Di Piero Vassallo
È impossibile esporre una teoria intorno alle finalità della storia, senza dimostrare, mediante i procedimenti della metafisica classica, l’esistenza di un dio perfettissimo, autore di leggi infallibili, concepite dall’eternità per attribuire univoco significato e finalità razionale alle equivoche e disordinate azioni degli uomini.
I pensatori, che hanno tentato di eludere il difficile e faticoso percorso della metafisica preferendo analizzare i le vicende della storia alla fioca e illusoria luce della scienza sperimentale, non sono risaliti alla legge divina, che obbliga gli attori della storia a conseguire un fine superiore ai disordinati propositi degli uomini.
Alla legge divina obbediscono, infatti, i risultati della storia, non le dispersive intenzioni degli attori, non le azioni da loro compiute liberamente.
Francisco Elias de Tejada ha peraltro accertato che l’applicazione del metodo sperimentale ad accadimenti in sé privi di ordine, farebbe scendere la filosofia della storia in quell’incertezza empirica, in quel disperato scetticismo che esclude tassativamente la possibilità di risalire alla legge che governa l’agire umano.
La conseguenza ultima del divorzio della storia dalla metafisica classica è la desolata dichiarazione della morte di Dio ad Auschwitz, cioè l’ammissione della morte del pensiero nel vuoto prodotto dalla negazione del suo insostituibile fondamento.
Certo è che, alla fine di un’epoca filosofica dominata dal culto superstizioso del fatto concreto, lo storicismo antimetafisico dei moderni ha incontrato il relativismo assoluto, avanzante in un vicolo cieco che Giuliano Ferrara definisce “curvatura nichilista” del razionalismo .
Per uscire dalla contraddizione nichilista e scettica è dunque necessario che la ricerca storicistica riscopra le intatte ragioni dell’armonia tra fede e metafisica classica, la scienza che fu capace di mostrare il disegno divino sopra le strisce insanguinate dall’umano disordine.
L’obbligo incombente su coloro che cercano il significato della storia, è stato stabilito da Giambattista Vico: riconoscere che la ragione, mediante la ricerca delle verità sull’onniscienza e sull’onnipotenza divina, può superare la scandalosa difficoltà costituita dall’invincibile disordine delle azioni umane.
Il risultato di tale riflessione è la certezza che la tempestosa congerie degli eventi obbedisce continuamente a un disegno infallibile. Scrive Vico: “Cotal Scienza dee essere una dimostrazione, per così dire, di fatto istorico della provvedenza, perché dee essere una storia degli ordini di quella, senza verun umano scorgimento o consiglio, e sovente contro essi proponimenti degli uomini, ha dato a questa gran città del gener umano, ché, quantunque questo mondo sia stato criato in tempo e particolare, però gli ordini ch’ella vi ha posti sono universali ed eterni”.
La scienza (la metafisica) vichiana traduce in una lingua già postmoderna, la grande riflessione di Sant’Agostino sulla sovranità della divina provvidenza.
Da Vico, la storia non è considerata come un insieme di fatti probanti ma, lo ha magistralmente dimostrato De Tejada, “precisamente il contrario, cioè la ripercussione nei fatti di una storia ideale eterna, dedotta da una rete di proposizioni universali che il filosofo deve scoprire e lo storico applicare ai fatti presi come probatori ma mai come origine di quei princìpi filosofici di valore universale
I princìpi del diritto universale non si trovano negli eventi ma nei risultati della ricerca metafisica: “Entro la contemplazione di essa Provvidenza infinita ed eterna questa Scienza ritruova certe divine prove con le quali si conferma e dimostra” .
Al proposito sottolinea De Tejada: “Vico non si contentò di raccogliere dati ed eventi da cui trarre induttivamente leggi storiche, come farà il positivismo; né abbassò la provvidenza a istinto umano; né confuse le leggi della cieca natura con quelle dell’agire storico dell’essere razionale e libero, come se la ragione non dominasse la barbarie dell’animalità e la libera volontà non potesse rompere i meccanismi della bestia” .
