Il degno compenso di un’età scellerata lo si può intuire più che presagire, solo guardandosi attorno, nello sguardo stolido del campagnolo con mascherina ffp2, o nel terrore isterico del collega che ha corroso la scrivania col disinfettante. Come andrà a finire questa farsa è agilmente deducibile dalla lettura veloce dell’ultima circolare demenziale del rettore, più che dal commento da ritardato sui social dell’ex amico del calcetto che ti ha cancellato amicizia in attesa di cancellarti dalla vita reale. L’universo non è solo trasparente, ma è in equilibrio: un tanto grave ammasso di sciocchezze in liquidità formale dovrà per forza quasi gravitazionale essere compensato da un mare di sangue. Se così non sarà, temo che siamo destinati alla lobotomia globale: nella migliore delle ipotesi invidieremo quel dentista che, tornato a casa la sera esausto, si mette a guardare le foto dei denti.
Civiltà, civilizzazione, concetto vecchio, relatività a momenti, dolore a noia, indifferenza dei più. Ma non dobbiamo stupirci, non è stato uno sparo nel buio a ucciderci. Ora siamo narcotizzati da un sistema globale ipocritamente benevolo, che chiama benessere il cancro che ci rode l’anima da almeno tre generazioni. Benessere, dovrebbe corrispondere a “essere bene”, invece siamo marci dentro. Siamo moralmente nauseanti, e lo sappiamo da tempo.
Lo sapete bene tutti quanti. Avete letto Steinbeck, ma avete lo stesso comprato trattori nuovi fiammanti, al costo di una cascina. Proprietari e mezzadri hanno perso il lavoro, oltre alla terra. Sradicati, hanno poi perso la famiglia, e con essa la trebisonda, sballottati fra un’officina di periferia e la cucina di qualche bettola di Milano. Con la libertà hanno perso la dignità, hanno perso i valori antichi. Il resto lo sapete meglio di me, lo avete vissuto prima di me. Peggio. Lo avete avallato.
Poi nei loro posti nuovi, luoghi stranieri dalle parlate mescolate, dove non sai da dove arrivano i nuvoloni che portano la pioggia, sono arrivati i figli drogati. Temevate la vergogna della maternità e avete avuto la colpa dell’aborto. Temevate la povertà e avete avuto la miseria, la ricca miseria del ciarpame con cui riempite i social: montagne innevate a costo di pass, pizze a costo di pass, gnocchi affumicati al nero di seppia chimico a costo di pass. Temevate l’ignoranza e avete avuto in cambio la stupidità. Sostenete di condurre la vita di prima, a parole, in realtà vivete una vita surrogata, a scadenza, falsa come la feta fatta in Olanda. Accumulate rottami che vi fanno solo da zavorra. Robaccia, prosecchi surrogati dello champagne, ma a litri. Illusioni che nutrono di nascosto la paura della morte. Di una morte magra, fredda e buia. Il terrore di non portarvi nella tomba niente di tutta la maledetta fatica che avete fatto. Per niente. Tranne la solitudine.
Quando si è giovani non si è mai soli. I bambini vivono a sciami, corrono a stormi, ridono a crocchi, si sbucciano a turno (o almeno così una volta, quando avevano diritto e dignità all’infanzia, ora sono pacchetti asettici da buttarsi nell’angolo della classe e della casa). Compagni, amici, maestre, parenti e nemici sono ancora tutti vivi. Il cielo è un turbinio di profumi e colori che pare non avere mai fine se non nella fantasia dell’innocenza.
Poi, poco alla volta, una nascita, una morte. E una morte è un pezzettino di noi che se ne va. Ogni morto è un pezzo di tutte le morti e ogni bambino che viene al mondo è un pezzo di tutte vite. E così, poco a poco, nell’eterno equilibrio cosmico, rimaniamo soli. Noi soli. Vecchi e soli, ma consapevoli del gioco immenso della vita. Un vecchio, se non ha sprecato in insulsaggini la propria attività cerebrale, non ha paura della morte. La desidera, è il suo pezzetto di tutte le morti, è suo e solo suo. E lo attende come quasi un secolo orsono aspettava la sua Rose fuori sotto casa. Essere uomini, che straordinaria impresa!
Questa impresa passa dalla tentazione di sentirsi indipendenti. Indipendenti da Dio, dal destino, dall’eternità dell’essere, illudendoci di scansarlo semplicemente ignorandolo. L’illusione è il primo male. L’autoinganno è l’autocondanna che finge di assolverci. Ma il tribunale di Dio è reale e la pena materiale, perché l’universo vuole così, come per legge di gravità i piatti della bilancia tornano in pari, per quanto frignate in quest’epoca di fighette e leccaculo non ci potete fare niente. Grazie a Dio.
