DIFENDO MONS. BRUNERO GHERARDINI – di Roberto de Mattei

di Roberto de Mattei

gherardini

Mons. Brunero Gherardini

 

Negli ultimi tempi sono iniziati ad apparire pesanti attacchi alla riflessione teologica di mons. Brunero Gherardini sul Concilio Vaticano II e alla storia che io stesso di quell’evento ho proposto. La discussione non è mai inutile, ma a condizione che segua determinate regole, a cominciare dal rispetto per opinioni diverse dalle proprie. Negli attacchi nei nostri confronti, la violenza e la gratuità delle accuse sembra invece proporzionale alla esiguità degli argomenti. Mons. Gherardini, il sottoscritto ed anche altre valorosi apologeti, come il padre Serafino Lanzetta F.I., Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, siamo accusati, su alcuni siti web, di essere “criptosedevacantisti”, e veniamo accomunati ai luterani, per la nostra “mentalità protestantizzata”, agli “neognostici pseudo-tradizionalisti”, e ai progressisti, a cui saremmo uniti dall’”orgoglio individuale”. Non intendo per il momento reagire per quanto riguarda la mia persona, ma sento l’obbligo di intervenire in difesa di mons. Brunero Gherardini per un puro dovere di giustizia, prima ancora che di amicizia.

Va ricordato innanzitutto chi è il bersaglio primario di questi sconsiderati attacchi. Mons. Brunero Gherardini, nato a Prato nel 1925, ordinato sacerdote nel 1948, officiale dell’allora Sacra Congregazione dei Seminari, dopo avere avuto la responsabilità dei seminari regionali e diocesani d’Italia, fu chiamato alla Pontificia Università Lateranense, dove, dal 1968, insegnò come ordinario di ecclesiologia e fu decano della Facoltà teologica. Allievo e stretto collaboratore di mons. Antonio Piolanti, è stato membro e responsabile della Pontificia Accademia Teologica Romana e della Pontificia Accademia di S. Tommaso. Direttore della rivista internazionale “Divinitas”, canonico della Basilica Patriarcale di San Pietro, Postulatore, fino allo scorso anno, della Causa di canonizzazione del Beato Pio IX, è noto per essere, oltre che un grande teologo, un sacerdote esemplare, né è mai incorso in alcuna censura teologica o canonica da parte delle autorità ecclesiastiche. Egli ha dedicato tutta la sua vita alla Chiesa e la serve con accentuato fervore in un’età in cui tanti suoi confratelli vivono da tranquilli pensionati ecclesiastici. Basterebbe questo per imporre il rispetto e l’ammirazione nei suoi confronti e, anche nel caso di divergenze di opinioni, ad esigere che egli sia trattato con la deferenza e il rispetto che impongono il suo abito ecclesiastico, la sua carriera accademica, e soprattutto la stima di cui è unanimemente circondato.

Va aggiunto che su alcuni temi inerenti al Concilio Vaticano II, tra le posizioni di mons. Gherardini di un tempo e quelle di oggi si può registrare uno sviluppo e un’esplicitazione, conseguenza di una maturazione del suo pensiero, ma non certo incoerenza e tanto meno contraddizione. Lo stesso non si può dire del suo principale accusatore, il parroco don Pietro Cantoni, autore di uno sgradevole volumetto a cui alcuni suoi discepoli si richiamano esplicitamente nelle loro accuse a mons. Gherardini,

