“Induite armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias Diaboli” (Ef 6, 11)
“Sancte Michael Archangele, / defende nos in proelio, / contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium …” (Leone XIII).
di Carla D’Agostino Ungaretti
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Riscossa Cristiana dello scorso 23 luglio ha pubblicato un discorso di Pio XII agli amministratori civici cristiani d’Italia che, sebbene pronunciato nel 1956, mi è parso di una straordinaria attualità e mi ha suscitato le riflessioni che ora cercherò di illustrare e di condividere con gli amici. In quegli anni l’Italia stava ancora leccandosi le ferite che le erano state inferte da una guerra disastrosa, ma era animata dalla speranza (che ora mi sembra molto affievolita) della ricostruzione morale, civile e materiale del suo tessuto sociale. Il Papa, ben consapevole di tutto ciò, sottolineava con forza la necessità che in quell’opera di risanamento e di rinascita gli amministratori cristiani agissero testimoniando con coerenza la loro Fede, perché “oggi vi sono uomini che vogliono costruire il mondo sulla negazione di Dio”.
Non c’è dubbio che una sorta di progresso materiale si sia realizzato da allora: credo che nessuno possa negare che oggi si viva materialmente molto meglio di come si vivesse cento e anche cinquant’anni fa (basti pensare alle molte malattie ormai debellate) ma io dubito che i destinatari dell’allocuzione del Papa abbiano obbedito in tutto e per tutto alla sua esortazione. Ogni “progresso” realizzato da allora si limita all’ambito materiale ed io, cattolica “bambina” – vedendo, pur senza giudicare nessuno, quello che avviene nel mondo che mi circonda – vorrei tanto che oggi quel discorso di Pio XII fosse meditato e fatto proprio dai vescovi e dai parroci. Invece essi sembrano tutti sordi a un appello in questo senso; si direbbe che i nostri pastori abbiano perso per primi ogni speranza di miglioramento morale e spirituale del loro gregge e preferiscano sopravvivere in una sorta di calma piatta che non ha più nulla di cristiano.
E’ anche indubbio che molti cattolici “bambini” avvertano un forte disagio, quando non addirittura mortificazione e dolore, nel constatare che molti, tra i loro fratelli nella fede, cedono alle lusinghe del mondo, finiscono per tollerare, o approvare e sostenere, leggi degli stati e costumi sociali, totalmente contrari alla Parola di Dio, per non perdere voti se sono dei politici, o per adeguarsi alla mentalità corrente e sentirsi “à la page”, o perché, più o meno in buona fede, credono “di non avere il diritto di imporre agli altri di pensarla come loro”. Questa è la spiegazione che io sento più frequentemente intorno a me quando si parla di argomenti eticamente sensibili, ma è profondamente sbagliata perché il primo dovere di chi si professa cristiano è difendere sempre e in ogni sede la Verità sull’uomo, la famiglia e la vita. In alcuni casi questa posizione spirituale è il sintomo di un’apostasia dominante e neppure tanto nascosta, in altri casi è indice di eresia, ma comunque è una posizione che, decisamente e coscientemente, rinuncia a sostenere quella Verità.
A questa moda (ed io spero che si tratti davvero di una moda, perché allora si esaurirà da sé) si oppone decisamente S. Paolo, sia pure usando un linguaggio antiquato, con la frase che ho citato in epigrafe[1]. Infatti c’è un passo, nella parenesi conclusiva della Lettera agli Efesini (6, 10 ss), che mi sembra dia una risposta particolarmente esauriente, e alcuni consigli altrettanto importanti, alle difficoltà e ai turbamenti che quella parte del mondo cattolico (soprattutto i “bambini” di cui io sento profondamente di fare parte) prova oggi non solo nel professare la propria fede, ma anche nel frequentare tanti altri cattolici, vivendo insieme a loro e condividendo con loro la partecipazione ai Sacramenti.
Paolo inizia (Cap. 4) con un’esortazione che andrebbe rammentata a tutta la nostra classe politica che si professa cattolica: bisogna comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta, perché i cristiani hanno “un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione”[2]. Poi, dopo i consigli rivolti a genitori e figli, a servi e padroni, l’Apostolo svolge una considerazione molto importante: bisogna essere preparati alla lotta “contro i dominatori di questo mondo”: “Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere al mondo malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace”.
