Il grande successo della Marcia per la Vita 2013. Il caloroso saluto di Papa Francesco
di Cristina Siccardi
fonte: Messainlatino
«La vita che difendiamo non è solo quella biologica e materiale, ma anche quella spirituale e morale dei bambini che devono nascere, delle famiglie e della società intera». Per realizzare ciò è necessario lottare contro la dittatura del relativismo che «impone leggi anti-naturali e anti-cristiane e colpisce e discrimina chi resiste a questo processo di degradazione morale», così ha affermato la Dottoressa Virginia Coda Nunziante all’apertura della Marcia per la vita, che domenica 12 maggio ha visto la partecipazione di ben 40 mila persone, come dichiarato dagli organizzatori. È stato un vero trionfo di tutti coloro che amano la vita e la difendono, di tutti coloro che chiedono che venga al più presto abrogata l’infame legge 194 che permette l’omicidio degli innocenti, quella legge che la portavoce della Marcia, Coda Nunziante, ha ricordato che ha prodotto circa 6 milioni di vittime.
Papa Francesco si è unito calorosamente a questa Marcia, parlandone all’Angelus di piazza San Pietro, invitando «a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento» e al termine del Regina Coeli è andato incontro in papamobile ai manifestanti che percorrevano via della Conciliazione.
La terza edizione della Marcia per la vita, che ha già dato il suo arrivederci al 4 maggio del 2014, ha avuto un’ampia eco sui media, anche sulle principali reti televisive e sulle prestigiose testate giornalistiche.
La vita dovrebbe essere sacra per tutti, ma a maggior ragione per coloro che si professano cristiani. Nel 1978, quando venne emanata la 194, la Democrazia che si autodefiniva Cristiana non difese tale sacralità. Oggi, a distanza di più di trent’anni, migliaia di persone hanno marciato dal Colosseo a Castel Sant’Angelo perché sia cancellata per sempre quella legge di sangue.
Il giorno prima, durante il Convegno sulla vita, che si è svolto all’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, Monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, ha dichiarato: «Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita […] dentro la Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo ha un significato spirituale, certamente, ma ne ha anche uno cosmico e sociale. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza».
L’Arcivescovo ha affermato che «l’uso pubblico della ragione è di fondamentale importanza per il ruolo pubblico della fede cattolica. Questa, infatti, non trasferisce immediatamente il diritto rivelato nel diritto civile, ma si affida al diritto naturale, quindi al concetto di natura e di ragione pubblica. A quest’ultima spetta il compito di riconoscere l’ordine sociale come un discorso finalistico sulla convivenza umana. La fede non si sostituisce alla ragione. Ma non la abbandona nemmeno a se stessa. Se non c’è ordine naturale non c’è ragione pubblica, se non c’è ragione pubblica non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede. Se non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede non c’è dimensione pubblica della fede cattolica. Se non c’è dimensione pubblica della fede cattolica non c’è la fede cattolica. Lo riscontriamo: man mano che la ragione si privatizza anche la fede si privatizza. Se il credente, quando entra nella pubblica piazza, deve rinunciare alle ragioni della propria fede, alla fine pensa che la propria fede non abbia ragioni. Ma senza ragioni viene meno non solo il versante pubblico della fede, bensì anche quello personale ed intimo. Ecco perché il tema della difesa della vita umana fin dal concepimento è fondamentale per mantenere e sviluppare il dialogo tra la ragione e la fede».
Sul palco della Marcia è salito il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha denunciato, in un luogo di martirio come quello del Colosseo, l’attuale «strage degli innocenti» provocata dall’aborto. Inoltre hanno partecipato alla Marcia apolitica e aconfessionale parlamentari come Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi, Lorenzo Fontana, Eugenia Roccella, Stefano De Lillo, Olimpia Tarzia, Paola Binetti e Federico Iadicicco.
