ROMA, sabato, 9 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la relazione tenuta dal Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, in occasione dell’incontro dei Presidenti della Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche Europee (FAFCE), tenutosi a Bruxelles il 9 dicembre 2009.
Introduzione
Sono molto lieto di incontrare la Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche Europee (FAFCE). Dedicandovi alla promozione della famiglia, voi lavorate per dare un’anima all’Unione Europea, per dare un futuro alla nostra civiltà. Voi appartenete a quelle “minoranze creative” che, secondo il pensiero di Benedetto XVI, fanno la storia, sia quella civile sia quella ecclesiale. Voi non siete l’espressione di qualche ideologia o di qualche gruppo di potere economico, politico o mediatico, ma date voce alle esperienze e alle aspirazioni di una moltitudine di soggetti concreti, quali sono le famiglie, cellule vitali dei popoli europei.
Il Pontificio Consiglio per la Famiglia vede nelle Associazioni Familiari Cattoliche degli interlocutori privilegiati. Intuisce le vostre grandi possibilità di fruttuosa presenza sia sul versante ecclesiale sia sul versante civile. Voi potete svolgere un’attività multiforme, a tutti i livelli: animazione culturale nelle scuole, nelle parrocchie, nelle diocesi, nei media (stampa, radio, televisione, internet, ecc.); organizzazione di grandi eventi con ampia risonanza nell’opinione pubblica; progetti ed esperienze pilota per una città più amica delle famiglie; pressione sui responsabili delle istituzioni comunali, regionali, nazionali, europee per una amministrazione e una politica attenta alle famiglie. Voi potete intervenire a riunioni di assemblee e comitati; promuovere incontri di studio e proposta sui temi del momento; contattare i parlamentari dei diversi paesi che hanno incarichi a livello nazionale ed europeo; monitorare la loro attività; segnalare all’opinione pubblica e premiare con il voto quelli che si adoperano seriamente a favore della famiglia e della vita; denunciare attraverso i media e punire con il voto quelli che sono inerti, assenti, non coerenti con i vostri valori; tenere i collegamenti e collaborare assiduamente con quelli che sono più motivati e affidabili.
Siate protagonisti. Ricordate l’esortazione rivolta alle famiglie e alle associazioni che le rappresentano da Giovanni Paolo II: “Le famiglie devono essere le prime a far sì che le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non danneggino, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri delle famiglie. In questo senso devono crescere nella consapevolezza di essere protagoniste della cosiddetta politica familiare e assumersi la responsabilità di trasformare la società; altrimenti le famiglie saranno le prime vittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza” (Familiaris Consortio, 44).
Cercate di rafforzarvi con nuove adesioni alle vostre associazioni e con la formazione di responsabili e operatori molto motivati e competenti. Siate uniti all’interno di ogni associazione; coordinatevi tra le associazioni a livello nazionale e a livello europeo, in modo agile ed efficiente. Promuovete le associazioni familiari nei paesi dove ancora non esistono o non sono impegnate sul versante civile.
Con gli avversari ideologici e politici mantenete, per quanto è possibile, un atteggiamento di dialogo costruttivo. I cattolici condividono gli autentici valori moderni: la parità delle donne; la libertà di pensiero, di parola, di religione; la laicità dello Stato intesa come rispetto e valorizzazione del pluralismo religioso e culturale della società civile. Non confondono però i diritti umani con i desideri soggettivi degli individui.
Cercate, per quanto è possibile, di prevenire le scelte sbagliate, piuttosto che doverle poi combattere successivamente. Intervenite tempestivamente quando ci sono in discussione proposte, pericolose per la famiglia e la vita, come le due recenti proposte Mc Cafferty presentate al Consiglio d’Europa che mirano a introdurre il diritto all’aborto e ad abolire il diritto all’obiezione di coscienza contro l’aborto, o come la proposta in corso sull’omofobia che mira a concedere agli omosessuali il matrimonio e l’adozione dei bambini e ai transessuali protezione e vari benefici. A riguardo è degno di lode l’intervento fatto da “Alleanza delle famiglie di Romania” e dal Forum delle Associazioni Familiari italiane contro la prima proposta Mc Cafferty; ma il plauso sarebbe maggiore se fossero intervenute anche le altre associazioni.
