In queste ore di celebrazione del quarantennio della 194 ci preme gettare un po’ di luce su qualcosa che il sedicente mondo pro-life italiano ha sempre bizzarramente ignorato. Così come i Rockefeller sono principi indiscussi della necrocultura americana (con l’odio per la riproduzione naturale che si tramandano da una generazione all’altra), anche l’Italia ha la sua famiglia designata, che tanto ha fatto per portare la legge dell’immane massacro degli innocenti nel nostro Paese: questa famiglia si chiama, per ironia onomastica, Agnelli.
Il suo impegno su questo fronte è negletto dagli studi di chi si occupa della materia, anche se ha contribuito attivamente a un sacrificio umano grande più o meno come il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, il Trentino-Alto Adige e un pezzo di Lombardia messi insieme. Al moloch dell’aborto sono stati sacrificati almeno 6 milioni di innocenti: un’ecatombe che in termini di morti vale almeno 50 Nagasaki.
I Rockefeller italiani
È noto perfino alle cronache mondane come i Rockefeller avessero negli Agnelli un loro pied-à-terre italiano. Non c’è solo una simpatia tra due vecchie dinastie delle industrie pesanti che hanno business complementari (una produce petrolio, l’altra motori a scoppio). E nemmeno ci sono solo le cointeressenze dovute alle comuni, inevitabili frequentazioni dei club globalisti come il Gruppo Bilderberg o la Trilaterale (quest’ultima, come tanta della politica estera sia militare che diplomatica degli USA, nata nei laboratori dei ricchissimi nuovayorchesi).
Qualche storico, come Anthony Sutton, ha pure suggerito che l’unione delle due famiglie portasse a dinamiche mondiali infernali: i Rockefeller, secondo Sutton, sono i veri attori dietro agli investimenti industriali della Fiat in Unione Sovietica. Con il paradosso che i mezzi che uccidevano i soldati americani in Vietnam fossero prodotti grazie ai trasferimenti tecnologici degli americani Rockefeller, che continuarono per decenni. Uno che aveva capito il giochino era probabilmente il deputato nazionalista americano Larry McDonald, acerrimo nemico dei Rockefeller. Egli era casualmente uno dei 269 passeggeri del volo civile Korean Airlines 007, dall’Alaska a Seoul, che Yuri Andropov fece abbattere dai suoi MiG il 1° settembre 1983.
Il “fascino dell’Avvocato”
Ma nel legame tra i due casati c’è molto di più: c’è un fattore, come dire, umano. Quando si chiedeva a David Rockefeller di Gianni Agnelli, al vecchio riccone brillavano le pupille. Era anche lui, come tutta la stampa italiana, vittima della panzana del “fascino dell’Avvocato”. E questo pur essendo infinitamente più abbiente: il Rockefeller, che allo specchio probabilmente scorgeva un paperone nerd, invidiava il playboy italiano e i suoi party scatenati a Nuova York, dove nessun membro della famiglia piemontese era ammesso, con una eccezione: il nipote Lapo. Sì, solo da questo dettaglio si possono capire tante cose…
A quelle feste, le donne, si narra, erano le più belle della terra. Gli uomini presenti erano del calibro di Henry Kissinger, l’onnipotente Segretario di Stato americano ancora oggi vivo e vispo sullo scacchiere internazionale. Kissinger adorava l’Avvocato e tutta la sua stirpe: si racconta che la prima riabilitazione di Lapo, dopo il primo scandaletto con il transessuale, avvenne grazie a Kissinger (presso il quale il giovane Agnelli aveva lavorato), il quale aveva sicuramente buone entrature con tutto un mondo della stampa americana che improvvisamente cominciò a dedicare innumerevoli servizi al rampollo torinese. “Vogue America” dedicò decine di pagine, una cosa mai vista. Anche gli Agnelli hanno amato molto Kissinger, al punto da piazzarlo nel Consiglio di Amministrazione della Juventus.
Kissinger e il Male americano
Ma, venendo a noi, Kissinger è soprattutto l’uomo del NSSM-200, il Memorandum per il quale l’America stabiliva che per continuare il suo dominio sul globo doveva far crollare la popolazione mondiale. Per questo, veniva stabilito che i Paesi del Terzo Mondo che non accettavano le politiche di riduzione delle nascite dovessero essere privati di aiuti economici.
Quando la cosa venne a galla, anche grazie al lavoro della forza politica di Lyndon Larouche che giustamente vedeva in Kissinger l’apoteosi del male, in realtà non successe niente. Kissinger continuò a godersi i suoi party e le partite della Juve, e a dispensare i suoi servigi con il suo studio di consulenze miliardarie.