Fra le personalità di spicco che sono intervenute all’inizio della Marcia ricordiamo Jeanne Monahan, Presidente della March for Life di Washington, e Lila Rose, attivista pro-life tra le principali avversarie dell’ente abortista Planned Parenthood. Tra i primi a partire, oltre a Nicholas Windsor, membro della famiglia reale inglese, convertito al Cattolicesimo e impegnato da anni in difesa della vita, c’era anche la figlia di santa Gianna Beretta Molla, Gianna Emanuela, che nacque perché sua madre decise di darla alla luce pur sapendo di morire.
A sfilare per tutto il tragitto il Cardinale Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica. La sera prima dell’evento, il Cardinale ha definito l’aborto «un vero crimine, anche legale, divenuto comune nella nostra società». Da qui l’urgenza di «purificare una società dominata dalla cultura di morte» e di «rivestirsi di Cristo attraverso preghiera e penitenza»; dunque «La nostra Marcia per la Vita procede dalla nostra adorazione eucaristica. La nostra fede non può restare chiusa nel tempio, ma deve esprimersi nella carità verso il prossimo. Occorre opporsi dunque a chi vorrebbe marginalizzare il cristianesimo e relegarlo alla sfera privata per ribadirne il ruolo legittimo nello spazio pubblico».
Fra coloro che hanno preso la parola sul palco, prima che il corteo – costituito da famiglie, movimenti pro-life, sacerdoti, religiosi, religiose – si incamminasse, anche l’eroico Dottor Xavier Dor, classe 1929. È stato pediatra all’ospedale della Pitié-Salpétrière, ricercatore di embriologia cardiaca all’INSERM, nonché fondatore e Presidente dal 1986 dell’Associazione SOS bambini. Dor ha portato la protesta e la preghiera antiabortista in ospedali e cliniche, dove si pratica l’infanticidio. Proprio per la sua azione è stato perseguitato più volte per aver organizzato manifestazioni senza autorizzazione e fu condannato, in particolare, dopo il 1993, quando fu emanata la legge contro il reato di ostacolo all’aborto legale: subì addirittura il carcere, scontando la pena a Bois d’Arcy nel novembre 1997 e visse la libertà vigilata nel gennaio 1998.
Questa la sua toccante ed edificante testimonianza, che provoca le coscienze: «Io ringrazio profondamente Famiglia Domani per avermi invitato a Roma, capitale della Cristianità e di avermi permesso di aver preso la parola. Desidero attirare l’attenzione sul più grave crimine che venga commesso contro Dio e contro noi stessi: l’aborto. Legalizzato quasi ovunque, le sue vittime, innocenti e piccole, si contano a miliardi. È il più grande flagello dei nostri tempi, e senza dubbio di tutti i tempi. Il nuovo vice presidente della Conferenza episcopale di Francia, il Vescovo di Montpellier, ha dichiarato, a proposito della legge che permette i matrimoni omosessuali: “La Chiesa non si può immischiare nelle leggi civili”. Possiamo mantenere il silenzio sul crimine ed il vizio? Come salvare i nostri bambini dalle menzogne e dall’ignoranza? Di fronte all’evidenza c’è un dovere di verità, di coraggio, di fedeltà, di vera libertà e di resistenza. Bisogna testimoniare. Dovrò presto comparire davanti alla giustizia per aver, negli uffici del Planning Familial, donato un paio di scarpette ad una donna che voleva fare un aborto. Il simbolo delle scarpette è fra tutti il più forte perché rappresenta la debolezza e la piccolezza dell’essere più prezioso al mondo per l’amore materno. Durante un precedente processo a Nanterre io ho ricordato queste scarpette. L’emozione fu grande. Le avvocatesse delle parti civili si sono immediatamente adirate. L’una ha detto: “Signora Presidente, queste scarpette sono d’una violenza estrema”, e l’altra: “Voi fate del terrorismo con queste scarpette!”. Tutta la sala ha riso, comprese le stesse esponenti della sinistra. Forse, dovrei offrire ai nostri vescovi, un paio di scarpette?».