Grande scoop. Abbiamo scoperto perché Trump ha perso le elezioni, ovvero abbiamo scoperto l’acqua calda: aveva tutti contro. Tutti i potenti, si intende. Ma una goccia di quest’acqua calda, di questo accanimento dei forti, o comunque di chi ha le spalle ben coperte, nei confronti di chi corre e rischia in proprio, la vogliamo riportare.
Quando il gioco si fa duro, ci mancherebbe che il ricco mondo dello spettacolo non scendesse in campo. In questo caso niente lustrini e paillettes, ma l’aspetto austero, scafato e scavato del vecchio rocker “Born in the USA” che si ostina a non voler andare in pensione. Per Bruce Springsteen niente giardinetti, al bando i nipotini e le visite dal cardiologo. Rimettiamoci la dentiera, i tempi stanno per cambiare: qua c’è da salvare l’America. Orecchino e mandibola progenica d’ordinaza, si parte.
Ci sarebbe da capire se il rock (o presunto tale) sia mai stato veramente un movimento musicale e culturale trasgressivo come ha sempre tenuto a spacciarsi. I dubbi ci sono, e si avvalorano vedendo come sono ridotte, e non da oggi, certe acclamate rockstar: dei distillati di puro conformismo, dei concentrati di organicità al potere, quello vero.
Già qualche anno fa, poco prima delle elezioni del 2016, a domanda diretta su cosa pensasse del fenomeno Trump, il ruvido musicista del New Jersey era stato piuttosto chiaro: Beh, come dire, la repubblica è sotto l’assedio di un idiota.
Se Donald non fosse stato un signore, avrebbe potuto rispondere per le rime con qualcosa tipo “Allora la musica è sotto lo scacco di un coglione”, che, detto tra noi, sarebbe stato pienamente meritato.
Tornando all’oggi, qualche giorno prima delle elezioni, durante la partecipazione a un programma radiofonico, l’anziano cantautore, che ha appena pubblicato l’ennesimo disco con le solite, noiosissime ballate in un preistorico stile di biascicato folk-rock, ha pensato di dare il suo contributo alla disfatta del Donald con un componimento della “poetessa” Elayne Griffin Baker. Proviamo a tradurla il più fedelmente possibile.1
Non c’è arte in questa Casa Bianca
Non c’è letteratura, né poesia, né musica.
Non ci sono animali domestici in questa Casa Bianca, non c’è leale miglior amico dell’uomo, non c’è Socks il gatto di famiglia [dei Clinton, ndt],
nessuna festa della scienza per bambini.
Chi sarà mai il bersaglio stavolta? Bastano le prime righe della “poesia” per capire che siamo di fronte a un capolavoro di coraggiosissima resistenza al cattivissimo uomo nero, anzi biondo-arancio. Talmente cattivo che avrebbe bandito tutti gli animali dalla residenza presidenziale: non ci sono cani, non c’è neppure Calzino (così potremmo interpretare Socks), il felino che ha meritato una voce su Wikipedia la quale ne narra le gesta presidenziali: “Socks Clinton (15 marzo 1989 – 20 Febbraio 2009)”, e via dicendo2. Che bravi i Clinton, che simpatici, tenevano persino il gatto (pare si contendesse lo spazio sotto la scrivania con la Lewinsky). Al contrario, che bifolco questo Trump, da quando c’è lui sono spariti i libri, nessuno suona più, eliminati tutti i quadri alle pareti, insomma uno squallore indescrivibile. Tanto che la poetessa continua a descriverlo, e il cantautore a declamarlo:
Non è più il tempo in cui il presidente si toglie l’abito blu con cravatta rossa e diventa umano, a parte quando si mette in divisa con la camicia bianca e i pantaloni caki e si nasconde agli americani per giocare a golf.
Non ci sono immagini della First Family [la famiglia presidenziale] che si diverte unita in un momento di tranquillità.
Non ci sono gli Obama sulla spiaggia nei momenti hawaiani, o i Bush che vanno a pesca nel Kennebunkport.
Non ci sono i Reagan a cavallo, o i Kennedy che giocano a touch football a Cape.
Passi pure per gli Obama e i Kennedy, ma rendiamoci conto che questi pur di non vedere “quello là” alla Casa Bianca sono arrivati a rimpiangere Reagan (dico Reagan) che si dà all’ippica e, con generale sbigottimento, persino i Bush (dico Bush, padre e figlio), che si danno all’ittica. Pensavamo di averle viste tute, ma i progressisti che ricordano con nostalgia i bei tempi in cui a governare c’erano i neocon, questa ci mancava. D’altra parte questo ci dà la conferma, casomai ce ne fosse bisogno, che si trattava di due facce della stessa medaglia.