Privilegiate la strategia della proposta. Mostrate la ragionevolezza delle vostre posizioni, basandovi soprattutto sui fatti. Da numerose indagini sociologiche, realizzate in diversi paesi, risulta che la famiglia naturale, anche quando non è perfettamente riuscita, porta molti più benefici e molto meno danni alla società che non le famiglie disgregate dal divorzio, le famiglie monoparentali, le famiglie ricomposte, le convivenze di fatto, le unioni omosessuali. Studiate attentamente i dati statistici; raccoglietene di nuovi; fateli parlare con forza all’opinione pubblica, alle classi dirigenti e ai politici.
Il Pontificio Consiglio per la Famiglia, in seguito al VI Incontro Mondiale di Città del Messico, sta avviando un progetto di studi e ricerche sociologiche sui benefici, per le persone e la società, procurati dalle famiglie sane e viceversa sui danni procurati dalle famiglie disgregate e incomplete. L’obiettivo è quello di sensibilizzare in vari paesi l’opinione pubblica, la politica e l’economia a sostenere la causa delle famiglie. Si spera che il linguaggio dei fatti possa riuscire più persuasivo di quello delle idee. Si dovrebbero percorrere due piste: la raccolta e lo studio dei dati statistici già esistenti, l’attuazione di nuove indagini non solo descrittive, ma esplicative, adatte a evidenziare i nessi causali e gli appropriati interventi da fare. Si comincerebbe con un piccolo numero di paesi campione, in modo da poter presentare i risultati al VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano nel 2012. Successivamente, se questo primo esperimento avrà successo, l’iniziativa potrà essere estesa a tutti i paesi disponibili ad accoglierla.
Ora, proprio riferendomi ai dati statistici (Mi scuso per la omissione delle fonti e per qualche eventuale inesattezza), mi permetterò di indicare due piste che mi sembrano prioritarie in Europa oggi: la pista dell’emergenza demografica e la pista dell’emergenza educativa. Prima però voglio presentare una riflessione di carattere antropologico.
La famiglia nella prospettiva dell’antropologia cristiana
Ogni forma di vita, di crescita, di amore, di bellezza e di felicità richiede una certa molteplicità e una certa unità. La famiglia è il luogo dove si valorizzano e si armonizzano le differenze fondamentalidell’essere umano, quella dei sessi (uomo-donna) e quella delle generazioni (genitori-figli).
La sessualità, come qualcuno ha detto (M. Zundel), è altruismo scritto nell’anima e nel corpo, differenza nell’eguaglianza in vista del dono reciproco e della comunione. L’uomo e la donna sono ambedue esseri umani, di pari dignità. Sono però diversi nel corpo (organi genitali, aspetto, volto, voce). Generano ambedue, ma in modo diverso: l’uomo fuori di sé; la donna dentro di sé. Coerentemente con questa differenza basilare, hanno attitudini, interessi, intelligenza, caratteri diversi; comprendono, amano, comunicano in modo diverso. Ciò che è più spontaneo per uno, l’altro deve impegnarsi ad apprenderlo; l’uomo ad esempio può imparare dalla donna la cura attenta e delicata verso le persone, la comprensione, il senso del concreto, la resistenza alla sofferenza.
La differenza nell’uguaglianza non crea di per sé discriminazione, ma interazione, scambio,complementarietà, “collaborazione” (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Esperta in umanità, 2004). Soprattutto ognuno dà all’altro il potere di procreare e diventare genitore, a immagine di Dio creatore e padre (S. Tommaso, S. Th. I q 99 a 2).