Il pensiero vichiano è equidistante dai segnavia ereticali – l’incubo della predestinazione luterana e l’utopia dell’autosufficienza umanistica – che hanno trascinato ingenti porzioni delle scolastiche cristiane sui sentieri scivolosi del relativismo.
Opportunamente De Tejada rammenta che la scienza nuova ha recepito la risposta del Concilio di Trento ai contrapposti errori della modernità insorgente: “Né calvinismo né pelagianesimo; né Lutero né Grozio; né annichilimento della natura corrotta e come tale incapace del bene, né esclusione di Dio dal retto agire dell’uomo. La natura debole e perfettibile, imperfetta ma non annientata: l’uomo proteso liberamente verso Dio, ma incapace di raggiungere il bene senza l’aiuto della grazia divina” .
Va da sé che il forte richiamo di Vico alle verità della teologia cattolica non intende promuovere la dipendenza della filosofia dalle conclusioni ingenue e tracotanti del fideismo: la speciale grazia che soccorre il credente non sostituisce la ragione ma la perfeziona e la eleva, senza trascinarla fuori dal suo naturale ambito.
All’inizio degli anni Sessanta, un illustre studioso cattolico, Claude Tresmontant ha dimostrato che nel testo biblico esiste una metafisica esposta in forma non scientifica: su di essa hanno lavorato le scuole cattoliche che ne hanno infine dedotto la metafisica rigorosamente razionale, che ha facilitato il superamento delle aporie costituite dall’irriducibile immanentismo dei greci .
Le verità, che il filosofo cristiano conquista avanzando nella luce della fede (ma senza fare violenza alla luce naturale dell’intelletto) sono, a pieno titolo, verità di ragione, e perciò costituiscono il saldo fondamento scientifico della filosofia della storia.
Giuliano Ferrara, geniale e miracolato superstite della catastrofica disavventura moderna, ha opportunamente rammentato la regola cui il pensiero postmoderno deve obbedire, se davvero intende ritrovare il filo della ragione: “L’etica laica o secolare o moderna è stata l’etica del dubbio sistematico. Nella nostra percezione del mondo, della società e della condizione umana il dubbio e la libertà sono inseparabili, sono fratello e sorella. Ma ora bisogna scegliere. Bisogna ricominciare, entro certi limiti, a sapere per credere e a credere per sapere”.
Ferrara non nasconde i rischi del ricominciamento e tuttavia afferma risolutamente che si tratta di una decisione senza alternative: “È un percorso pericoloso, esposto a dottrinarismi equivoci e a una riduzione della complessità infelice della cultura alla chiarezza troppo felice del dogma, ma è un percorso obbligato. Se tutto viene messo in dubbio, è ora di credere in qualcosa” .
L’autorità del pensiero moderno, peraltro, è stata abbattuta dalla spaventosa, raggelante sentenza di Nietzsche: “Non si doveva sacrificare Dio e per crudeltà contro se stessi adorare le pietre, la stoltezza, la forza di gravità, il destino, il nulla? Sacrificare Iddio al nulla: questo mistero paradossale dell’estrema crudeltà fu riservato alla generazione che sta giungendo: noi tutti ne sappiamo già qualcosa” .
Le trionfali chimere, che eccitavano l’entusiasmo del teologo progressista Teilhard du Chardin sono sepolte sotto il muro di Berlino. E le roboanti parole dettate da quell’entusiasmo – “Arrestare il movimento moderno è soltanto un tentativo impossibile poiché tale movimento è legato allo sviluppo stesso della coscienza umana, ma un simile gesto avrebbe in sé qualcosa di ingiusto e di anticristiano” – sono alterate dal ridicolo.
Dopo che l’imprevisto ha confermato la desolante profezia di Nietzsche, non rimane che il vicolo cieco degli autodistruttori. Per sfuggire al destino dell’annientamento la filosofia deve ritornare sui suoi passi.
