di Clemente Sparaco
IL BEL PAESE
Alla vigilia dell’età moderna, l’Italia è già più di una mera espressione geografica (parafrasando la nota affermazione del principe di Metternich). Non è ancora un’entità politica, ma esprime una grande identità culturale e spirituale, sintesi di diverse sensibilità unificate da un comune riferimento e da una comune radice.
La comune radice la si deve ricercare nella fede religiosa, fisicamente espressa in quelle fucine di valori religiosi, culturali ed artistici, che sono le sue abbazie, i suoi santuari e le sue chiese. La si può riscontrare ancora, incarnata nelle forme di devozione popolare, che improntano le processioni e i culti, quelli dei santi, come quelli della Madonna, figure in cui il dolore di generazioni ha trovato una sua soddisfazione ed un suo riscatto. La si può riscontrare, infine, nel vissuto più intimo quotidiano, avendo improntato di sé quell’istituzione autenticamente cristiana che è la famiglia monogamica, intorno a cui ruotano le relazioni fondamentali dell’esistenza.
In questo l’Italia ritrova un suo specifico spirituale rispetto a Roma e alla latinità pagana, in quanto indissolubilmente legata per la sua storia e i suoi destini alla cristianità.
Il comune riferimento può essere una caratteristica della sensibilità italica che si esprime nelle forme del bello, avvertito come il modo proprio di illustrare questa spiritualità. Tale riferimento non esclude, ma, al contrario, implica la radice cristiana, sia storicamente, in quanto dal culto e dalla religione sono nate le prime forme artistiche, sia proprio come nucleo profondo sempre presente, anche laddove ci se ne discosta.
L’Italia è il Bel Paese, il Paese in cui il bello non ha un valore solo estetico, ma essenziale. Il bello è ciò che la caratterizza, ciò che la rende unica rispetto ad altri Paesi. Il riferimento è comune, ma le direzioni attraverso cui si muove questa tensione estetica sono diverse, come diverse sono le sensibilità e tradizioni all’interno della penisola (come sono diversi i gusti pittorici o architettonici toscani da quelli veneti o da quelli siciliani!). Tante sono le contaminazioni e tanti gli intrecci, che si sviluppano nel corso dei secoli nelle diverse parti d’Italia, ma la forte identità spirituale radicata nella fede è in grado di assimilarli, senza esserne travolta. Qui, forse, si può rintracciare il segreto della creatività e della genialità italica nelle sue più diverse espressioni.
Di questo genio creativo sono frutto l’Umanesimo ed il Rinascimento, che l’Italia elabora da sé, esportandone, alla fine, modelli artistici, idee, gusti etc. in tutta Europa. Di questo genio artistico è espressione la storia del melodramma italiano, che arriva fino alle creazioni dei grandi compositori di opere liriche dell’800 e del 900 (si pensi a Rossini, Verdi, Bellini, Donizzetti, Puccini etc.). Ma l’elenco potrebbe continuare e si potrebbe arrivare a parlare del genio artistico italiano nel cinema (si pensi al Neorealismo!) o nella moda etc.
Ma l’Italia, ed è questo un luogo comune della storiografia risorgimentale, non è, politicamente parlando, più di un’espressione geografica. Divisioni e conflitti interni ne hanno fatto una terra di conquista da parte delle varie potenze di turno: Spagna, Austria, Francia etc. Di conseguenza, nei giochi di predominio in Europa l’Italia ha un ruolo del tutto passivo. Sono gli altri che se la giocano, se la spartiscono e ne decidono le sorti.
In particolare, il Nord Italia è preda dei suoi potenti vicini. Depredato, sfruttato e invaso ne subisce il giogo autoritario e gli interessi. Nel corso dei secoli cambia padrone a seconda dei rapporti di forza che si instaurano in ragione di equilibri esterni. Viene, quindi, progressivamente spogliato di interi pezzi. Aree storicamente italiane, in quanto accomunate da dialetti di ceppo italico, da sensibilità comune e da radice comune, sono progressivamente incamerate dai potenti vicini, per cause diverse, che, comunque, si rapportano alla debolezza politica dell’Italia divisa in staterelli. La Corsica, Nizza, l’Istria, Fiume, la Dalmazia etc. smettono di essere linguisticamente e culturalmente italiane e finiscono per essere assimilate alle nazioni che se ne impossessano. Basti citare, il caso emblematico della deitalianizzazione forzata di Istria e Dalmazia, che, iniziatasi a partire dalla fine della Repubblica di Venezia nel 1797 (frutto di un accordo spartitorio a tavolino fra Francia e Austria), si conclude nei modi tragici della pulizia etnica, delle foibe e dell’esodo indotto, se non forzato, avvenuti dopo la seconda guerra mondiale.
L’irredentismo, ormai consegnato alla storia, aveva le sue ragioni!
Quanto alle ragioni del Risorgimento, esse sono nel sentimento della Patria oltraggiata e offesa e si ritrovano più a Nord che a Sud. In particolare, le violenze e le prevaricazioni subite ingenerano la convinzione che “liberi non sarem, se non siam uni” (Manzoni), che la libertà e l’indipendenza, passano per una ritrovata fratellanza.
LA MORTE DELLA PATRIA
Il Risorgimento non esprime, almeno negli auspici dei suoi estensori, un valore di sopraffazione verso altri. Non è un nazionalismo aggressivo, ma vuole affermare una fratellanza in ragione della comunanza di radici, sensibilità, lingua e cultura.