Non è un caso che questa esortazione fosse rivolta agli Efesini: Efeso era la città più importante dell’Asia Minore, in essa era diffuso il culto di Artemide, ritenuta anche la dea della fertilità il cui tempio era considerato una delle sette meraviglie del mondo, era famosa per le arti magiche e per la grande superstizione dei suoi abitanti; a causa di questa caratteristica degli Efesini, Paolo vi conobbe tribolazioni e prove di ogni genere, perciò si può ben comprendere quale fosse il combattimento cui egli allude con quel suo linguaggio militare desunto dall’armamento dei soldati romani, oggi non più utilizzabile ma che, fatta la tara del lessico usato, a me sembra attualissimo anche oggi, perché oggi gli idoli non sono più le statuette degli dèi o gli strumenti magici, ma si chiamano aborto, eutanasia, matrimonio gay, fecondazione artificiale e così via. Oggi la presunzione del genere umano è arrivata al punto di voler dominare e sovvertire la natura, se ciò soddisfa il suo interesse economico e il suo egoismo.
Paolo aveva perfettamente ragione perché la Scrittura vede tutta la storia del mondo come una grande lotta. L’Apocalisse (Cap. 12) descrive lo scontro in cielo tra due eserciti, quello dell’Arcangelo Michele (il cui nome significa “Chi è come Dio?”)[3] e quello del “drago rosso” il quale, sconfitto, “si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù” (12, 17). Non è quello che avviene anche oggi? Infatti si tratta di un combattimento che dal cielo dell’Apocalisse giunge fino all’umanità di tutti i tempi: la storia del mondo è piena di guerre, di conflitti, di genocidi. La Scrittura non offre una visione idilliaca del mondo, ma un’immagine altamente drammatica, sempre tendente alla sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Infatti il dilemma che da sempre sconvolge l’umanità dando origine a quel conflitto è uno solo e riguarda la scelta tra due alternative: riconoscere Dio mettendo Lui al di sopra di tutto e interpretando la creazione, la storia e l’esistenza umana a partire da Lui, o non riconoscerLo affatto. La drammaticità dell’esistenza deriva tutta da questa scelta; non si tratta di un conflitto cruento (almeno in occidente), non è un corpo a corpo tra avversari che mirano a ottenere la supremazia sul nemico, ma è un conflitto di idee, di sentimenti, di convinzioni, di scelte, di visioni del mondo e finanche (a me sembra) di opinioni politiche.
La prima alternativa “dà a Dio ciò che è di Dio” proponendo una visione del mondo che non solo pone Dio al centro della vita umana, ma che comprende e abbraccia in sé tutto l’universo perché attribuisce agli uomini, alle cose e alla vita terrena un significato sacrale da cui deriva per l’uomo una concreta possibilità di giustizia, pace, comprensione, fratellanza.
La seconda alternativa non riconosce Dio ma concepisce l’uomo, la terra, l’universo, “etsi Deus non daretur”. Come ha detto Pio XII, “vorrebbe che Cristo rimanesse fuori della scuola, delle officine, dei parlamenti. E in questa lotta … i nemici della Chiesa sono talvolta sostenuti e aiutati dal voto e dalla propaganda anche di chi continua a proclamarsi cristiano”. Ecco il punctum dolens di tutto il problema: quei sedicenti cristiani finiscono anch’essi per negare in pratica la dipendenza dell’uomo da Dio e tollerano che sull’altare venga posto qualcos’altro che, nel secolo passato, è stato soprattutto il partito “chiesa”, mentre oggi si può identificare con il capitalismo spinto e il perseguimento del potere economico elevato all’ennesima potenza, vale a dire l’uomo stesso elevato a misura di tutte le cose, perché solo da lui tutto nasce e muore. Il “progresso” tecnologico del WEB – che ha praticamente annullato la distanza tra gli esseri umani, consentendo la comunicazione tra continenti in tempo reale – ha contribuito enormemente ad avvalorare questa visione dell’uomo facendo di lui l’artefice ultimo e definitivo del suo destino e di tutte le cose.
E’ una visione del mondo totalmente anticristiana perché, assolutizzando definitivamente l’uomo, esclude qualsiasi possibilità che al di sopra di lui ci sia Qualcuno e perché ritiene il progetto divino umiliante per l’uomo stesso. Ecco quindi il dramma della guerra che si combatte, dall’inizio della Creazione, ancora oggi sotto i nostri occhi; ecco il conflitto che vediamo consumarsi ogni giorno nella vita umana e che tocca in maniera subdola e sottile, anche i credenti, anche quelli che si sforzano ogni giorno di mettere la propria vita nelle mani di Dio. Perciò è assolutamente necessario che ciascuno di noi si domandi costantemente: “Riconosco il primato assoluto di Dio nella mia vita? O metto me stesso al centro del mio mondo, rifiutando tutto ciò che in qualche maniera mi supera?”. Se ce lo domandiamo seriamente ci rendiamo conto che si tratta di un esame di coscienza terribile perché, come davanti a uno specchio, ci rivela i moti più segreti del nostro animo. Dall’eludere quella domanda derivano tanti atteggiamenti ambigui, tante situazioni che dividono gli uomini dilaniando i loro cuori e che toccano anche la Chiesa perché nessuno è esente da questa lotta nella quale si incarna la storia del mondo.