É l’amore che armonizza le differenze tra gli esseri umani e ne fa un dono reciproco. L’amore è energia unificante nel rispetto dell’alterità, è virtus unitiva, come si esprime S. Tommaso d’Aquino (S. Th. I-II q 26 a 2); ed è l’unico atteggiamento adeguato alla dignità delle persone.
Essere persona umana è essere soggetto spirituale e corporeo, singolo e in relazione costitutiva con gli altri soggetti. Gli altri sono un bene in se stessi come me, meritevoli come me di essere aiutati a svilupparsi ed essere felici. “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22, 29). “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 22, 29). Non posso volere solo il mio bene e usare gli altri come un mezzo. Devo armonizzare il mio bene con quello degli altri. Con la stessa serietà, con cui voglio il mio bene, devo volere quello degli altri. Devo, secondo le mie possibilità, farmi carico della loro crescita umana integrale, rispettando la loro alterità e libertà, valorizzando le loro differenze positive, portando perfino il peso dei loro limiti e peccati, come ha fatto Gesù nei confronti di tutti gli uomini.
Non si tratta di rinunciare al mio proprio bene; neppure mi è proibito cercare negli altri il mio utile. Ma non posso ridurre a questo il mio rapporto con loro. Significherebbe non riconoscerli per quello che sono, non rispettare la loro dignità di persone. Io li rispetto nella misura in cui mi dono a loro, mi dedico al loro bene. Allora io realizzo anche me stesso come persona, perché chi dona la propria vita, l’acquista (cfr. Lc 17, 33; Gv 12, 25), soprattutto se ciò comporta un duro sacrificio. Io non dono per ricevere, ma in definitiva ricevo. L’amore è la vocazione e il bene supremo dell’uomo (cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis 10).
Dato che la persona umana è un soggetto inseparabilmente spirituale e corporeo, sempre comunica e interagisce con le altre persone in modo spirituale e corporeo. Anche l’amore umano scaturisce dall’interiorità profonda del soggetto e si esprime attraverso le parole e le opere, i gesti e i comportamenti, attraverso il sorriso e la stretta di mano, l’abbraccio e il rapporto sessuale.
Amare, come insegna Benedetto XVI, è fare ciò che è giusto e anche di più. “La giustizia è inseparabile dalla carità, intrinseca ad essa (…) la misura minima di essa (…) La carità esige la giustizia (…) supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. La città dell’uomo non è promossa solo da rapporti di diritti e doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione” (Caritas in Veritate, 6).
Come il mercato è l’istituzione dello scambio utilitario secondo giustizia (purtroppo deformato spesso dal peccato e dall’errore), così la famiglia è l’istituzione del dono e della comunione tra le persone (purtroppo anch’essa deformata spesso dal peccato e dall’errore). Più precisamente la famiglia è l’istituzione del dono reciproco totale e della comunione integrale di vita. In essa l’essere con e per l’altro riguarda la vita in tutte le sue dimensioni, mentre nell’amicizia impegna solo qualche aspetto di essa. Il rapporto sessuale tra i coniugi è l’espressione corporea propria ed esclusiva del dono reciproco totale. Tale gesto ha due significati inscindibili, unitivo e procreativo. L’amore, mentre unisce i diversi, tende a un di più di vita e di bene. Non immobilizza e non chiude nella situazione presente; muove invece ad andare avanti insieme verso il futuro, nella stessa direzione. Perciò la comunione è anche apertura feconda in senso spirituale, fisico, sociale. Mentre si donano l’uno all’altro, i coniugi si aprono a una ulteriore alterità. Il figlio che nascerà da loro sarà il loro essere “una sola carne”, in senso pieno e permanente.