Questa tendenza americana a subordinare gli aiuti alla perversione sessuale e agli infanticidi, del resto, è ancora viva nei nostri anni. È il caso della Nigeria del precedente presidente Jonathan Goodluck, cui venne proposto dagli sgherri di Obama di fare un cambio interessante: se avessero accettato di decriminalizzare l’omosessualità e permesso le nozze di Sodoma, gli americani avrebbero fornito loro le immagini satellitari delle postazioni dei terroristi islamici di Boko Haram. Altrimenti, beccatevi le bombe nelle chiese la domenica e state zitti.
Aurelio Peccei, un uomo Fiat al Club di Roma
Ma torniamo agli Agnelli. Preme raccontare come essi furono i grandi protettori di un enigmatico personaggio torinese. Costui fu centrale nel lancio dell’idea di depopolazione terrestre in tutto il secondo Novecento. Egli fu altresì un grande motore di quelle tendenze che potevano essere ancillari in questa mostruosa guerra contro l’uomo: l’ecologia, per esempio.
Stiamo parlando di Aurelio Peccei. Peccei era uomo Fiat. Egli è la persona che più di ogni altra si è dedicata, su scala internazionale, alla diffusione del mito apocalittico moderno della “bomba demografica” (quella che oggi viene propalata fin dentro il Vaticano che invita Paul Ehrlich) e dei “Limiti dello sviluppo”, titolo di uno studio del MIT che egli finanziò: questo è esattamente il cominciamento di tutto il sentire mondiale per cui le risorse sono limitate e l’uomo va svalutato, altrimenti si finisce come quei bambini africani magrissimi con la pancia gonfia.
Fu Peccei, sempre con il sostegno Agnelli e Rockefeller, a dar vita al Club di Roma, antesignano di tutti i consessi tra potenti della terra, creato presso l’Accademia dei Lincei alla Farnesina il 7 aprile 1968 con la sponsorizzazione diretta della Fondazione Agnelli.
Susanna Agnelli e le prove tecniche di aborto
Ma senza andare a scandagliare la sinistra figura di Peccei, che aveva sicuri appoggi massonici in Sudamerica e finanche in Asia, basti pensare l’impegno politico degli Agnelli già visibile in superficie. Il tema del feticidio fu impugnato dalla famiglia stessa. Nel 1976, cioè due anni prima che arrivasse la 194, la deputata del Partito Repubblicano Italiano (notoriamente, il partito della massoneria) Susanna Agnelli chiese al Ministro della Sanità l’autorizzazione all’aborto per le madri di Seveso, cioè quelle donne incinte al tempo del disastro chimico che colpì la cittadina lombarda.
La richiesta della Agnelli, ovviamente, si univa a quella della deputata radicale Emma Bonino. È profondamente ingiusto vedere come oggi il mondo pro-life si scagli quasi unicamente contro la radicale che praticava gli aborti con la pompa da bicicletta e non contro l’infanta industrialista.
Per l’Agnelli, insomma, questa anteprima nazionale del feticidio di Stato doveva farsi per forza. La diossina di Seveso era un’occasione troppo ghiotta. Il Ministro De Falco concesse la deroga, non prima di aver avuto il placet del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il cattolico che due anni dopo avrebbe firmato la legge genocida 194.
Gli aborti invocati dalla Agnelli vennero operati alla clinica Mangiagalli di Milano e al nosocomio Desio. Furono fatti degli studi sui poveri resti dei bambini massacrati. All’epoca una vita valeva davvero qualcosina di più: oggi a Liverpool, per fare un esempio a caso, l’autopsia la negano perfino a un bambino di due anni. I resti degli aborti furono inviati in un laboratorio di Lubecca, in Germania, per essere analizzati; nella relazione stilata nel 1977 dai tedeschi si dice che in nessuno di quei resti umani fosse evidente un segno di malformazione.
Altre donne di Seveso portarono a termine le loro gravidanze senza problemi. I loro figli, che vivono tutt’oggi, non mostrarono segni di malformazioni evidenti. Qualcuno magari sta pure leggendo queste righe.
Il disastro di Seveso non fu altro che il casus belli necessario all’avvento della legge 194. Il ruolo centrale degli Agnelli nell’ecatombe che ne seguì è quindi da non sottovalutare. Essi non facevano altro che viaggiare su di una linea tracciata nei decenni dai loro soci Rockefeller, e teorizzata scientificamente dal loro uomo Aurelio
Peccei.
Anche per questo, dobbiamo comprendere come la famiglia Agnelli sia un pericolo per questo Paese. Nella politica, nei giornali e perfino nel calcio, il loro nome incute ancora oggi timore e sudditanza psicologica. Ma va da sé, a loro tutto è permesso. Hanno aiutato il Male a portare l’aborto in Italia. Diciamo che sono stati ampiamenti premiati. Io però continuo a credere che una punizione arriverà, anche prima che venga il giudizio vero.
