di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
Qualche rilievo tecnico e qualche dubbio interpretativo a margine della recentissima introduzione del reato di femminicidio
La nuova figura criminosa, creata per rispondere a una pressante richiesta della società civile da un legislatore accorto quanto sensibile in perenne armonia con un grande governo di larghe intese, soddisfa con lungimiranza quella profonda aspirazione alla giustizia che alimenta la speranza e la fiducia in un mondo migliore.
Si pone sulla scia dei moti di pensiero che hanno condotto alla liberazione dei negri d’America e all’affrancamento dei contadini asserviti alla terra da parte dell’illuminato Czar Alessandro VI.
Esso viene inoltre a incontrare, in una felice e preziosa congiuntura che nutre quella speranza e quella fiducia, un altro filone normativo gravido di nuovi insperati frutti (bel colpo!).
Per entrare subito in medias res: un approfondito progetto educativo formulato a governo dimissionario da Elsa Fornero – ex ministra del Lavoro con delega alle Pari Opportunità – in un corposo documento ministeriale, recepisce e promuove la raccomandazione europea sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Il suo nucleo fondamentale consiste nel pianificare con pensosa sollecitudine l’addestramento alla libertà di scelta della propria identità sessuale, dalla Scuola dell’infanzia sino all’Università della terza età.
La fortunata coincidenza, che soddisfa un unico grande e plurale orizzonte culturale, presenta nondimeno dei profili problematici di un qualche rilievo. Ci si può chiedere, per esempio, con quali criteri si potrà individuare la qualità del soggetto passivo del reato (che di questo è elemento costitutivo) nel caso in cui quella scelta di genere sia stata esercitata in precedenza. In altre parole, nel caso di chi, nato Salvatore, sia diventato Serenella, ai fini dell’integrazione della fattispecie di femminicidio varrà l’identità anagrafica o quella successivamente prescelta dalla vittima? Il medesimo quesito si porrà nel caso invertito, in cui la piccola Michaela si sia convinta, con l’aiuto provvidenziale della Bayer, a diventare Giannantonio. La giurisprudenza avrà largo spazio per impegnare ogni risorsa ermeneutica messa a disposizione da una collaudata tradizione dottrinale.
Sul piano dell’accertamento, si farà ricorso ad un’ampia gamma di mezzi probatori: dall’inspectio corporis, alla prova per testimoni, al consenso presunto di recente introduzione giurisprudenziale.
Senza nasconderci l’evenienza di qualche imbarazzo postumo, già peraltro previsto con geniale icasticità da Billy Wilder in “A qualcuno piace caldo”, quando Jo/Josephine, incalzato/a dagli uomini del capobanda e rivolto/a all’amico/a Jerry/Daphne, pronuncia affranta la memorabile battuta: “Mi porteranno all’obitorio femminile, e lì morirò di vergogna”.
2 commenti su “Femminicidio. Interessanti futuri scenari nella (ex) patria del diritto – di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani”
Tormemtoso, demenziale, esilarante dilemma! peccato su di una tramadi tale funebre realtà……
Già,già, hanno ragione le autrici dell’articolo ! Come si risolveranno i dilemmi provocati dalla legge a tutela della “minoranza” “oppressa” ?
Seconda domanda: era una legge proprio necessaria in questi fulgidi tempi ecumenici di allargamento a dismisura verso l’islam e le sue leggi in contrasto con questa ?
Come potranno difendersi i poveri immigrati islamici che già ora spaziano,in totale immunità, a gestire le loro femmine procreatrici ?