Unità e apertura caratterizzano non solo l’autenticità dell’atto coniugale, ma anche l’autenticità della vita di coppia e di famiglia in tutte le sue dimensioni. I coniugi guardano insieme verso i figli e al di là dei figli e con loro verso la società e la Chiesa, verso obiettivi e progetti condivisi. Il marito è un dono per la moglie e viceversa; i genitori sono un dono per i figli e viceversa; i fratelli sono un dono l’uno per l’altro. Tutta la famiglia è un dono per la società. In famiglia le persone non badano solo al proprio tornaconto, ma anche al bene degli altri e al bene comune, che è di tutti e di ciascuno. Se c’è un’attenzione preferenziale è per i più deboli: bambini, malati, disabili, anziani. La dinamica dell’amore-dono fa maturare la consapevolezza e il rispetto per la dignità di ogni persona, la fiducia in se stessi, negli altri e nelle istituzioni, la responsabilità etica per il bene proprio e degli altri, la sincerità, la fedeltà, la generosità, la condivisione, la creatività, la progettualità, la laboriosità, la collaborazione, l’impegno fino al sacrificio e molte altre virtù, preziose per le persone e per la società.
Nella storia della cultura occidentale non sono mai mancate le contestazioni alla famiglia, considerata dannosa per la società e per il suo sviluppo. Proprio in questi giorni in Italia è uscito un libro (Alberto Alesina e Andrea Ichino, L’Italia fatta in casa, Mondadori), in cui si afferma che la famiglia danneggerebbe lo sviluppo economico e sociale del Paese: scarsa propensione alla mobilità nel lavoro; preferenza del lavoro vicino a casa anche se meno retribuito; assegnazione di posti di lavoro per raccomandazione o parentela, anziché per competenza; rinuncia delle donne alla carriera, anche se molto intelligenti, per dedicarsi ai figli; piccole aziende familiari, incapaci di investire in ricerca e sviluppo; numero limitato di asili nido; pochi donatori di sangue.
Mi pare che in questo libro non sia riconosciuto il valore del lavoro di cura, della solidarietà orizzontale tra le famiglie e verticale tra le generazioni. D’altra parte non si prendono in considerazione i pesanti costi sociali della “Non-famiglia” e quelli messi a carico della famiglia sono piuttosto da attribuire alla sua degenerazione che è il familismo. Proprio il subordinare le persone al lavoro e la famiglia all’azienda finirebbe per lacerare il tessuto della società e per compromettere lo stesso sistema economico.
Non di solo pane vive l’uomo, ma anche e soprattutto di rapporti interpersonali nella verità e nell’amore. Solo con gli altri le persone possono vivere, svilupparsi, essere felici. Solo nella famiglia, istituzione del dono totale e della comunione integrale di vita, trovano l’ambiente per nascere e iniziare a crescere in modo conforme alla loro dignità. La famiglia è il germe e il modello, l’attuazione esemplare della socialità umana; nello steso tempo è l’immagine originaria della Trinità divina, immagine che peraltro si estende ad ogni forma di comunione autentica tra le persone. Scrive Benedetto XVI nella sua ultima enciclica: “La creatura umana, in quanto natura spirituale si realizza nelle relazioni interpersonali (…) Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio (…) Ciò vale anche per i popoli (…) Il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto (…) La comunità familiare non annulla in sé le persone che la compongono (…) L’unità della famiglia umana non annulla in sé le persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti l’uno verso l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità (…) Questa prospettiva trova un’illuminazione decisiva nel rapporto tra le Persone della Trinità nell’unica sostanza divina. La Trinità è assoluta unità, in quanto le tre divine Persone sono relazionalità pura (…) Dio vuole associare anche noi a questa realtà di comunione, ‘perché siano come noi una cosa sola’ (Gv 17, 22); di questa unità la Chiesa è segno e strumento (…) Questo risulta anche dalle comuni esperienze umane dell’amore e della verità. Come l’amore sacramentale dei coniugi li unisce spiritualmente in una carne sola e da due che erano fa di loro un’unità relazionale e reale, analogamente la verità unisce gli spiriti tra loro e li fa pensare all’unisono, attirandoli e unendoli in sé” (Caritas in Veritate 53, 54).
La famiglia, cellula vitale della società e scuola di umanità, è anche piccola Chiesa e soggetto di evangelizzazione.