Gesù, davanti a Pilato, afferma di essere venuto a “rendere testimonianza della Verità” (Gv 18, 37) cioè alla centralità di Dio e alla Sua vicinanza all’uomo. Perciò, come ha detto S. Giovanni Paolo II, “la Chiesa, guardando a Cristo che rende testimonianza alla verità, dappertutto e sempre deve domandare a se stessa e al mondo contemporaneo in che modo far emergere il bene dall’uomo … affinché egli sia più forte del male”[4]. Gesù è venuto a farci conoscere il piano di Dio per noi, a farci capire qual è il nostro posto nell’universo e come dobbiamo prepararci ad affrontare quella guerra. Se vogliamo veramente – e non solo a parole, come purtroppo fanno tanti moderni cattolici “adulti” – testimoniare Dio di fronte al mondo e di fronte a noi stessi, allora ci rendiamo conto che tutta la vita cristiana è un combattimento quotidiano, inevitabile, pericoloso, totalizzante,
E’ quotidiano, perché riguarda chiunque, facendosi servo della Parola di Dio, accetta ogni giorno di prendere su di sé la propria croce per seguire Gesù; è inevitabile, perché è ineludibile e tutti dobbiamo fare una scelta di parte; è pericoloso, perché la mentalità scristianizzata nella quale viviamo calati fa di tutto per disorientarci facendoci a volte confondere il Male col Bene, come nel caso di divorzio, aborto, eutanasia, fecondazione artificiale; è totalizzante, perché la piena realizzazione della nostra esistenza e, alla fine, la nostra salvezza, dipenderanno da quanto ci saremo impegnati in questo combattimento, imitando Gesù che ha fatto della Sua vita terrena un servizio totale alla Verità.
Ecco quindi il significato dell’esortazione che S. Paolo rivolge agli Efesini e a tutti noi: “Avete un compito grandioso, difficile, urgente che non dovete evitare: testimoniare Dio nel mondo. Da soli non potete farcela, ma potete chiedere a Lui l’armatura adatta e l’equipaggiamento spirituale che Egli non vi rifiuterà se voi glielo chiederete con cuore sincero”.
Al termine di questa mia lunga riflessione sento rafforzata in me la consapevolezza che il conflitto tra il Bene e il Male descritto dall’Apocalisse e la lotta interiore di cui parla Paolo (Rm 7, 24 ss) siano sempre più attuali in questo XXI secolo. Tutti noi abbiamo la percezione del Bene e vorremmo attuarlo, ma non ci riusciamo perché nel nostro cuore domina anche un’altra legge, ma perversa, un’inclinazione che si oppone al Bene spirituale che Dio ci fa percepire con la Sua Grazia e, se la assecondiamo, siamo votati alla morte. Lo stesso S. Paolo, in quel fortissimo passo della Lettera ai Romani, grida a se stesso: “Infelix ego Homo!”, ma poi ringrazia Dio “che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!” (1Cor 16, 58).
Allora penso alla meravigliosa preghiera del Papa Leone XIII a S. Michele Arcangelo, il generale dell’esercito celeste, che una volta si recitava al termine della S. Messa e che il Concilio Vaticano II ha abolito, forse perché alla mentalità conciliare buonista sembrava troppo “guerrafondaia”, in un’epoca che, mentre ci si riempiva la bocca con lo slogan sessantottino: “Non fate la guerra, fate l’amore” e si credeva che la Chiesa si potesse conciliare col “mondo” offrendogli un’immagine di sé accogliente, bonaria e perdonista. I risultati si sono visti. Ma tutta la storia della Chiesa, a cominciare dalla Lettera a Diogneto, alla testimonianza dei Martiri e dei Santi, al Magistero bimillenario, ci insegna che quella “riconciliazione” può avvenire solo essa accetta di “reinterpretare” i Concili e le encicliche del passato, sconfessando il “depositum fidei” che Cristo le ha affidato. E’ vero che la navicella della Chiesa non naufragherà mai, ma giungerà al porto dell’Eternità ridotta a una semplice zattera governata da un solo sfinito timoniere.
Allora, S. Michele Arcangelo, difendici in questo combattimento …!
