quanto le “giovani idee” chestertoniane, a distanza di quasi un secolo, appaiono fresche e attualizzabili, non solo per gli studiosi in senso stretto del giornalista di Beaconsfield, ma per tutti coloro che abbiano a cuore l’allargamento della ragione e la gioia del pensare con realismo cristiano e senza pregiudizi. Ritendo indispensabile quindi accostarsi alla lettura seguendo alcune direttive che Chesterton spiegò nella sua Autobiografia, riportate correttamente all’inizio del libro dal curatore: “Il solo fatto di avere una mente aperta non significa nulla; l’obiettivo di aprire la mente, come di aprire la bocca, è di chiuderla di nuovo su qualcosa di solido”. Credo che il realismo metafisico e gnoseologico di Chesterton che traspare da questa stupenda e semplice frase, lo ponga indiscutibilmente sulla scia del realismo tomistico, su quel maestro di pensiero che fu per Chesterton l’Aquinate, a cui dedicò un celebre saggio in età matura.
Sul tempo libero e sulle giovani idee
Leggere e cercare di comprendere Chesterton non è mai stato un esercizio facile, in quanto il giornalista-scrittore inglese si preoccupa di farci vedere l’altro lato delle cose, operando quel caratteristico e originale capovolgimento che ha contrassegnato il suo argomentare e i suoi personaggi dei romanzi: da Innocenzo Smith, Uomovivo, che usa paradossalmente una pistola non già per uccidere (come farebbe l’uomo moderno) ma per far riscoprire la vita a lo stesso celeberrimo Padre Brown, la cui apparenza nascondeva un insospettabile acume (psicologico-teologico) sino a Gabriel Gale, artista-filosofo che rimanda alla stessa duplice natura di Chesterton.
Quando si parla di “tempo libero” quindi, esercitando la ragione, non ci si dovrebbe mai confondere con la parola “libertà”: “Uno schiavo può avere molte ore libere se il padrone è andato a dormire…tuttavia, dev’essere sempre pronto a lavorare. Il punto, allora, non è tanto che il padrone possiede la sua fatica, ma che possiede il suo tempo”. E, sembra suggerire Chesterton, se gli “schiavi” fossimo noi? Se formulassimo la questione del cosiddetto “tempo libero” in un altro modo, cercando di rispondere alla domanda posta acutamente da lui: “Che tipo di vacanze il sistema generale della società ti permette di avere?”, saremo così sicuri di godere del “tempo libero”? La risposta del grande londinese fa meditare: “Sto solo notando che la struttura della società determina la natura del tempo libero di un uomo quasi quanto la natura del suo lavoro”.
Ragionamenti di un secolo fa che si rivelano, come ha sottolineato giustamente Giovanni Molfetta, “giovani e fresche idee” da riutilizzare, da servirsi per affrontare con realismo le vicende del vivere quotidiano. Ancora una volta, in tal senso, il grande Chesterton sale in cattedra e ci illumina: “Così come noi desideriamo che una persona suoni per gusto, allo stesso modo vogliamo che pensi per gusto…il problema di fondo del curioso ambiente culturale in cui ci troviamo è che abbonda di etichette del linguaggio invece che di sviluppi del pensiero…chiedersi dove nasca un ragionamento, valutare dove questo conduca: tutto questo sembra essere un mondo sconosciuto per molti di quelli che, con lieve disinvoltura, usano i toni tipici del dibattito impegnato”. Per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco, Chesterton invita a pensare con la propria testa o, per dirla con Giovannino Guareschi, per certi versi il “Chesterton italiano”, a non versare il cervello all’ammasso.
I sentimenti, le emozioni
In Ortodossia, Chesterton aveva descritto la natura dei pazzi razionalisti che avevano perduto ogni contatto con la realtà: “Il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma colui che ha perso tutto, tranne la ragione”. La difesa dei sani sentimenti e delle legittime emozioni non solo non contrastano con la “sana ragione” ma permettono di salvaguardare il realismo del senso comune: “Non c’è nulla di illusorio o superficiale nel riconoscere l’importanza delle emozioni che nascono dalle cose, nessuna debolezza nel mostrare sentimenti come questi, nessun realismo nel rinnegarli. Il sentimento è un fatto; per di più un fatto fondamentale”. Tutto si lega, organicamente: sentimenti, ragioni, emozioni, fanno parte della natura della persona umana e tutto deve essere tuttavia compreso ed equilibrato: “Il suo dolore è un puro fatto di natura, concretissimo e immutabile, tanto reale quanto un pezzo di roccia”.