Evangelizzare è trasmettere agli altri l’amore di Cristo attraverso la fede professata e testimoniata. In concreto e in senso proprio, evangelizza non l’uomo semplicemente onesto, non il battezzato che si è allontanato dalla Chiesa, non il praticante conformista rispetto al mondo, ma solo il cristiano che fa esperienza di un rapporto sincero e vitale con Cristo (Ascolto della Parola, Eucaristia, preghiera, impegno permanente di conversione, vita nuova secondo lo Spirito) e che da Cristo riceve “un di più” di speranza, “un di più” di significato e valore per le persone e la vita nelle sue molteplici dimensioni, “un di più” di luce per il discernimento, “un di più” di energia e di gioia per farsi carico degli altri e portare la croce di ogni giorno.
Analogamente, in senso proprio e credibile, evangelizza non la famiglia semplicemente rispettabile, non la famiglia praticante e tuttavia allineata con i modi di pensare e di agire secolarizzati; ma la famiglia che vive una spiritualità cristocentrica, biblica, eucaristica, trinitaria, ecclesiale, laicale, cioè incarnata nelle realtà terrene, nelle molteplici relazioni e attività di ogni giorno; la famiglia che vive l’amore come dono e comunione, quale partecipazione all’alleanza nuziale di Cristo con la Chiesa, quale riflesso della comunione trinitaria delle persone divine e anticipo della festa nuziale nell’eternità. “Le sfide e le speranze che sta vivendo la famiglia cristiana – dice Giovanni Paolo II – esigono che un numero sempre maggiore di famiglie scoprano e mettano in pratica una solida spiritualità familiare nella trama quotidiana della propria esistenza” (Discorso, 12.10.1980).
Occorre responsabilizzare e incoraggiare le famiglie praticanti a crescere nella spiritualità e nella testimonianza evangelica, perché accolgano in sé e trasmettano agli altri l’amore di Cristo. Elevare i pochi è il modo migliore per arrivare a tutti. Occorre più famiglia e non meno, per curare i mali della società. Occorrono numerose famiglie che abbiano un di più di unità, di apertura, di bellezza.
Prospettiva di impegno a partire dall’emergenza demografica
A partire dal libro verde del 2005, il cosiddetto “inverno demografico” è sempre più all’attenzione del Parlamento e della Commissione Europea e anche della stampa e dell’opinione pubblica. Sempre più, ma non ancora abbastanza, ci si rende conto che è a rischio lo sviluppo sociale, economico, culturale e religioso dei nostri popoli.
Allo sviluppo di un popolo concorrono molteplici fattori. Tra di essi è importante l’equilibrio demografico. Può creare grossi problemi una eccessiva densità della popolazione, come in Bangladesh (156 milioni di abitanti su Km2 144.000; più di 1000 abitanti per Km2). D’altra parte può creare grossi problemi anche la crisi della natalità. La condotta eticamente e socialmente corretta da tenere si chiama procreazione generosa e responsabile.
A riguardo vale la pena di citare una pagina della recente enciclica di Benedetto XVI. “L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. Grandi Nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto «indice di sostituzione», mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei «cervelli» a cui attingere per le necessità della Nazione. Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà. Sono situazioni che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona. In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale” (Caritas in Veritate, 44).