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[1] Questa “moda” mi pare abbia sedotto anche personaggi che dovrebbero essere di esempio cristiano. Tra i comportamenti che mi generano scandalo e dolore penso, infatti, alla foto del “Papa nero” dei Gesuiti, P. Sosa Abascal mentre, in Cambogia, “prega” in una pagoda con i buddisti. Mi è stato obiettato che anche S. Giovanni Paolo II, ad Assisi, celebrò una giornata di “preghiera ecumenica”. I due eventi non mi sembrano paragonabili: in questo, ognuno pregò la propria “divinità” secondo il proprio costume e senza alcun sincretismo; in quello, P. Sosa Abascal è ritratto mentre “prega” adeguandosi ai gesti e all’atteggiamento devozionale tipico dei buddisti. Comunque, se mi sbaglio, spero che qualcuno mi corregga.
Altro pessimo esempio: in Messico, nel 2015, un’ordinazione episcopale fu celebrata con la partecipazione di un “prete” della religione (?) inca che invocò il dio sole. (LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA del 21 luglio). Non dovrebbero sentirsi avviliti e scandalizzati gli umili cattolici “bambini”?
[2] Infatti Benedetto XVI spiega che furono i principi dell’universalismo e dell’unicità del Cristianesimo a renderlo inaccettabile dall’Impero Romano, a differenza di altre religioni. Cfr. “Perché siamo ancora nella Chiesa”, Rizzoli 2007, pag. 52 ss.
[3] Infatti nel famoso dipinto di Guido Reni, conservato a Roma nella chiesa dell’Immacolata Concezione dei Cappuccini, l’Arcangelo è raffigurato come un vigoroso soldato che con il piede sinistro schiaccia la testa del demonio, mentre con la mano destra impugna la spada che lo trafiggerà. Secondo la leggenda il pittore nel volto del diavolo volle raffigurare se stesso: per umiltà o come riconoscimento dei suoi peccati?
[4] Cfr Giovanni Paolo II, Udienza generale del 21.2.1979.
4 commenti su “Da dove deriva la drammaticità dell’esistenza umana? – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Gentilissima Professoressa, come sempre lei ci ha offerto una mirabile sintesi dei contenuti della nostra Fede e dell’insegnamento dei Pontefici che sono rimasti saldi – Pietro, roccia, Chiesa – mentre il mondo era scosso dalle tempeste. Tempeste che non hanno risparmiato nessuno ma non hanno avuto il sopravvento. Una ribellione nata con l’uomo che si adatta ai tempi e alle convenienze, ma non cambia quanto al fine ultimo : distruggere quanto in lui c’è di buono. Con una pervicacia che non conosce soste. Non è possibile circoscrivere o adattare la Verità, perché è un dono che ci è stato donato con la Rivelazione ; serve solo la medicina di sempre : tanta sofferenza, umiltà, amore verso Dio e il prossimo. Nessuno è infallibile, nessuno è perfetto. Su questa Terra lo è stata solo la Santa Vergine. Tutti dobbiamo lasciarci riconciliare, riconoscere gli errori e riprendere il cammino con l’aiuto dello Spirito Santo. S. Giovanni Paolo II così si espresse nel 1988 durante il II congresso di Teologia morale : “Poiché il Magistero della Chiesa è stato istituito da Cristo Signore per …
… illuminare la coscienza, richiamarsi a questa coscienza precisamente per contestare la verità di quanto è insegnato dal Magistero, comporta il rifiuto della concezione cattolica sia di magistero che di coscienza morale. Parlare di dignità intangibile della coscienza senza ulteriori specificazioni, espone al rischio di gravi errori … Strettamente connesso col tema della coscienza morale è il tema della forza vincolante propria della norma morale, insegnata dalla Humanae Vitae”.
Grazie di tutto il suo impegno.
Condivido quanto afferma, in modo chiarissimo, la mirabile Cattolica Bambina, eccedendo soltanto, per ciò che concerne, la difesa di Giovanni Paolo II nella sconcertante riunione di preghiera di Assisi, ove , disparate credenze e stravaganti ‘religioni’ contemporanee. Talchè, don Divo Barsotti, riprese epistolarmente il Papa, per la confusione che aveva ingenerato, in non pochi credenti.
ll Pontefice stesso rispose convenendo.
Da allora ben altri episodi di disastroso sincretismo ci sono stati “regalati” dall’Argentino, che non si perita di stordirci con atteggiamenti e affermazioni che sconvolgono profondamente anche molti di coloro che assolutamente vogliono difendere la propria Fede, Una, Cattolica, Apostolica, Romana.
La ringrazio, gentile Prof. Malaguti, per avermi corretto. Infatti ignoravo la critica di don Divo Barsotti e che il Papa l’avesse accettata dimostrando quella santa umiltà che, invece, non fa certo parte del bagaglio spirituale del suo successore.
Grazie anche per avermi letto.