… A nessuno passò per la testa che, da cattolici ligi al quinto comandamento, si potesse proporre il divieto di pratiche che uccidono. Invece che contrastare il male tout court si lavorò per proporre e perseguire il male minore, nella marasmatica confusione dei ruoli
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di Marisa Orecchia
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Con il pianto nella voce, al suono delle chitarre cantavano “Hanno ucciso i nuovi Ebrei, hanno ucciso i fratelli miei “. Erano i giovani del movimento per la vita che in quel 18 maggio 1978 avevano atteso davanti a Palazzo Madama l’esito della votazione sulla legge 194 che depenalizzava l’aborto volontario. Per tutto il giorno erano rimasti lì, di fronte al Senato, sperando fino all’ultimo che mancasse qualche voto, che qualcuno ci ripensasse, che la legge assassina non passasse. E invece no. Il 22 maggio il presidente Leone la promulgava.
I vescovi italiani, pochi giorni dopo, nel messaggio conclusivo dell’Assemblea generale, pronunciavano solennemente :” Di fronte alla legalizzazione dell’aborto, che con tanta ostinazione si è voluto introdurre anche nel nostro Paese, la Chiesa non si rassegna, non può rassegnarsi” . E istituirono la giornata per la vita.
L’Avvenire di Piergiorgio Liverani, negli anni che avevano preparato la vittoria dell’abortismo, aveva condotto una campagna contro la legalizzazione dell’aborto con interventi quasi quotidiani, per informare, per battersi in difesa della vita, dando voce ai lettori che manifestavano la loro protesta e denunciando le falsità, le mistificazioni che i fautori dell’aborto libero diffondevano nell’opinione pubblica.
Chiaro e univoco il messaggio in quei tempo. L’aborto era un abominevole delitto e non c’era legalizzazione che potesse cambiare la realtà dei fatti. La 194 era una legge integralmente iniqua.
C’erano stati sì, durante l’iter legislativo, alcuni parlamentari che avevano lavorato per la riduzione del danno. Gozzini, La Valle, Codrignani, per fare qualche nome, cattolici rigorosamente adulti, intruppati nella sinistra indipendente, che si erano illusi, abboccando all’esca degli abortisti, che la socializzazione dell’aborto avrebbe eliminato l’aborto clandestino e tutelato le donne e si erano adoperati per fare “una buona legge” introducendo l’obbligo di una consultazione preventiva per la donna, la ricerca di alternative all’aborto, il tempo di riflessione e via discorrendo. Cose che, nell’intenzione dei proponenti , avrebbero dovuto introdurre sostanziali cambiamenti nella stesura definitiva della legge, ma che ben presto si rivelarono per quello che erano: una mera operazione di cosmesi che, con l’introduzione nell’articolo 1 della dicitura “ tutela la vita umana dal suo inizio” toccò l’acme della comicità, se è lecito usare questo termine di fronte ai quasi sei milioni di bambini uccisi da allora ope legis.
Poche voci discordanti, tuttavia, nell’unanime coro dei no alla legge 194 che in quei giorni si levava dal mondo cattolico.
Completamente rovesciata la situazione per la legge 40 sulla fecondazione artificiale, approvata nel febbraio di dieci anni fa. Come già aveva dichiarato l’Istruzione Donum vitae nel 1987 e come ribadisce chiaramente la Dignitas personae nel 2008 , le tecniche di riproduzione artificiale aprono la porta a nuovi attentati contro la vita. La percentuale di embrioni prodotti in laboratorio e destinati a morte certa è altissima. La fivet è incontrovertibilmente una fabbrica di aborti. Né vale affermare che l’aborto uccide perché ha l’intenzione di uccidere, mentre la fivet ha tutt’altra intenzione, a meno che non si sia machiavellicamente convinti che il fine giustifichi il mezzo.
