di Roberto Pecchioli
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Uno degli inganni più creduti del presente è che democrazia e liberalismo siano sinonimi. Il punto di intersezione sarebbe il parlamentarismo, luogo d’elezione dell’ideologia liberale, prova invincibile della relazione tra la democrazia (governo del popolo) e la libertà economica, totem della dogmatica liberale. Il nesso, costruito a partire dalle due grandi rivoluzioni borghesi del Settecento, americana e francese, saldato sino alla fusione al termine del Novecento, compimento della storia per vittoria del mercato, è facilmente confutabile. Sistemi sociali basati sulla proprietà privata hanno convissuto per secoli con i più diversi regimi politici, sino al caso della Cina del XXI secolo, capitalistica, poco liberale e per nulla democratica.
Già a un’analisi superficiale, risulta chiaro che il potere del popolo è incompatibile con un regime economico fondato sulla prevalenza programmatica degli interessi privati. Tocqueville comprese per primo che il successo della democrazia liberale è legato alla continua espansione della sua base borghese, continuata per quasi due secoli sino a divenire classe dominante. Abbattuti dopo il 1968 i residui valori tradizionali della vecchia borghesia, sconfitta nel 1989 l’alternativa comunista, l’egemonia è passata alla classe dei grandi azionisti e dei dirigenti delle sempre più gigantesche entità industriali e finanziarie private, estranee al metodo e al principio democratico. “I voti non si contano, si pesano” (Giovanni Agnelli), è il credo degli alfieri di un capitalismo il cui modello è il consiglio di amministrazione e il cui obiettivo è il dominio attraverso la privatizzazione del mondo e il possesso della tecnologia.
Suoi nemici politici restano la democrazia e lo Stato; avversari culturali le identità collettive: religioni, popoli, nazioni, comunità. Il liberalismo non è che l’involucro, la maschera benevola del liberismo globalista. Il tarlo della modernità non è la democrazia, bensì la prevalenza al suo interno della ragione liberale, liberista in economia, formalista nel diritto, parlamentarista in politica. Questo è il nucleo del nostro “pensiero forte”. Al riguardo, è interessante riassumere l’opinione di due grandi critici della democrazia parlamentare, Oswald Spengler e Carl Schmitt. Spengler osteggiò la democrazia in quanto regime falso, orientato attraverso la manipolazione dei mezzi di informazione, con cui il popolo scambia per libertà la propria mutevole opinione eterodiretta. Un secolo dopo, l’analisi dell’autore del Tramonto dell’Occidente conserva la sua pregnanza.
La critica di Schmitt è più sottile e insieme più radicale. Secondo il grande giurista, la democrazia si risolve e dissolve nella pratica del parlamentarismo, assai diversa dalla sovranità popolare. Nel mirino dell’autore delle Categorie del Politico entra il più munito dei santuari del pensiero liberale, la separazione dei poteri, quei meccanismi impersonali check and balance che finiscono per innestare un “pilota automatico” nella democrazia ridotta a periodico spettacolo elettorale e sterilizzare ogni processo di decisione svuotando il potere dello Stato, secondo teoria e prassi liberale. Schmitt, con un parziale debito verso Rousseau, afferma che il cuore del principio democratico è l’inesistenza della distinzione teorica tra governati e governanti. La separazione dei poteri deve pertanto essere assorbita da un principio superiore, l’esercizio diretto della sovranità da parte del popolo, la cui espressione fondamentale è lo Stato, nemico principale dei liberali.
Si può dissentire dalla generalizzazione schmittiana, ma non si può negare che sia stata costruita ad arte una grande confusione tra il potere esecutivo – braccio secolare di oligarchie estranee – e quello legislativo, ossia il parlamento derubricato a luogo di contrattazione di interessi opachi dei gruppi di potere e di pressione (le lobby). Sullo sfondo, il potere giudiziario, zona grigia di finta indipendenza, sottratto al controllo popolare, luogo di identificazione tra verità e legalità, nonché di legale proscrizione delle idee ribelli. Seguendo le piste di Schmitt, occorre prendere atto che, al di là delle volontà individuali, si è scelti da qualcuno come nemici. A costoro non si può rispondere con profferte di dialogo, sterili sottigliezze giuridiche o interminabili discussioni (la clasa discutidora borghese tanto invisa a Donoso Cortés).
Vale la Teoria del Partigiano: amica è la democrazia partecipativa, amico è lo Stato, la comunità nazionale, locale e spirituale, la morale, l’identità. Nemico, irrevocabilmente, è il liberalismo/liberismo della finta democrazia fatta di conciliaboli parlamentari, ove si legittimano e legalizzano la privatizzazione del mondo, la nuova schiavitù, la dittatura del denaro, la fine della sovranità, l’omicidio dei popoli.
10 commenti su “Democrazia contro liberalismo – di Roberto Pecchioli”
Senza democrazia il liberalismo sforza assai, la forza della propaganda democratizzata fa da ottimo lubrificante al caos anarchico e brutale a cui il liberalismo
conduce.
Democrazia e liberalismo = Inganno e anarchia.
Due schifezze di cui si può e si deve fare a meno.