Nell’Unione Europea i ⅔ delle famiglie sono senza figli; l’indice medio di fecondità per donna è di 1,56 (in Italia addirittura 1,3, mentre negli Stati Uniti d’America è di 2,9). Siamo al di sotto della quota di ricambio generazionale (2,1 per donna) e molto al di sotto del desiderio espresso, e per varie ragioni non realizzato, dalle giovani coppie di sposi (in media 2,3 figli). Gli anziani sopra i 65 anni sono 85 milioni con un aumento di 16,5 milioni negli ultimi 15 anni. Superano già gli adolescenti e i bambini sotto i 14 anni che sono 78,5 milioni con un calo di 10,5 milioni negli ultimi 15 anni. Per i prossimi decenni fino al 2050 si prevede un calo della popolazione di 27,3 milioni, ancora quindi piuttosto contenuto; ma un invecchiamento medio molto forte, in quanto gli anziani sopra i 65 anni saranno 135 milioni pari a ⅓ della popolazione, mentre gli adolescenti e i bambini dai 15 anni in giù saranno solo 60 milioni pari a ⅛ della popolazione. Avremo molti nonni, qualche bisnonno, pochi bambini e senza fratelli (già nel 2007 i figli unici erano il 25%). A fronte di una minore produttività, avremo un pesantissimo aumento delle spese per pensioni, sanità e assistenza. Per ogni anziano sopra i 65 anni ci saranno due soli lavoratori, che dovranno provvedere ad assicurargli la pensione, mezza pensione ciascuno: cosa insostenibile se si pensa che già adesso si hanno grosse difficoltà con quattro lavoratori per ogni pensionato. Si va incontro al crollo dello stato sociale e del benessere. Al risanamento della situazione non potrà bastare l’immigrazione; neppure nell’ipotesi di una positiva integrazione culturale, peraltro più difficile di quanto in certi ambienti si pensa. Il rimedio va cercato in altra direzione.
Benedetto XVI nella sua ultima enciclica esorta a rifiutare la “mentalità antinatalista” che viene diffusa “come se fosse un progresso culturale” e a riconoscere che “L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo” e “L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” tra le persone e tra i popoli (cfr. Caritas in Veritate, 28). Bisogna rivalutare culturalmente la maternità e la paternità come dimensioni importanti per la maturazione umana e la felicità delle donne e degli uomini. L’aborto nell’Unione Europea miete ogni anno un numero di vittime pari a 1/5 dei bambini nati e superiore agli abitanti di Malta e Lussemburgo messi insieme: si può almeno tentare di contrastarlo, assicurando alla madre le forme di accompagnamento e di aiuti di cui ha bisogno. In ogni caso vanno contrastati energicamente i tentativi di introdurre nella legislazione il diritto all’aborto, che allora perderebbe la sua configurazione di male tollerato. Va invece fermamente rivendicato il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, degli operatori sanitari, dei farmacisti. Molte donne sono costrette a scegliere tra la professione e la maternità: occorre impegnarsi seriamente perché finisca il primato del lavoro sulle persone e della rigida organizzazione sulla famiglia e si introducano forme di conciliazione (orari flessibili, telelavoro, congedi adeguatamente retribuiti di maternità, congedi parentali, servizi per l’infanzia, incentivi per reti di famiglie, ecc.). Infine è urgente promuovere una politica di consistente sostegno economico alle famiglie che hanno figli. Si calcola che ogni figlio fino a 25 anni rappresenta un investimento di circa 190.000 €uro. Non è giusto che i genitori subiscano un impoverimento a motivo di questo prezioso contributo che danno al futuro della società. Bisogna concedere sconti e agevolazioni alle famiglie numerose e rendere equo e commisurato al carico familiare il prelievo fiscale (deduzioni, detrazioni, quoziente familiare per l’IRPEF; tassa sulla casa calcolata non solo in base alla superficie: 120 mq sono un lusso per un single, ma una necessità per chi ha 4 figli).
Le proposte per incentivare la natalità non mancano. La loro attuazione richiede interventi non facili per la ridistribuzione delle risorse pubbliche e sarà necessariamente graduale. E’ però importante che si comincino a fare passi concreti nella giusta direzione. Dalle Associazioni Familiari ci si aspetta ferma determinazione e perseveranza nel perseguire l’obiettivo di una inversione di tendenza.
Prospettiva di impegno a partire dall’emergenza educativa
L’opinione pubblica e le istituzioni europee sono sensibili ai diritti dei bambini. La Commissione Europea nel 2006 ha pubblicato il documento “Verso una strategia europea per i diritti dei bambini”, dove però i bambini sono considerati come individui isolati piuttosto che inseriti nella famiglia.