Conosco don Cantoni altrettanto bene di mons. Gherardini, avendo frequentato entrambi fin dagli inizi degli anni Settanta. Ero allora assistente di Augusto Del Noce che mi confidava di considerare mons. Gherardini come il massimo teologo vivente in Italia. Piero Cantoni, nato a Piacenza nel 1950, era un giovane proveniente dal tradizionalismo neopagano. Si convertì grazie anche agli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio predicati dal padre Lodovico Barrielle (1897-1983), maturò una sincera vocazione religiosa ed entrò nel seminario di Ecône dove, nel 1978, fu ordinato sacerdote da mons. Marcel Lefebvre e, per le sue qualità intellettuali, fu nominato professore. Ricordo bene come egli fosse allora affascinato dalle tesi del padre Guérard de Lauriers (1898-1988), noto come autore della “tesi di Cassiciacum”, secondo cui, a partire dal 1965, i Papi sono tali solo “materialiter” (nell’accezione scolastica del termine). Il padre de Lauriers riteneva, a differenza di mons. Lefebvre, che un Concilio non può sbagliare nelle sue decisioni: dal momento che alcuni documenti conciliari erano in oggettiva e indubbia contraddizione col Magistero perenne della Chiesa, il Papa che li aveva promulgati, e i successori che li avevano accettati, avevano perso con ciò, almeno sul piano formale, la loro suprema autorità. In coerenza con questa tesi teologica, padre de Lauriers si allontanò da mons. Lefebvre e nel 1981 fu consacrato vescovo, validamente ma illecitamente, dall’arcivescovo emerito di Hué, il vietnamita Pierre Martin Ngô Đình Thục (1897-1984).

Don Piero Cantoni non si sentì di fare l’arrischiato passo che, dietro mons. de Lauriers, facevano alcuni suoi confratelli, ma non rinunciò allo schema teologico assorbito dal domenicano francese, capovolgendone i termini. Riconoscendo la suprema autorità del Papa, ne concluse che i documenti che egli aveva fino ad allora ritenuto contraddittori con il Magistero della Chiesa dovessero invece essere considerati coerenti con esso. La semplicistica equazione Concilio=infallibilità spingeva verso il sedevacantismo o verso il conciliarismo “vaticansecondista”. In quello stesso 1981, don Cantoni lasciò anch’egli il seminario di Ecône con un gruppo di seminaristi italiani, fu incardinato nella diocesi di Apuania, divenne parroco e si iscrisse alla Università Lateranense, dove fu accolto, con grande carità, proprio da mons. Gherardini, laureandosi sotto la sua guida con una ricerca sul “Novus Ordo Missae”. A partire dal 1981, la rivista di Alleanza Cattolica, “Cristianità”, che fin dalla sua nascita, nel 1973, aveva ospitato scritti di mons. Marcel Lefebvre, mons. Antonio de Castro Mayer ed altri autori tradizionalisti, virò di rotta, sotto l’ispirazione teologica di don Cantoni. Mons. Lefebvre, e con lui la maggior parte del mondo detto “tradizionalista”, mantenne una posizione diversa sia dal “sedevacantismo” che dal “conciliarismo”, a cui don Cantoni si era allineato. Con le consacrazioni episcopali, valide ma illecite, del 4 giugno 1988, mons. Lefebvre si pose tuttavia in una posizione canonicamente irregolare, che è attualmente al centro dei colloqui tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede.

Ogni itinerario esistenziale è rispettabile, soprattutto se è sofferto, ma chi ha capovolto le sue posizioni non può rivolgere a chi è stato coerente l’accusa, che a mons. Gherardini oggi è indirizzata, di essere “ambiguo” o “ondivago”. Ma soprattutto nessuno può sostituirsi alla suprema autorità della Chiesa nel giudicare, su questioni non definite, i propri fratelli nella fede. Vi sono alcuni dogmi, come quelli dell’Immacolata Concezione che sono infallibilmente definiti dal Magistero straordinario della Chiesa. Chi li negasse dovrebbe essere considerato, senza appello, eretico. Esistono altre verità, di ordine teologico, come quella dell’invalidità dell’ordinazione sacerdotale delle donne che non possono essere negate senza cadere nell’eresia o nell’errore, perché, pur non essendo state mai definite dal Magistero straordinario, sono state proposte infallibilmente dal magistero ordinario e universale. Vi sono però altri punti su cui la discussione teologica è aperta quali, ad esempio, il valore teologico da attribuire alla dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae o alla riforma liturgica di Paolo VI. In questi casi il Magistero straordinario non si è pronunciato e mancano le condizioni richieste dal Vaticano I per l’infallibilità del Magistero ordinario. La discussione è dunque libera e aperta.