Eppure la legge 40 trovò la quasi totalità del mondo cattolico a sostegno. Salvo una sparuta schiera di dissidenti, emarginati e censurati, il mondo cattolico, quotidiano della CEI in testa, affrontò con entusiasmo l’iter per l’approvazione della legge producendo progetti, promuovendo alleanze più o meno trasversali, impegnandosi nell’erigere paletti, per escludere le pratiche più aberranti quali la crioconservazione, la sperimentazione, la fecondazione eterologa, e che nelle intenzioni avrebbero dovuto salvaguardare l‘embrione i cui diritti venivano ribaditi – anche qui! – proprio nell’articolo 1 della legge. A nessuno passò per la testa che, da cattolici ligi al quinto comandamento, si potesse proporre il divieto di pratiche che uccidono. Invece che contrastare il male tout court si lavorò per proporre e perseguire il male minore, nella marasmatica confusione dei ruoli. Quello dei politici che, in quanto tali, nelle Aule parlamentari devono fare i conti con le votazioni e i numeri, e quello dei Pastori cui è stato affidato il compito di illuminare le coscienze circa la verità.
Quali conseguenze oggi di quel vizio radicale che segna la nascita della legge 40? Non son poche e sono gravi.
– In dieci anni, della legge 40, sotto i colpi della sentenza 151/2009 della Consulta e dei vari interventi dei giudici “creativi” resta assai poco . I paletti sono stati divelti quasi per intero. E’ ormai soltanto un involucro destinato a svuotarsi definitivamente per le sentenze in arrivo sulla possibilità di accesso all’eterologa. Era prevedibile? certamente: se si apre una falla, il crollo dell’intera diga è solo questione di tempo . Si ritornerà a quel far west procreativo che si è voluto a tutti i costi superare, con buona pace dei fautori della riduzione del danno.
– I credenti che ancora si impegnano per seguire il Magistero, anche per i temi che riguardano la morale sessuale, sono stati tratti in inganno: è diffusa e ben salda l’opinione, anche fra i sacerdoti e i religiosi, che la fivet purchè omologa, così fervidamente esaltata e contrapposta all’eterologa, sia cosa buona e lecita. Da propagandare addirittura.
-Avvenire, il quotidiano della CEI , impegnatissimo a rinsaldare l’opinione di cui sopra, nell’impossibilità di smentire se stesso e il ruolo svolto in questi dieci anni, continua imperterrito a proclamare che la legge 40 è ancor più necessaria, ad affermare trionfalmente che cresce il numero delle coppie che accede alla fivet, ci propina penosi editoriali sulla legge cattolica/non cattolica, pubblica tabelle sulla differenza tra bimbi nati ed embrioni prodotti (sic!) con cifre agghiaccianti.
C’è un ultimo, ma non meno grave fatto da sottolineare . In questi dieci anni che hanno fatto seguito all’approvazione della legge 40, abbiamo assistito indubbiamente ad una deriva del mondo cattolico anche nei confronti della legge 194. Occorrerà magari discutere sul post o protper hoc, ma è evidente che in questi ultimi dieci anni, e proprio da parte di estimatori della legge 40, non esclusi Uomini della Chiesa, anche la legge 194 ha ottenuto qualche sdoganamento. Una delle migliori del mondo, è stata definita, una legge con parti buone da applicare, una legge di cui non invochiamo certamente l’abrogazione, una legge che non crea certamente il diritto di aborto e via di questo passo. Certo, sono due leggi, la 194 e la 40, moralmente e giuridicamente sullo stesso piano. Se si giustifica la 40, perché no, la 194?
Un bel rovesciamento di prospettiva, insomma. Dov’è finita la chiarezza, dove il rigore cui avrebbero diritto coloro che ancora si ostinano a rimanere fedeli al Magistero?
2 commenti su “Dieci anni dopo l’approvazione della legge 40 – di Marisa Orecchia”
Grazie Marisa per la tua impietosa quanto lucida e veritiera analisi! In questa drammatica ora per la Chiesa, in cui la caligine sembra avvolgere ogni cosa, continuiamo a scrutare l’orizzonte…sicuri che il Sole di Giustizia non tarderà ad apparire e a squarciare le tenebre dell’accecamento!
Dio ti benedica!
p. Mario
“Dov’è finita la chiarezza, dove il rigore cui avrebbero diritto coloro che ancora si ostinano a rimanere fedeli al Magistero?”
E’ finita negli anni sessanta con il Concilio Vaticano ll che precedette il sessantaotto quando in Italia sembrava che la quasi totalità della popolazione fosse cattolica.