Una politica per l’infanzia non dovrebbe mai prescindere dal legame coniugale dei genitori. L’unità e la stabilità della coppia parentale è il dono e l’aiuto più grande che si possa dare ai bambini. Essi non vogliono essere amati da due genitori che non si amano tra loro; non vogliono due amori paralleli. Hanno bisogno invece di un amore, per dir così, triangolare, in cui i genitori sono innanzitutto uniti tra loro e insieme si rivolgono ai figli. I bambini hanno bisogno di abitare e vivere insieme ad ambedue i genitori. Viene in mente un quadro di Van Gogh “Primi passi”, in cui il bambino è posto tra il mondo della madre, la casa, e il mondo del padre, il campo; la madre sta con il bambino e lo protegge; il padre ha interrotto il lavoro agricolo, si è inginocchiato per abbassarsi a livello del bambino, sta a una certa distanza davanti a lui e lo invita affettuosamente a distaccarsi dalla madre e a venire verso di sé. La figura materna e la figura paterna sono complementari: l’una incarna la calda accoglienza, la comprensione, la sicurezza affettiva e il benessere; l’altra incarna l’autorità che fa crescere verso l’indipendenza, l’iniziativa, l’autonomia, la responsabilità etica, l’altruismo.
Purtroppo oggi gli impegni di lavoro e soprattutto le separazioni e i divorzi dividono molti genitori tra loro e li allontanano dai figli. In Europa, mentre i matrimoni calano sensibilmente ogni anno, i divorzi crescono: ormai sono più di un milione all’anno e raggiungono la metà dei matrimoni celebrati annualmente. Negli ultimi dieci anni sono stati 10,3 milioni e hanno coinvolto oltre 17 milioni di bambini.
I figli dei divorziati nella percentuale dell’85% sono affidati alla madre e molti di essi, intorno al 25%, perdono dopo circa due anni il contatto con il padre. Alcuni anni dopo la separazione dei genitori, la maggior parte dei figli, circa i ¾, si stabilizzano e rientrano nella media degli indici di adattamento e rendimento degli altri ragazzi. Ma il 25% presenta problemi psicologici, scolastici e sociali, mediamente in misura del doppio rispetto ai figli di genitori uniti. Sono il triplo quelli che dichiarano di essere stati molto soli; quasi il doppio quelli che non si sentono compresi; più del doppio, a parità di altre condizioni, quelli che abbandonano la scuola e quelli che hanno minore rendimento scolastico (In Francia i figli di separati sono il 95% dei collegiali). Molti soffrono di instabilità psichica (In Francia l’80% dei ricoverati in psichiatria è figlio di separati); molti fanno uso di sigarette, alcol e droghe (In Francia sono il 50% dei tossicomani); molti finiscono nell’emarginazione (In USA quelli cresciuti senza padre sono il 90% dei senza casa); molti si rendono protagonisti di comportamenti socialmente devianti e delinquenziali, come bullismo, vandalismo, furti, stupri e omicidi (In USA sono cresciuti senza la figura paterna il 72% degli adolescenti omicidi, il 60% degli stupratori, l’85% dei giovani in carcere), poiché per loro il rischio di criminalità è più che doppio rispetto ai figli che vivono insieme con i due genitori.
Gli studi psicologici mettono in evidenza che l’assenza del padre durante l’infanzia e l’adolescenza dei figli li espone a vari rischi: narcisismo, per cui manca il senso del limite e si vuole tutto e subito; depressione, ansia e scarsa autostima; passività e mancanza di progettualità, dipendenza dal parere degli altri, da TV e Internet, dai consumi, dall’alcol e dalla droga; senso di impotenza, rabbia, aggressività, violenza.
Benedetto XVI a suo tempo ha denunciato l’emergenza educativa e recentemente nell’ultima enciclica ha sottolineato la necessità di una ecologia umana. Occorre certo “difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti”; ma “proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso. E’ necessario che ci sia un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto (…) Quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale” (Caritas in Veritate, 51).
