Guardategli gli occhi. Portano altrove. L’Altrove che fa così tanta paura all’Occidente adoratore del nulla.
Ne muoiono a mazzi, di ragazzi con quegli occhi, sul fronte di guerra. Restano nell’anonimato della storia e nel cuore delle loro mamme, dilaniato con loro ma condannato a restare in vita a vivere il dolore più grande.
Muoiono a mazzi non perché si odiano al punto di ammazzarsi tra conterranei e consanguinei, ma perché qualcuno dall’altra parte del mondo sta seduto alla consolle a muovere le icone di un videogioco assassino.
E ride, e si diverte, e tira il guinzaglio dei chihuahua europoidi, che sbavano e saltellano a comando, ormai immedesimati nel ruolo di servi senza speranza di riscatto.
Giova ricordare, ex multis, le parole del democraticissimo senatore yankee Graham: «Mi piace il percorso che stiamo percorrendo. Con armi e denaro americani, l’Ucraina combatterà la Russia fino all’ultimo ucraino»: dove, distillato in un rigo, viene sbattuto in faccia al mondo intero il pornografico disprezzo per la vita e per la morte (quelle altrui, ovviamente, localizzate a distanza di sicurezza).
Ma a quell’Occidente disperato non bastano le cataste di cadaveri senza nome. Gli occorre il sangue dei simboli.
Vladlen Tatarsky è saltato in aria come Darja Platonova Dugina. Lei a Mosca, lui a San Pietroburgo. Qualche mese di mezzo, stessa modalità, stesso movente, stesso obiettivo.
Erano entrambi influencer, come si dice nell’orrendo gergo dell’era virtuale (noi qui abbiamo i Ferragnez, a ciascuno il suo) e combattevano per la patria con le armi delle idee. Erano giovani, belli, seguìti, stimati. Esempi pericolosi, spine nel fianco per il corpaccione esangue, decrepito e morente dell’avversario, che i giovani semplicemente non li vuole più; a meno che non siano vuoti, deturpati e fieri di esserlo.
Gli adepti del regime di Kiev – fanatici coltivati e fomentati da fanatici – esultano. La propaganda mediatica nostrana, come sempre, dà il meglio di sé. Repubblica ha il coraggio di definire la povera vittima un «ladro ucraino diventato blogger per conto di Mosca». Vladlen era originario del Donbass e aveva fatto il reporter di guerra per documentare la realtà di un conflitto raccontato a rovescio da copiatori e ricamatori delle agenzie di stampa allineate al verbo, per i quali ormai vale tutto e, anzi, ogni bugia è una medaglia.
Allo stesso modo, senza vergogna, rimbalza la solita barzelletta del regolamento di conti interno, tra russi e russi: che si fanno esplodere da soli gasdotti e ponti, automobili e bar, come no, per endemico, irrefrenabile masochismo.
Invece… Invece la verità è autoevidente e impossibile da nascondere. Vladlen è la seconda tacca lasciata sul campo di battaglia dal serial killer occidentale, i cui delitti seguono un preciso rituale bellico-esoterico. Il segno della sua uccisione è lo stesso segno di Darja, ed è quello del terrore: se uno pensa, parla, crede, vive, non deve sentirsi al sicuro nemmeno dentro casa propria. Specie se è nel fiore degli anni.
Del resto, la guerra dei predoni del mondo, monopolisti della democrazia, non conosce codice d’onore: è una guerra nichilista e disintegrante, giocata tutta e solo sull’imbroglio e sul compiacimento della devastazione. Al punto, ricordiamo anche questo, da contemplare il tradimento preordinato degli stessi accordi internazionali, sottoscritti con riserva mentale, come è avvenuto a Minsk per espressa confessione del traditore.
È una guerra non solo fisica e geopolitica, ma biologica e spirituale, una guerra tra il nulla e la civiltà, tra il nulla e il senso di tutto. Il suo epicentro, oggi, è il vecchio continente in avanzato stato di decomposizione.
Del resto, la chiave per leggere le infami imboscate dell’omicida collettivo ci è offerta in diretta, in questo tempo di Quaresima, con le immagini della Lavra delle grotte di Kiev dove prende corpo l’odio irrefrenabile – che si traduce in incontenibile violenza – dei senza Dio verso gli uomini oranti. È un odio irrazionale, fuori controllo, che sgorga dalle viscere del male e si manifesta allo stato puro contro i più radicati e vitali simboli del sacro.
È la sete di vendetta a tenere in piedi l’Occidente terminale, che non ha nemmeno più le risorse per capire come presso altri lidi anche la sofferenza, persino la morte, abbia il suo perché. Possa cioè essere fertile.
«Guardare certi morti è umiliante» scriveva Pavese ne La casa in collina. «Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. (…) Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione».
Ecco. Il cadavere di Vladlen, come quello della sua amica Darya, chiede ragione a chi resta. A noi.
Questa conta di ragazzi ammazzati nella primavera della vita è la prova più oscena dell’invidia di un Occidente già morto di morte autoinflitta. Dimentico che dopo la passione c’è anche la Pasqua.
3 commenti su “Dopo l’assassinio di Darja Dugina, quello di Vladlen Tatarsky. Quegli occhi puliti in cui l’occidente adoratore del nulla non può guardare”
Splendido, commuovente e straziante articolo.
Nulla può stupire in una civiltà che sta assassinando il bello.
Il tuo concetto è condivisibile e giusto; farai solo un distinguo: noi non siamo più una civiltà ma solo delle marionette di Biden, tramite la UE, una setta corrotta al Nuovo Ordine Mondiale!