Lo smarrimento a questo punto è generale; dove siamo finiti? Se lo chiedono pure loro:
Dov’è finito quel paese?
Dove sono andati tutto il divertimento, la gioia, l’espressione d’amore e felicità?
Eravamo il paese che faceva l’Ice Bucket Challenge raccogliendo milioni per la carità.
Eravamo abituati ad avere un presidente che calmava e consolava la nazione piuttosto che dividerla, e una first lady che piantava un giardino anziché sradicarlo.
E chi sarebbe quindi la sradicatrice di giardini, Melania? Ce la vedete l’elegante e ancor pregevole signora che afferra con entrambe le mani un ciuffo di sedano estraendolo violentemente dalla terra, o con la zappa che massacra le povere e tenere pianticelle, così amorevolmente coltivate da Michelle?
Barak, lui sì che sapeva calmare la nazione; mica tutta questa agitazione che abbiamo avuto per quattro anni con Trump. Ogni tanto Barak lanciava qualche ordigno in giro per il mondo, ma lo faceva in modo calmo, consolatorio; chi riceveva sulla testa le sue bombe dicono fosse calmissimo, consolatissimo, perché quelle erano bombe di gioia, di divertimento, espressione d’amore e di felicità. Il premio Nobel del resto lo aveva preventivamente certificato.
Ma soprattutto, possibile che con Trump non si riesca a fare più l’Ice Bucket Challenge, il gioco del secchiello con l’acqua gelata in testa? Può essere una democrazia moderna e progressista quella dove la gente è talmente trumpizzata da non voler più nemmeno esibirsi in questo rito intelligentissimo e segno di avanzatissimo livello di civiltà?
Con “Sleepy Joe”, lo dice già il nome, è probabile che tornerà la calma obamiana, se non proprio il sonno profondo (della ragione).
Un ultimo sforzo; la lamentazione, stucchevole oltre il grottesco, patetica fino al penoso, prosegue e si va finalmente a concludere:
Siamo allo sbando e senza gioia.
Abbiamo perso gli aspetti culturali della società che facevano grande l’America.
Abbiamo perso la nostra magia, il nostro divertimento, la nostra felicità, il nostro sostenerci vicendevolmente.
L’esperienza condivisa di umanità che dà valore a tutto.
Le sfide e le vittorie che abbiamo condiviso e celebrato.
Lo spirito unico del saper fare che ha sempre contraddistinto l’America.
Siamo persi.
Abbiamo perso così tanto in così poco tempo.
Cari progressisti d’America, se avrà veramente vinto Joe Biden come sembra, d’ora in poi avrete tutto il tempo che volete per recuperare la poesia, la musica, la cultura, i cavalli, i cani, i gatti, le sfide, la condivisione, i giardini, i sedani, i calzini, i pantaloni color caki, il “si può fare”, i secchielli col ghiaccio e tutto il vostro smisurato armamentario di sesquipedali idiozie.
1 https://brucespringsteen.net/news/2020/elaine-griffin-baker
2 https://en.wikipedia.org/wiki/Socks_(cat)
5 commenti su “Elezioni americane – Silenzio, parla “Il Boss”. Del conformismo”
Il conformismo, l’organictà al Potere (talvolta persino il servilismo) dei cantanti è un dato di fatto che sta sotto il naso di noi tutti. Pochi però lo denunciano.
Magnifico. Meglio di così non lo poteva dire.
Bruce Springsteen è lo stesso personaggio che aveva annullato un concerto in North Carolina perché questo stato, con una palese esibizione di razzismo, aveva emanato una legge che impediva agli uomini che “si sentivano donne” di usare i gabinetti delle donne.
Non credo che tutta questa iniquità possa svanire con un semplice ravvedimento.
La pertinace ostinazione con cui insistono e persistono nell’errore invalida la bontà del sistema democratico; pur essendo perdenti ai voti rappresentano comunque circa la metà dell’elettorato e inoltre controllano le leve del potere.
La loro tirannia cadrà sicuramente come tutte le altre, ma non certo in maniera pacifica, non sarà il voto nell’urna a fargli uscire dalla storia.
Non riesco a trovare i giusti commenti…..