L’ecologia umana richiede che i bambini nascano e crescano all’interno di una vera famiglia. Lo dichiarava già la Convenzione sui Diritti del Fanciullo approvata all’ONU (20 novembre 1989): “La famiglia, unità fondamentale e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere protezione e l’assistenza necessaria per svolgere integralmente il suo ruolo educativo nella società”.
Del resto il divorzio causa danni anche ai coniugi che si separano. Comporta spesso l’impoverimento della famiglia, che a sua volta influisce moltissimo sul disadattamento dei figli. Comporta nei coniugi separati depressione e malessere esistenziale, di cui ad esempio è indice la percentuale dei suicidi: in Francia 6 volte più alta per gli uomini e due volte più alta per le donne. I divorziati spesso vanno a ingrossare la grossa schiera delle persone sole che in Europa sono più di 55 milioni, pari al 29% delle abitazioni (foyers).
Le famiglie disgregate e distorte contribuiscono al deperimento delle virtù sociali e danneggiano la coesione e lo sviluppo della società. Hillary Rodham Clinton ha detto che, come un organismo richiede una massa critica di cellule sane per poter vivere, così la società richiede una massa critica di famiglie tradizionali per poter stare in piedi. Secondo Benedetto XVI, lo stesso mercato, che è l’istituzione dello scambio utilitaristico per antonomasia, ha bisogno della famiglia, istituzione del dono e della comunione, non solo perché sia alimentata la virtù della giustizia che gli è necessaria, ma anche perché ha bisogno di assimilare in vario modo e misura anche il senso della fraternità, solidarietà, gratuità. Il mercato sarà, nello stesso tempo, più civile e più competitivo, se saprà vedere il profitto come strumento in vista di finalità umane e sociali. In tutte le sue forme “in diversa misura e con modalità specifiche, deve essere presente l’aspetto della reciprocità fraterna. Nell’epoca della globalizzazione, l’attività economica non può prescindere dalla gratuità, che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica” (Caritas in veritate 38).
La società diventerà amica della famiglia nella misura in cui riuscirà a percepirla non solo come una somma di individui da assistere nei loro bisogni (bambini, giovani, disabili, anziani), ma come una indispensabile risorsa, un soggetto comunitario con importanti funzioni sociali.
La società ha bisogno della famiglia; ma anche la famiglia ha bisogno della società e attende di essere messa in grado di compiere la sua insostituibile missione educativa. Occorre garantire, per quanto è possibile, il diritto dei bambini a vivere con ambedue i genitori e ad avere un padre e una madre nelle adozioni; scoraggiare il divorzio e incentivare la stabilità dell’unione coniugale; tutelare l’identità naturale della famiglia nei confronti di altre forme di convivenza, a differenza di quanto ha fatto a suo tempo il Parlamento Europeo che ha sollecitato gli stati membri a equiparare nella legislazione le unioni di fatto; diffondere una cultura dei diritti e dei doveri della famiglia; riconoscere il diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni etiche e religiose; rendere effettiva la loro libertà di scegliere tra scuola statale e non statale; salvaguardare l’unità familiare degli immigrati e favorire la loro integrazione sociale e culturale nel rispetto dei valori autentici della loro tradizione. L’Unione Europea dovrebbe essere stimolata a dotarsi anche delle istituzioni e strumenti specifici per una efficace politica familiare.
Conclusione
Cari amici, portate avanti il vostro impegno con fiducia e coraggio. I vostri avversari sono alcune potenti élites intellettuali, economiche e politiche, che cercano di imporre l’ideologia del “genere” e operare una rivoluzione antropologica attraverso la codificazione dei cosiddetti “nuovi diritti”, che in realtà sono desideri soggettivi individuali contrari alla coesione e allo sviluppo integrale della società. Voi invece avete dalla vostra parte i popoli europei, che, come dimostrano le indagini sociologiche, credono ancora nella famiglia e la mettono in cima ai lori valori e aspirazioni. La vostra causa è la causa dell’uomo ed è la causa di Cristo salvatore dell’uomo.