Gli Italiani sono fratelli! Il plurale richiama le diversità e le particolarità insopprimibili. Non esiste ancora una patria comune, ma una fratellanza ha ragione di essere e, a partire, da questa, si può edificare una patria comune, che esalti questa fratellanza. La fratellanza italiana è un valore spirituale, che trova espressione non confessionale in quello che ne è l’apostolo laico, Giuseppe Mazzini. Ma un valore simile riveste in Gioberti, in cui trova un’espressione ancora vicina al Cattolicesimo, che ne costituisce la radice sempre viva.
Il Fascismo eredita tutto questo, ma lo esaspera. L’ideologia trasforma la fratellanza in un egoismo arrogante e prevaricante, che dimentica la grande lezione dei padri risorgimentali. I valori della forza finiscono per prendere il sopravvento sui richiami artistici e spirituali, i risentimenti e i complessi di potenza, o di mezza potenza, spingono ad alleanze e a scelte che si riveleranno disastrose. Alla fine, il Fascismo causa l’implosione della fratellanza italiana e la sconfitta storica delle ultime rivendicazioni irredentiste, immesse maldestramente nel gioco del predominio fra le potenze. All’indomani dell’8 settembre l’Italia è divisa fra Repubblica, alleata con i Tedeschi al Nord, e Regno, alleato degli Americani a sud, e vi si combatte un’efferata guerra civile fra aderenti alla Repubblica sociale e partigiani. L’Italia è a tutti gli effetti un Paese vinto!
Da allora il patriottismo diventa un tabù. Il politicamente corretto, che si impone dopo la guerra, mette indistintamente sullo stesso piano fascismo e nazionalismo. I miti del Risorgimento sono accontonati. Non si parla più di fratellanza italiana e ci si dimentica di quegli Italiani che, più di tutti, subiscono le conseguenze della sconfitta, venendo sacrificati sull’altare del quieto vivere e della ragion di stato. Gli Istriani, i Fiumani e i Dalmati, che soffrono per la loro libertà e identità violentemente conculcata, sono tacciati di fascismo, emarginati nella stessa patria in cui hanno cercato rifugio dai loro aguzzini, cancellati dalla storia ufficiale e poi zittiti.
Il comunismo si diffonde nel Paese e imperversa sempre più nelle università, sui giornali, facendo proseliti fra i dotti soloni patrocinatori di nuovi valori alternativi e fra i diffusori di mezza cultura dei giornali o delle scuole. In linea con l’ideologia marxista, materializza la storia e fa dell’economia la ragione vera della convivenza civile, despiritualizzando la politica. In più, il comunismo fomenta la conflittualità fra capitale e lavoro, fra ricchi e poveri, fra laici e confessionali, fra meridionali e settentrionali, scatenandosi contro ogni forma di fratellanza a base patriottica e fomentando, semmai, l’unità in base alla classe. In luogo del nazionalismo cavalca l’internazionalismo socialista. La patria, identificata, sic et simpliciter, con il fascismo è rigettata. L’Italia inizia, non dal Risorgimento, ma dalla Repubblica! I valori dell’Italia iniziano con la Costituzione, che ha dato l’avvio all’Italia democratica ed antifascista e tutte le precedenti eredità morali devono essere guardate alla luce di questi valori. Il comunismo combatte, quindi, le radici religiose dell’italianità, e le grandi istituzioni che da esse derivano, come la famiglia. Si salda, alla fine, con il laicismo libertario ed intollerante che si diffonde in Italia a partire dalle battaglie per il divorzio e l’aborto.
L’impatto dell’ideologia marxista, per quanto attiene alla fratellanza italiana, è devastante.
Così pure risulta negativo il mito della democrazia liberale, patrocinata dai liberatori, che si diffonde in chiave illuministica, come collegata al liberismo e al progresso economico. Negli anni ’60 tutto questo figlia il mito del benessere legato ai beni materiali, agli elettrodomestici, alla televisione, alla vacanza al mare e poi al telefonino. Il liberalismo su base individualistica, frammisto al liberismo economico e al capitalismo finisce per essere, a sua volta, dirompente rispetto al senso di comunità nazionale. Mette in discussione i valori comuni, in ragione delle libertà individuali. Pretende di incrinare il rapporto costitutivo fra italianità e religione. Destabilizza i valori che attengono alle relazioni fondanti, fra uomo e donna, fra figli e genitori, e, quindi, il matrimonio nelle forme tradizionali, nonché i valori ultimi della vita.
In questo svilimento del tessuto connettivo spirituale che teneva assieme le diverse parti e anime dell’Italia, le ragioni della fratellanza passano sempre più in secondo piano. Prevalgono invece i localismi, sempre insorgenti in Italia, le intolleranze, le difese ottuse dei traguardi economici raggiunti. I localismi ritornano insieme ai legittimi richiami alle particolarità regionali, che sono tra l’altro una costante nella storia d’Italia, e alle possibilità offerte dal federalismo come alternativa al centralismo nel governo dei problemi del Paese. Nel Sud ritorna, più che altrove, l’assenza di Stato e di legalità, giocata dal partitismo, specie dopo gli anni ’60, in funzione dell’acquisizione di consensi con i mezzi più sbrigativi e spiccioli e della conservazione di clientele.
I fratelli d’Italia si presentano ormai divisi e disincantati di fronte alle sfide della globalizzazione.