Ma la democrazia non è il sistema per il quale il voto del malizioso ignorante è uguale a quello del galantuomo istruito? il sistema per il quale ogni imbonitore da fiera può, con diritto, diventare deputato?
piero nicola: “Ma la democrazia non è il sistema per il quale il voto del malizioso ignorante è uguale a quello del
………………galantuomo istruito? Il sistema per il quale ogni imbonitore da fiera può, con diritto, diventare deputato?”
È il sistema che Lei ha detto, signor Nicola, ed è anche quello per cui un multimilionario uomo d’affari come Trump – contro la compattata classe politica americana e la Piovra che, occulta, la controlla da dietro le quinte – può diventare Presidente della Nazione. Ma attenzione a non perdere il punto: che tutto quanto avviene alla luce del sole, riportato da tutti i media 24 ore al giorno, altro non è che uno spettacolo allestito per il popolo allo scopo di divertirlo e gabbarlo. Ciò che avviene, però, al riparo della luce del sole, nell’ombra dei salotti del potere, è cosa ben diversa e segreta: la Piovra che, con i suoi molti tentacoli, controlla ogni cosa ed ognuno, compresi i vari Trump di turno.
Spettacolo per il popolo credulone: questo è ciò che è, nella realtà, la democrazia!
Qualcuno ebbe a dire che la democrazia è la forma di governo in cui si offre al popolo l’illusione di essere sovrano
Per togliere al popolo ogni sovranità, lo si deve privare del sovrano. O si comanda o si è comandati, non si può essere al tempo stesso
sia servitore che padrone. Ma un popolo servo che crede di essere libero è lo schiavo migliore per il padrone che lo dirige
e che resta nell’ombra. Quando sei convinto di essere libero nella tua prigione, se pure i carcerieri scordano di chiudere la porta
tu non scappi, e se da malato sei convinto d’essere sano, crepi contento con la medicina chiusa nel comodino.
Per questo periodicamente quando la massa comincia a dare segni di insofferenza, la si richiama alle urne la si fa votare
e poi si dice loro: i vostri problemi sono colpa vostra, voi avete votato voi avete sbagliato…. finchè dura dura…
poi si vota ancora…. e ancora e ancora, mentre la pletora parassita ingrassa, i camerieri politicanti starnazzano è la gente
sprofonda sempre più nell’abominio morale e nel disagio collettivo.
Ecco i frutti di una democrazia che funziona.
È dunque, stando le cose come cosi chiaramente illustra Roberto Pecchioli, non credete che sia quanto meno indignitoso per uomini e donne che vogliono dirsi tali andare a votare rendendosi complici di questo vomitevole e,per così dire, osceno spettacolo?
Come dar fiducia a gente che inevitabilmente e consapevolmente dovrà sottomettersi a un potere talmente malefico che impone alla Lituania il risarcimento a un’azienda che offendendo la sensibilità religiosa e la morale per l’utilizzo di immagini di Gesù e Maria nella pubblicità di un tipo di abbigliamento era stata a suo tempo multata? Come potremmo sentirci in pace con la nostra coscienza ballando e danzando al tocco di questi diavoli?
È forse un discorso estremamente povero, ma questo ritengo giusto nella mia pochezza.
Tonietta: “È forse un discorso estremamente povero, ma questo ritengo giusto nella mia pochezza”.
Direi, gentile signora Tonietta, che il Suo è un discorso che, almeno in questa specifica circostanza, va direttamente al punto, senza punto mancarlo! Troppi di noi, e troppo spesso, ci proviamo, di contro, ad andare al punto e clamorosamente mancarlo smarrendoci nell’intricato labirinto delle mille divagazioni. A volte penso se, come immediata e diretta conseguenza del peccato originale, Adamo ed Eva non si siano ritrovati con una mente accecata, appunto, dalla perenne nuova condizione di inarrestabile “farfallamento”, ovverosia, divagazione. Nella mia vita ho ascoltato migliaia di discorsi pubblici, sia dal vivo che da video o da audio, e solo una volta mi è stato dato di ascoltarne uno per bocca di un uomo politico il quale – ad ogni mio ricordo – mi appare come un carro armato che andava dritto senza mai deviare, ovverosia ‘divagare’, di un solo millimetro.
Una affascinante, travolgente ed illuminante esperienza!
Carissima Tonietta, sono d’accordo in tutto con Lei. Ma mi sorge un dubbio: e se la Vergine Maria, in seguito a molte e fervide preghiere, volesse servirsi di una parte almeno degli elettori per operare un “miracolo” ?
Ma, non lo so, cara Giulia. L’ambiente di cui parliamo è troppo inquinato e l’aria così irrespirabile che la Madonna come potrebbe fare a servirsi degli elettori se non vi è nessun partito così moralmente integro da potersi in coscienza votare?
Il liberismo morale lo dovrebbe arginare la chiesa convertendo i cuori. Ma questa chiesa è ben contenta della situazione.
Il liberismo economico l’Italia lo ha sempre subito ma mai promosso per le parti attive della società. Se ci lasciassero più possibilità
di guadagnare avremmo più mezzi per fare del bene. Ultima follia che ha coinvolto la mia famiglia:abolizione delle co.co.pro
(o come caspita si chiamano)sopra i 10mila. Conseguenza: apertura p.iva, stesse ore di lavoro ma guadagni inferiori.