Per mezzo di un rigoroso procedimento metafisico, Vico ha dimostrato che la razionalità governa la storia perché la provvidenza divina converte le irrazionali e distruttive intenzioni degli uomini e le dispone a un fine perfetto:
“Perché pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni […]; ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti; quali fini ristretti, fatti mezzi per servire a fini più ampi, gli ha sempre adoperati per conservare l’umana generazione in questa terra”.
La razionalità irrompe nella storia per ribaltare il risultato fallimentare inseguito dagli umani proponimenti.
In una delle più affascinanti pagine della “Scienza Nuova”, Vico sostiene che l’azione della provvidenza è confermata dall’aderenza dei fatti all’eterogenesi di fini:
“Imperciocché vogliono gli uomini usar la libidine bestiale e disperdere i loro parti, e ne fanno la castità de’ matrimoni, onde surgono le famiglie; vogliono i padri esercitare smoderatamente gl’imperii paterni sopra i clienti, e gli assoggettiscono agl’imperii civili, onde surgono le città; vogliono gli ordini regnanti de’ nobili abusare la libertà signorile sopra i plebei, e vanno i servitù delle leggi, che fanno la libertà popolare; vogliono i popoli liberi sciogliersi dal freno delle lor leggi, e vanno nella soggezione de’ monarchi; vogliono i monarchi, in tutti i vizi della dissolutezza che gli assicuri, invilire lor sudditi, e gli dispongono a sopportare la schiavitù di nazion i più forti; vogliono le nazioni se medesime disperdere, e vanno a salvare gli avanzi dentro le solitudini, donde, qual Fenice, nuovamente risorgano. Questo che fece tutto ciò, fu pur mente, perché ’l fecero gli uomini con intelligenza; non fu fato, perché ‘l fecero con elezione; non caso, perché con perpetuità, sempre così facendo, escono nelle medesime cose” .
La scena della storia, inoltre, è illuminata dalla retta ragione, che riconosce l’intervento ordinatore della provvidenza divina nella sistematica manifestazione di “idee uniformi nate appo intieri popoli tra essoloro non conosciuti” .
Per inciso: l’uniformità delle idee professate da popoli tra loro non comunicanti, smentisce l’opinione rigorosamente relativista, formulata da Oswald Spengler nel “Tramonto dell’Occidente”, e prestamente adottata dai teorici dell’incomunicabilità, opinione secondo cui le civiltà hanno in comune soltanto il destino biologico, mentre le idee sono espressione di valori irriducibili, prodotti da riflessioni sporadiche, spesso condivise soltanto dagli intellettuali delle grandi città .
Un giovane e brillante studioso della scienza nuova, il brasiliano Moisés Biondi, commenta la dottrina vichiana intorno all’eterogenesi dei fini, osservando che “Gli uomini, agendo in vista di fini egoistici e particolari, ottengono risultati altruistici e universali … Facendo quello che di suo condurrebbe alla dissoluzione della società, di fatto la costruiscono e la perfezionano. Il che si spiega se si ammette che la storia risulta anche, e soprattutto, dall’azione di Dio provvidente” .
Biondi, che segue fedelmente la lezione tejadiana, precisa che la dottrina vichiana esclude qualsiasi concessione al determinismo: “L’azione divina però non sostituisce l’azione umana, ma le si unisce intimamente, collaborando all’interno di essa; non inserisce qualcosa nell’opera umana, ma, causando con l’uomo le opere dell’uomo stesso, conferisce loro un orientamento e un significato che trascendono l’orientamento e il significato che esse hanno in quanto puramente umane e singole. Tali opere pertanto assumono un doppio aspetto e, anche se guidate dal capriccio e dalla passione, sono, appunto attraverso tale capriccio e tale passione, guidate e ordinate dal piano divino” .
Inafferrabile dalla presa del metodo sperimentale, l’ordine dei disordinati fatti storici si svela per effetto delle ricerche condotte secondo il contrario procedimento della metafisica, che legge la scrittura di Dio nelle righe confuse della storia e della preistoria.