12 commenti su “Fiat aborto. La famiglia Agnelli dietro le quinte della legge 194 – di Roberto Dal Bosco”
Ricordo che sul settimanale “OGGI” (giornale profondamente anticattolico) c’era una rubrica intitolata “risposte private di Susanna Agnelli” : le risposte erano quelle di una donna senza fede e che seguiva ciecamente il pensiero unico dominante: leggevo quella rubrica soltanto per vedere come ci si riduce quando si rifiutano ostinatamente Dio e le Sue Leggi.
Mi sembra che Lapo sia l’inizio della nemesi….
Sembra anche a me.Del resto i maschi Agnelli sono finiti,no?Ci sono nipoti ma con altro cognome.
Articolo perfetto, cui aggiungo tre puntualizzazioni. Primo, effettivamente la famiglia Agnelli era c*lo e camicia con i potentati massonici plutocratici internazionali, come correttamente scrive Dal Bosco, che però dimentica l’altro e più determinante attributo: ebraici. Gli stessi Elkann (Elchanan) sono un’antichissima famiglia di banchieri ebrei, antenati di Mayer Amschel Rothschild, imparentati con questa famiglia dal XVI secolo. Secondo, la Russia sovietica non fu altro che una creazione di Sion; si veda questo interessante approfondimento: goo.gl/2Chkre . Terzo, il famigerato Club di Roma nasce nel 1968, annus horribilis per l’intera millenaria civiltà occidentale; e non a caso. Meditate, gente, meditate, diceva Arbore sorseggiando una birra…
I guasti provocati dal manifesto del Club di Roma sono ancora in atto e costituiscono la guida di alte espressioni attuali della intellettualità italiana. Quel club fu la fucina di formazione di molti esponenti sia della politica che della cultura nostrana, la cui matrice massonica era fuori discussione. Quanti prelati hanno avuto contatti e frequentazioni con quel club? Certamente troppi. Quel club credo che ora non esista più ma dalla sua nidiata è uscito il fior fiore della classe politica e intellettuale della repubblica. Ora vediamo i risultati: un Italia che non è più sé stessa e con essa anche la Chiesa di Roma. Il rovesciamento di questa situazione non è alla portata dell’Uomo ma solo di Dio. E’ già avvenuto con Costantino e avverrà ancora perché sarà un ex avversario a rovesciare le sorti.
dunque….. speriamo in Putin!
Comunque volevo ricordare a tutti che la famiglia Agnelli ha pagato già un po per i suoi crimini. .. Il suicidio del figlio dell’avvocato! Non mi ricordo in quale anno.
Seguo con interesse gli articoli di Dal Bosco, del quale ho letto e apprezzato in modo particolare l’ottimo libro “Contro il buddismo” che ho regalato a diversi amici. Spero che Riscossa Cristiana continui a ospitare articoli dell’autore.
Rispondendo a Grazia, ricordo che un vecchio articolo di Blondet descriveva la reazione cinica e indifferente dell’Agnelli alla notizia del suicidio del figlio… È una punizione solo se si amano i propri figli.
L’arroganza e la protervia degli Agnelli è di chiara evidenza, basta vedere come vince la juventus
SUGLI AGNELLI STUDI MAGISTRALI LI HA FATTI E PUBBLICATI GIGI MONCALVO
I PRIMI IN ASSOLUTO CON CHIAROVEGGENZA SBALORDITIVA A DENUNCIARE LE MANOVRE DELLA CRICCA DEL CLUB DI ROMA FURONO GIORGIO CESARANO E GIANNI COLLU NEL LORO VOLUME “APOCALISSE E RIVOLUZIONE” NEL LONTANO 1973
“I nostri invisibili governanti sono, in molti casi, essi stessi non al corrente dell’identità dei loro colleghi all’interno della loro cerchia”: come chiamare questi procedimenti se non magie, veleni ed incantesimi?
Sembra qualcosa di familiare dopo aver studiato quanto accadde negli anni Sessanta negli Stati Uniti.
Interessante da notare la vicinanza al Tavistock di Margaret Mead e suo marito Gregory Bateson.
Difatti Bernays si incrociava con la Mead in seno alla Society for Applied Anthropology, un’istituzione culturale creata dalla stessa Mead, e la Society for the Psychological Study of Social Issues, un gruppo creato da John Rawlings Reese, un membro fondatore del Tavistock.
Uno degli accoliti di questi gruppi era Donald Michael che avrà un ruolo importante nel Club di Roma, una consorteria fondata da Aurelio Peccei, un top manager nell’éntourage Fiat, che promosse illo tempore la deindustrializzazione, la crescita zero e la denatalità.
Giova ricordare che l’unica donna tra i fondatori del Club, fu Elisabeth Mann, segno che la rete delle “magiche costellazioni”…