La medicina infatti non serve a non ammalarsi mai. Gli antichi Greci credevano che un Dio avesse donato all’uomo la medicina. Invece no, Dio gli ha donato la malattia, la medicina l’ha inventata l’uomo, un po’ per amore e un po’ per disperazione. La medicina serve a guarire le persone dalla malattia. Non, come credono i medici antippocratici moderni, a curare la malattia: non è la malattia a star male, è il paziente. Ecco, così il vostro medico si rifiuta di curarvi perché segue il protocollo e secondo il mio medico “l’antibiotico è controproducente per il covid”. Una menzogna spacciata per verità, non è cosa nuova. Come non è nuovo il destino della menzogna: la menzogna è mortale, la verità immortale, ha una forza sua intrinseca che vincerà, per quanta tachipirina possiate mai prescriverle, la prognosi non cambierà. Una menzogna, un pezzo alla volta, continuata e ripetuta come le dosi di un tossicomane, è mortale più della verità tutta insieme.
So cosa state pensando. Lo so che prima dei trattori il mondo non era morbido e benevolo. Anche se non sono vecchio, ricordo le estati aride, quando respiravi polvere per due mesi, e ricordo gli inverni gelati come due dita di ghiaccio nel pentolino del pollaio, ricordo i cavalieri di Vittorio Veneto che sputavano il tabacco per terra. Ma la terra allora era terra per gli uomini e gli uomini erano uomini per la terra.
Ognuno aveva un posto e lo sapeva. Ognuno aveva una testa e la usava. Anche senza cultura, senza attestato, piano piano, poco a poco. Condividendo quei pochi averi e quei pochi pensieri a portata di mano, a distanza di gamba. E ogni bambino che arrivava era un pezzettino di verità e ogni vecchio che andava veniva lasciato andare perché era giusto così. E la ruota della vita era l’ultima stagione dell’essere, non l’ingranaggio di un potere oliato dall’usura delle banche.
Oggi avete paura di morire d’influenza perché siete rosi dal nulla delle vostre vite. E ogni mano tesa viene guardata col sospetto dell’infezione, così un pezzetto alla volta se n’è andato il buon senso, se n’è andata la pietà, se n’è andata l’unzione della fede insieme con una Chiesa che è diventata una vecchia impicciona col fiato che puzza di cordiale. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi vive una vita surrogata non ha nemmeno il diritto di pagare il prezzo della vita alla morte. La morte arriverà e ne avrà schifo. Passerà la pratica all’impiegata a tempo determinato a costo di pass, che registrerà distrattamente il fatto su un libro mastro sporco di ketchup, sbagliando le generalità.
Riempito il libro di fretta imprecisa, sarà cresciuta l’erba sulle strade asfaltate, l’edera sui tetti… e il buon Dio dovrà rifare tutto da capo.
2 commenti su “…e il buon Dio dovrà rifare tutto da capo”
Grazie per questo bellissimo e ispurannte articolo. Leggendolo, ho provato nostalgia per i tempi ormai “antichi” della mia infanzia, anni 60. La terra, la campagna, i giochi sul piazzale della chiesa, le incursioni nel bosco a raccogliere noccioline o castagne, le sagre estive, le processioni con i cesti i pieni di petali di rose. Pier Paolo Pasolini in quegli anni aveva già colto il ” seme” maligno che avrebbe gradualmente dato vita alla folle e rovesciata realtà di oggi. Parlava della perdita delle radici contadine come di un gravissimo strappo socio-culurale che avrebbe squlibrato del tutto le persone dalla loro centratura spirituale. Vedeva la TV come uno spaventoso organo pedagogico privo di alternativa che avrebbe appiattito col tempo cultura e linguaggio. Mezzo secolo dopo il quadro è proprio questo. Ma “il buon Dio farà tutto da capo”, chi ora è al potere politico-economico si sta illudendo, perché non sa con Chi ha a che fare.
E’ bellissimo incominciare a leggere e mentre la lettura procede, entrare in risonanza con i pensieri espressi da qualcuno che ha il talento della scrittura, ed è dotato di una mente superiore, di un “Io” capace di ispirazione…come succede quando la scrittura accede alla sfera dell’arte…”L’arte nel suo insieme non è creare degli oggetti senza scopo, bensì una forza che deve servire alla creazione e all’affinamento dell’anima umana, una forza che parla all’anima di cose che per lei sono pane quotidiano e che essa può cogliere solo in questa forma”.
E’ sempre una bellissima esperienza quando l’anima senziente si commuove, in risposta all’essere toccata dalla forza dell’arte.
Grazie dal cuore a Matteo Donadoni per questo splendido scritto la cui parte finale mi suggerisce : ” …dovrà rifare tutto daccapo avvalendosi di personale “speciale” come uomini e donne dotati di qualità morali”.
P.S. morale inteso in senso steineriano, non come moralismo.