Per effetto della legge che governa la storia, nella mente dell’Adamo decaduto a causa del peccato originale, lo spavento causato dal fragore dei fulmini desta il timor di Dio, inizio della sapienza.
I fulmini suggeriscono un’immagine erronea (Giove tonante), una superstizione che la divina Provvidenza permette perché tale errore genera un pensiero vero, l’unico mezzo atto a destare la pietà nella mente dell’Adamo caduto.
Al proposito nota Moises Biondi: “Non è Dio nel fulmine a infondere nell’uomo la paura che induce credere nella falsa divinità di Giove, come concluderebbe l’ontologismo malebranchiano, ma è la Provvidenza ad appianare la via del bene lasciando le occasioni naturali nel loro ordine e gli uomini nella loro libertà (che l’ontologismo di Malebranche tende ad eliminare). C’è qui la tesi agostiniana secondo la quale Dio non vuole il male, bensì l’ordine nel quale rientra il male; l’errore umano, nella Mente divina, è occasione di ordine: Senza ragione non si dà neanche l’errore. Ora la serie delle ragioni rientra nella legge razionale. E l’errore non solo è prodotto da una sua ragione, ma produce anche un qualche cosa di cui diviene ragion d’essere. Quindi, per il fatto che non è fuori razionalità, non può esser contrario a razionalità”.
La puntuale precisazione di Biondi sulla distanza che separa la filosofia di Vico dalla filosofia di Malebranche offre l’opportunità di rammentare che nel 1991 l’annosa questione dell’ortodossia vichiana è stata risolta definitivamente da padre Cornelio Fabro.
In un saggio pubblicato nella rivista “Humanitas” nel 1991, Fabro rammenta, infatti, che “Il grande Vico acerrimo nemico di Cartesio e dell’ateismo illuministico, si muoveva, nella sua Scienza Nuova, in senso sicuramente contrario, con la tesi del progresso dei popoli e del loro incivilimento: in mezzo a tutte le aberrazioni fa capo a Dio, reggitore dell’universo e testimonia la sua presenza nel progresso ascendente che l’uomo fa dalla barbarie del bestione verso gli albori della civiltà ”.
La metafisica dimostra la collaborazione di Dio e uomo nella storia e perciò smentisce le due (apparentemente) contrapposte interpretazioni dello storicismo spurio: la dottrina neopagana, che negli eventi contempla il libero ma insensato rotolare delle cose , e la dottrina determinista, che affonda la libertà umana nelle impenetrabili oscurità della predestinazione.
Definite esattamente le verità razionali, che giustificano l’attribuzione di un senso alla storia, e identificati le teorie che vi si oppongono, si può finalmente tentare la discesa alle radici degli errori che hanno causato il naufragio relativista e nichilista degli storicismi non cristiani.
Per penetrare nello spirito dei libri fallimentari intitolati allo storicismo ateo è necessario, anzi tutto, rammentare la loro discendenza dal deismo, versione empiamente pia del razionalismo illuministico .
Gli errori seminati dai deisti inglesi e francesi rappresentano l’abbassamento – dimezzamento della natura divina cioè il rifiuto di riconoscere alla fragile autorità di un dio debole – un dio partecipante all’imperfezione mondana – il potere di sciogliere i nodi della storia.
Maria Adelaide Raschini ha definito con magistrale puntualità il dimezzamento della divinità, che è il vero atto di fondazione dello storicismo illuministico, attribuendone la paternità a Voltaire, l’effervescente divulgatore del deismo inglese: “Nel caso di Voltaire si tratta di giustificare un atteggiamento – quello deistico – in base alla considerazione che un atteggiamento diverso, come quello del teista o dell’ateo, gli creano difficoltà maggiori. Non si può essere atei perché la materia non si è mossa né organizzata da sé; non si può essere teisti, sia perché non si può pensare al concetto di perfezione – né umana né tanto meno divina -, sia perché il mondo dell’uomo non è regolato sull’idea di bene e di male, ma sull’utilitarismo individuale e sociale che fa dell’umano una realtà chiusa in se stessa e a se stessa rivolta” .
