Discorso breve al popolo dei genuflessi

Parlo per me. Sono stato fermato dalle forze dell’ordine almeno due dozzine di volte per controlli e, in giovinezza, per ubriachezza o per schiamazzi notturni. Non mi è mai stato torto un capello. Non sono mai stato malmenato o condotto in questura, né in caserma. Ho sempre risposto con sincerità alle domande, mai mancando di rispetto e ho sempre fornito documenti validi che potessero accertare la mia vera identità. Nessun poliziotto mi ha mai trovato in possesso di droghe, perché non ne ho mai fatto uso, né trasportato, né ho frequentato persone che avrebbero potuto averne con sé. Sono stato fortunato? Può darsi, lo concedo. Mi sia concesso però che la strafottenza di chi pensa a.c.a.b. (All cops are bastards, cioè “tutti i poliziotti sono bastardi”) sia un peso sull’altro piatto della bilancia.

Si vede che sono un bambino fortunato in un Paese nel quale persino parlamentari si inginocchiano in commemorazione del tal signor George Floyd, cittadino straniero, vittima dell’aggressione sconsiderata di un poliziotto straniero, e non fatico a crederlo, visto che nel mio Paese molta gente crede che la polizia si aggiri losca per picchiare a morte ignari geometri intenti nell’uso del teodolite.

Questo popolo di genuflessi, non al cospetto di Dio, dinanzi al quale non si inginocchia più nessuno a partire dal sedicente papa, ma genuflessi di fronte all’ideologia del momento, di fronte al primo pifferaio che suoni l’ultima dolce melodia capace di riempire il vuoto di pensiero, questi genuflessi preferiscono acriticamente pensare ciò gli viene fornito già pensato, come diceva Guareschi. D’altra parte cambia il contenitore, ma il pensato cambia di poco, in certi casi non cambia affatto. Preferiscono credere che la società americana, strumentalizzata per sineddoche per la civiltà occidentale, sia sistematicamente razzista, sessista, ottusa e bigotta.

Al netto delle negligenze e degli abusi delle forze dell’ordine, per i quali esistono dei tribunali che funzionano benissimo, non abbiamo mai visto una folla di ragazzi italiani, ma nemmeno un gruppetto di parlamentari, inginocchiarsi in memoria di uno qualsiasi dei poliziotti o carabinieri uccisi da malviventi. Nessun cartello di protesta. Ma l’aspetto più ridicolo è che non lo hanno fatto nemmeno per un qualsiasi malvivente italiano. Ora invece tanto chiasso per questo mr. Floyd che nessuno conosceva prima. Non è la polizia che deve essere riformata, ma i media.

Poco importa fornire alcuni dati: solo il 13% della popolazione degli Stati Uniti è di colore. Il 37% degli arresti per crimini violenti riguarda neri; il 54% dei furti e il 53% degli omicidi riguarda i neri. Le percentuali restanti assommano tutte le altre etnie. Di più: la polizia USA lo scorso anno ha sparato a 1042 persone – evidentemente con cognizione di causa –, di cui solo 9 erano neri disarmati, mentre invece, la stessa polizia, che a detta dell’opinione pubblica agirebbe per odio razziale, ha ucciso 19 bianchi disarmati.

Ora, che la maggior parte degli omicidi in un Paese siano commessi da assassini di colore non giustifica anche solo un omicidio commesso da un bianco, non in quanto bianco o nero, ma in quanto omicidio. Allo stesso modo, la morte, colposa o preterintenzionale, di un indiziato di colore non dovrebbe indurre un essere dotato di testa pensante a inginocchiarsi per protesta o per richiedere di non si capisce cosa, e tanto meno giustifica l’imbrattamento e la distruzione della memoria storica di una nazione, siano Lee, Augusto o Montanelli.

Il popolo che usa le ginocchia al posto della testa spieghi la correlazione fra mr. Floyd di Minneapolis e l’italiano Cristoforo Colombo o il virginiano Thomas J. P. Jackson. In verità sono scuse. Pretesti ideologici atti a propalare stereotipi e pregiudizi nella testa dei giovani al fine di dissacrare, inquinare, corrompere la bellezza dura della patria, la verità dei fatti e della storia, la memoria degli avi, il patrimonio di orgoglio della civiltà occidentale, la dignità del lavoro e della fatica con cui i nostri antenati hanno costruito la nostra identità, compreso quel maledetto benessere grazie a quale questi sfaccendati ignoranti possono sprecare le proprie vite in droghe, murales, graffiti trogloditici, discorsi idioti, sporcizia mentale e genitale, non ultimo con queste baracconate da circo freak.

BLM, è un acronimo che non significa, come credeva il sottoscritto, bacon lives matter, ma black lives matter, sta a indicare che non tutte le vite contano, ma alcune contano di più. Oramai un nero non è solo una persona, come un bianco o un giallo per strada in città: per costoro la vita di un nero vale di più. Se un poliziotto sbaglia e spara a un bianco, pazienza, ma se spara a un nero deve mostrare un faldone così di certezze indiscutibili, altrimenti sarà sbattuto in prima pagina e condannato senza processo.

Non ci si lasci ingannare, questa barbarica accozzaglia non rivendica l’habeas corpus, questo show non è la richiesta di parità di trattamento per gli indiziati, è la pretesa arrogante e totalitaria della fine incondizionata della civiltà occidentale: il grido suicida di una generazione perversa e senza valori, che non pensa, non ragiona, non ama e che invoca il patibolo peri pochi che ancora pensano, ragionano, amano e hanno un progetto di vita positivo, poggiato sulla solidità reale dei valori identitari e religiosi, e non un confuso vuoto esistenziale poggiato nichilisticamente su di un’idiota e angosciosa disperazione.

4 commenti su “Discorso breve al popolo dei genuflessi”

  1. Chapeau!
    Pillole di retta ragione in un mondo di pazzi che urla pazzo a chi non lo è!
    Ma Gesù Cristo ce lo aveva anticipato 2000 anni fa e tremo a quelle parole del Suo ritorno sulla Terra e se troverà ancora la Fede.
    Il baratro non si è nemmeno lontanamente raggiunto e la civiltà sembra già così infernale!

  2. Fra le altre libertà-truffa, la libertà di stampa è una delle peggiori. La democrazia malfattrice, settaria, bucaniera, la usa a suo uso e consumo, salvo usare leggi obbrobriose per abolire la diffusione della verità.

  3. Sembra che un sottile ma robusto filo di perversione unisca l’inginocchiamento di centinaia di migliaia di pecore senza cervello e senza identità di alcun genere all’idolo della negritudine e il cocciuto “non inginocchiarsi” di Giorgio Mario dinanzi al Santissimo.
    Per questo e per tanti altri segni a cui stiamo assistendo, io credo che abbiamo raggiunto il punto di non ritorno. Solo Dio basta, nulla ci turbi!

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