di Luciano Garibaldi
Aveva appena compiuto cento anni. Nella residenza per anziani di Bergamo che da molti anni la ospitava, è morta serenamente, confortata dall’assistenza religiosa, Maria Pasquinelli, una donna italiana che fece molto parlare di sé subito dopo la guerra, quando, per vendicare i tanti italiani massacrati dai titini, uccise un generale delle truppe d’occupazione inglesi.
Maria Pasquinelli era nata a Firenze il 16 marzo 1913, si era laureata in pedagogia all’Università di Urbino, era stata infermiera volontaria in Cirenaica nel 1941, e in seguito, dagli inizi del 1943, era docente di italiano nella scuola media di Spalato, in Dalmazia.
Qui, all’indomani dell’8 settembre 1943, fu testimone dei massacri compiuti dagli slavi nei confronti degli italiani: 250 infoibati soltanto a Spalato. Collaborò alla riesumazione di 106 salme, tra cui quelle del provveditore agli studi e del preside del liceo di Spalato. I cadaveri presentavano una stella, simbolo comunista, impressa a fuoco sul petto. Maria fu presa di mira, per la sua italianità, non solo dai comunisti, ma anche dagli ustascia croati di Ante Pavelic, che, con l’aiuto delle truppe di Hitler, avevano preso il controllo della situazione. Si rifugiò perciò a Trieste, dove, a partire dal novembre 1943, diede vita ad un’organizzazione di soccorso e di assistenza ai profughi istriani, giuliani e dalmati. In quei mesi, tentò di stabilire contatti tra la Decima Mas e i partigiani monarchici della «Franchi» di Edgardo Sogno e della «Osoppo», allo scopo di costituire un blocco per la difesa dell’italianità del confine orientale. Per questa attività fu arrestata dai tedeschi e minacciata di deportazione nei Lager, ma venne salvata da un intervento personale di Junio Valerio Borghese, il comandante della Decima.
Accentuò il suo impegno dopo il 25 Aprile ’45, dando voce ai diritti degli esuli e delle famiglie dei martiri scrivendo con passione su giornali come «L’Unione degli Istriani», «L’esule» e «La Voce Giuliana». Il 7 febbraio 1947, a Parigi, l’umiliante trattato di pace strappò per sempre all’Italia l’Istria, Fiume e la Dalmazia, parte della Venezia Giulia e addirittura un tratto del territorio triestino. Maria Pasquinelli, che nel frattempo si era trasferita a Pola, prese la decisione di vendicare tanti poveri morti e scrisse una sorta di testamento politico che sarà poi esibito al processo. Vi si leggeva: «Seguendo l’esempio dei 600 mila Caduti nella guerra di redenzione 1915-18, sensibile come loro all’appello di Oberdan, cui si aggiungono le invocazioni strazianti di migliaia di giuliani infoibati dagli jugoslavi dal settembre 1943 a tutt’oggi, solo perché rei di italianità, a Pola irrorata dal sangue di Sauro, capitale dell’Istria martire, riconfermo l’indissolubilità del vincolo che lega la madrepatria alle italianissime terre di Zara, di Fiume, della Venezia Giulia, eroici nostri baluardi contro il panslavismo minacciante tutta la civiltà occidentale. Mi ribello col proposito fermo di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentare i “Quattro Grandi” che alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare una volta ancora dal grembo materno le terre più sacre all’Italia, condannandole al giogo jugoslavo, sinonimo, per la nostra gente indomabilmente italiana, di foiba, di deportazione e di esilio».
Pola. Sono le 9,30 di lunedì 10 febbraio 1947. Una donna con un cappotto rosso si avvicina al Corpo di guardia della 13.a Brigata di Fanteria britannica, nel palazzo di viale Carrara. Sta per arrivare il comandante, generale Robin de Winton. Maria Pasquinelli estrae la rivoltella che teneva nascosta nella manica sinistra del cappotto e spara tre colpi verso il generale che si abbatte fulminato. Quindi getta per terra l’arma e si consegna al sergente Brown, comandante del picchetto, che la traduce negli uffici. Il processo dinnanzi alla Corte militare inglese inizia il 18 marzo. Il 19 aprile, Maria è condannata a morte. Ha tempo 30 giorni per chiedere la grazia. Risposta: «Ringrazio la Corte, ma dichiaro che mai firmerò una domanda di grazia agli oppressori della mia terra». Il 21 maggio 1947 la condanna a morte è tramutata in ergastolo, da scontare in Italia. Il 22 settembre 1964, la Regina Elisabetta, «motu proprio», concede la grazia. Maria Pasquinelli si ritira in un convento dove vivrà per decenni in preghiera e umiltà.
I funerali di Maria Pasquinelli si sono svolti venerdì 5 luglio mattina nel Tempio Votivo della Pace, parrocchia di Santa Lucia, a Bergamo. E’ singolare il fatto che Maria Pasquinelli sia morta dopo soli due giorni dal ritorno della sua amata Pola nell’Europa unita, a seguito dell’ammissione della Croazia nella UE.