Secondo Voltaire l’uomo si trova in un mondo dove è costretto ad agire senza sperare nel soccorso della provvidenza divina. Certo della latitanza divina, Voltaire afferma addirittura che i conati della religione producono solamente fanatismo e inutile ferocia, onde la promozione di una capovolta (e fanatica) crociata intesa a écraser l’înfame.
All’umanità Voltaire consiglia, infine, di ridursi alla propria casa e al proprio orto, cioè di cercare la pace nell’esclusiva, minimalista ricerca dell’utile .
Due secoli prima della rifondazione gnostica compiuta da Martin Heidegger e dai suoi continuatori francofortesi e californiani , Voltaire ha capovolto la teoria della provvidenza formulata da Bossuet e perfezionata da Vico, disegnando l’immagine dimezzata di un dio creatore ma non provvidente, un dio labile, che ha gettato l’uomo nel mondo senza potergli assicurare il soccorso necessario a realizzare le più nobili aspirazioni della sua natura.
Ennio Innocenti, ha ricostruito la storia della tumultuosa circolazione di suggestioni gnostiche nell’Inghilterra moderna, un paese, lo confermano gli ingenti studi di Francis Yeats , affollato da bizzarri mistagoghi, maghi scientifici, cabalisti e profeti deliranti .
Al seguito del pregiudizio antiprovvidenzialista, il pensiero moderno sta regredendo a quella mitologia gnostica che poneva la debolezza e il peccato nel cuore di una divinità che tenta di riscattarsi alienandosi nel mondo. La versione moderna del mito gnostico è costituita, appunto, dalla formula hegeliana, secondo cui l’assoluto è un risultato.
Hegel ha imposto la veste filosofica al mito della divinità gnostica, che tenta di correggere la propria imperfezione disperdendosi nel molteplice e con il molteplice abbandonandosi a una storia indirizzata all’immenso inizio, all’oceano della dolente imperfezione. Jean Paul Sartre, l’ultimo degli hegeliani, ha riassunto la storia dell’assoluto in una formula che getta un ponte tra l’antichità gnostica e il suo esito moderno: il per sé è l’in sé che si perde come in sé per fondarsi, per costituirsi come coscienza.
Quando l’immaginazione stabilisce che l’assoluto (l’in sé) è causa della propria degradazione la speranza della redenzione viene meno (coerentemente Sartre la definisce passione inutile) e insorge quella cieca passione del ribelle-trasgressore che ha dominato la scena del Sessantotto.
La modernità, in tal modo, rimette in scena il contraffatto Gesù degli gnostici, dio labile e impotente, che non riscatta i peccatori ma assolve il peccato.
La passione tragicomica dell’assoluto segna l’ultimo orizzonte della modernità. D’ora in avanti l’ateismo scientifico tende a rovesciarsi nell’evasione, nello stordimento e nell’inganno del piacere trasgressivo. Alla vigilia della rivoluzione sessantottina, Julio Meinvielle aveva lucidamente previsto la metamorfosi libertina della rivoluzione moderna: “La vita così diventa un processo verso la morte, i vive per morire, per consumare, per esteriorizzarsi, per soddisfare la propria necessità di beni materiali. È la corsa al nirvana, ma è anche la corsa all’inferno” .
Dal suo canto osserva Roberto Rossi che “L’autonomia della storia da qualsiasi assoluto trascendente è portato di Hegel a compimento, a realizzazione definitiva e ultima. Ma questa assolutizzazione del soggetto nella storia e della storia nel soggetto, è precisamente nichilismo, cioè insensatezza: ciò che è precario diventa assoluto, ciò che è effimero trasformato in eternità, il nulla diventa l’unico orizzonte entro il quale l’uomo vive” .
Come hanno dimostrato Bataille e Kojève, nell’ottica degli storicisti la storia si riduce alla ripetizione perpetua e insensata della guerra di dio contro il suo male.