Quel grande maestro di pensiero e di vita che è stato Chesterton non smette mai di farci confrontare con la sostanza delle cose per poter coglierne l’irriducibilità nell’universalità, nella semplicità e nella stabilità. Il riconoscere i giusti sentimenti, precisa lo scrittore inglese, non ha nulla a che fare con l’eccesso del sentimentalismo che, al pari della ragione, potrebbe essere usato per celare, manipolare il reale: “Ma è sentimentalismo usare le parole allo scopo di confondere e trascurare, quando invece dovrebbero definire e decidere”. In un altro articolo, Chesterton compara mirabilmente quanto le sane e corrette idee siano scaturite, ad emblema della felicità di pensare, dalla civiltà cristiana occidentale: “Ora, è proprio in fatto di idee che la nostra stessa civiltà ha mostrato tutta la sua grandezza e la sua meraviglia”.
La ricerca del piacere
Si parlava di equilibrio dei sentimenti e delle emozioni per non cadere nell’eccesso del sentimentalismo e dell’emotivismo; anche nella ricerca del piacere legittimo, lungi dal perorare dottrine edonistiche che riverberano un “carpe diem” orizzontale e piatto, Chesterton ci insegna come contenere un piacere, come equilibrare un desiderio, scagliandosi contro quella che era una terribile moda, l’unione di due piaceri contrastanti come gustare una buona cena e, contemporaneamente, un ottimo concerto: “La moda di ascoltare musica ad alto volume durante i pasti nei ristoranti e negli hotel mi sembra un esempio perfetto di quel tentativo caotico di avere tutto subito e fare tutto in una volta. Mangiare, bere e parlare sono giunti a noi, legati insieme tra loro, da una tradizione antica quanto il mondo; ma l’entrata in gioco di questo fattore rovina soltanto gli altri tre”.
L’accostamento dei due legittimi piaceri (gustare una cena deliziosa, ascoltare una buona esecuzione musicale) oltre che essere sgradevole, suggerisce Chesterton, uccide la felicità del godere: “Chi permette che i colori del godimento si annullino a vicenda in questo modo può, a rigore di termini, essere chiamato “sicario della gioia”. Ricerca del piacere umano è combinazione quindi di assaporare la grandezza ma con equilibrio, centellinando un bicchiere di vino, gustando lentamente le pietanze. La buona musica abbisogna di un ascolto attento per poter essere mischiata con i dolci sapori della cucina! Con la combinazione estrema di questi piaceri accavallati si ottiene, secondo Chesterton, l’esatto contrario: l’annullamento del piacere.
Il senso della meraviglia
La duplice natura in Chesterton, già menzionata, di artista e filosofo, permette di introdurci su quel “senso della meraviglia” che appartiene al senso comune di tutte le persone. Solo coloro che rifiutano di essere naturalmente un po’ artisti e un po’ pensatori negano di meravigliarsi dinanzi al mistero della realtà delle cose. Gilbert Keith Chesterton afferma il contrario e difende tutta la natura dell’uomo (la ragione, i sentimenti, le emozioni, la meraviglia implicita): “La dignità di un artista consiste nel suo compito di mantenere vivo nel mondo il senso della meraviglia”. La “felicità di pensare” attinge dal rapporto con il creato, dal suo misterioso essere che spalanca alla gioia e allo stupore dinanzi alle cose. Si comprende come quel segreto terribile del cristiano (già difeso in Ortodossia) sia la gioia, che nasce dalla gratitudine di una creatura che ha intravisto all’opera il Creatore, di Colui che vide che ogni cosa creata era buona. Ottima agli occhi di Dio, meraviglia e gioia ai nostri occhi!
Conclusioni
Ha fatto bene Giovanni Maria Molfetta a presentarci questa raccolta di brevi saggi e articoli di inizio ‘900 di Chesterton. Il grande scrittore londinese non lo si può affatto confinare nei romanzi, nei saggi, va letto e meditato a lungo anche in questi articoli quotidiani, ove lascia trasparire la potenza e la gioia di pensare, la sua originalità di “essere nel mondo”, ma “non del mondo”. Chesterton ci invita a non prendere drammatiche scorciatoie del pensiero e ci vuole sorprendere perché lui stesso è folgorato e stupito dinanzi al mistero delle cose. Ecco che così quel suo felice pensiero di un secolo fa può aiutarci a capire il senso della nostra esistenza oggi, facendo sì che quelle apparenti vecchie idee siano giovani e fresche ai nostri occhi e, quel che più conta, agli occhi di Dio!