La Chiesa, nel corso della sua storia, ha sempre conosciuto dispute teologiche, anche serrate. Fino a che una verità non è definita dalla Chiesa, è lecito difendere la propria opinione, anche con calore, perché abbiamo l’obbligo di sostenere ciò che ci sembra vero. Non abbiamo però il diritto di “scomunicare” chi la pensa in maniera diversa da noi, solo perché non ne condividiamo le opinioni. Se mons. Gherardini, padre Lanzetta o il prof. de Mattei sbagliano, lasciamo che sia la Chiesa a condannarli. Ma se mons. Gherardini vive in Vaticano e scrive sull’”Osservatore Romano”, vuol dire che le sue opinioni, anche se non necessariamente condivise, sono quantomeno tollerate dalle autorità ecclesiastiche. E come potrebbero non esserlo, quando sono tollerate posizioni, queste sì oggettivamente eretiche, come quelle dei parroci austriaci o tedeschi che reclamano l’ordinazione delle donne e il matrimonio dei preti? Non meraviglia che le posizioni di mons. Gherardini siano invise al fronte progressista. Ma perché tanta avversione da parte di chi progressista non è? Perché si concentra il fuoco su chi difende la Tradizione, invece di riunire tutte le proprie forze per combattere chi questa Tradizione nega?

Forse gli accusatori di mons. Gherardini, che si propongono come gli unici interpreti del Magistero della Chiesa, vorrebbero che l’unica alternativa alla loro accettazione incondizionata del Vaticano II fosse il sedevacantismo o, quantomeno, la posizione di irregolarità canonica in cui si trova attualmente la Fraternità San Pio X. L’accusa di “criptosedevacantismo” fa torto all’intelligenza e all’onestà di chi la pronuncia. E per quanto riguarda quella di “lefebvrismo”, lo stesso mons. Gherardini ha ribadito, ancora recentemente, con chiarezza, le sue posizioni,”Condivido con la Fraternità alcune idee di fondo: il senso della Tradizione viva perché ininterrotta, la “romanità” del Fondatore, la critica all’attuale involuzione mondana, ed altro ancora. Non però l’autonomia con cui la Fraternità “conosce” cause matrimoniali, scioglie matrimoni, riduce allo stato laicale: queste son competenze della Chiesa e dei suoi tribunali, non d’una “società sacerdotale”, oltretutto non ancora canonicamente riconosciuta”.

In una parola, condividere alcune posizioni dottrinali non significa essere corresponsabile delle scelte di vita canonica. Il grande merito di mons. Gherardini è proprio quello di aver dimostrato che si può svolgere una seria e obiettiva critica di alcuni documenti del Concilio Vaticano II rimanendo pienamente all’interno della Chiesa cattolica, rispettandone le supreme Autorità e lasciando ad esse il compito di risolvere la questione in maniera definitoria. Fino a quando ciò non avviene la discussione resta lecita e dovrebbe avvenire in maniera pacata e rispettosa. Non può essere definito “sedevacantista” o“protestante” chi analizza criticamente documenti, atti o omissioni dell’autorità ecclesiastica non coperti dall’infallibilità, ma chi nega, di principio o di fatto, l’esistenza di questa autorità. E questo non è il caso né di mons. Gherardini né degli altri autori sotto accusa, che in altri tempi sarebbero stati definiti “ultramontani” proprio per il loro attaccamento alla Autorità apostolica e alla Sede Romana. Le accuse che ci sono rivolte ledono il nostro onore di cattolici e costituiscono una ingiusta denigrazione, che comporta un peccato contro la giustizia, in sé grave. E’ in nome della giustizia violata che scrivo queste righe e che chiedo che siano modificati i termini della discussione in atto. In caso contrario nessuno potrà sottrarsi al diritto a difendersi e ci troveremo di fronte a controversie dolorose, ma forse purificatrici.


Roberto de Mattei

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