Il desolato scenario descritto dal vertice speculativo della modernità desta gli stati d’animo che cercano e trovano rifugio nella futilità e nell’estenuazione organizzata dall’industria del vuoto.
Cfr. l’intervento al convegno del Centro di orientamento politico presieduto da Gaetano Rebecchini, Roma 10 ottobre 2005.
Atti del convegno dell’Associazione dei giusnaturalisti cattolici, Bari 6 e 7 dicembre 1975. Per una breve storia degli studi vichiani promossi dall’associazione dei giusnaturalisti cattolici cfr. la prefazione di Tommaso Romano a: Piero Vassallo, “Introduzione allo studio di Vico”, Thule, Palermo 1992 ; Piero Vassallo, “La cultura della libertà”, i libri della banda di Genova, Genova 2008; Tommaso Romano, “Appunti per una storia del tradizionalismo cattolico in Italia 1946-198” in “Itinerari metapolitici”, ISSPE, Palermo 2008.
Scienza Nuova seconda (1744), I, IV.
Cfr.: “La teologia vichiana della storia”, in Aa. Vv. “Vico maestro della tradizione”, Thule, Palermo 1976.
Ibidem.
Cfr.: “La mètaphisique du christianisme e la naissance de la philosophie chretienne ”, Parigi 1961.
Cfr. l’intervento al convegno del Centro di orientamento politico, citato.
Cfr.: “Al di là del bene e del male”, III, 55.
Scienza Nuova seconda (1744), Conchiusione dell’opera.
Ibidem.
Scienza Nuova seconda (1744), XIII Degnità.
Cfr.: “Il tramonto dell’Occidente”, Longanesi, Milano 1957, Introduzione,pag. 35-110.
Cfr.: “La tradizione volgare Il mito in Giambattista Vico”, Ecig, Genova 2006, pag. 173
Ibidem.
S. Agostino, De ordine, I, 6, 15.
Si veda ad esempio la disperata affermazione di Nietzsche, “È assurdo voler far rotolare la natura umana verso un qualsivoglia, Siamo stati noi ad inventare il concetto di scopo, nella realtà lo scopo è assente”, cfr. “Crepuscolo degli idoli I quattro grandi errori”.
Fondatore della scuola deista fu il protestante irlandese John Toland (1670-1722), un interprete delle teorie illuministiche di John Locke. Non minore fu l’autorità di un altro inglese, anch’egli seguace di Locke, Henri Saint-John Bolingbroke, il cui pensiero esercitò un notevole influsso nell’opera di Voltaire. Nel 1767, Voltaire dedicò a Bolingbroke un’opera filosofica, “Examen important de Milord Bolingbroke”.
Cfr.: “Da Bacone a Kant”, Marzorati, Milano 1973, pag. 387.
È appena il caso di rammentare che, nell’età dei lumi, il culto dell’utile ha generato guerre spaventose, che hanno fatto il fanatismo e la ferocia a livelli industriali mai prima raggiunti.
Karl Löwith (“Saggi su Heidegger”, trad. italiana, Einaudi, Torino 1966) ha analizzato le tesi che legittimano l’opinione sulle assonanze gnostiche nel pensiero heideggeriano: “Negli Holzwege apprendiamo come e perché quel che si presenta nella storia debba essere necessariamente frainteso. L’essere si ritrarrebbe cioè proprio quando si discopre nell’essente inducendolo in errore … l’erramento appartiene all’essenza della verità. … Così chi vive nell’esserci vive nella necessità dell’errore ”.
Cfr.: “Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana”, Einaudi, Torino 1982.
Ennio Innocenti, “La gnosi spuria – II vol. Seicento e Settecento”, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma, 2007..
Cfr.: “Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano”, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma, 1995 pag. 129.
“Le radici del nichilismo moderno” Biblioteca di “Filosofia oggi”, ed. L’Arcipelago, Genova, 1995, pag. 17.