Due autori che più diversi tra loro non si potrebbe. Il primo è Giulio Meotti, affermato giornalista liberal-conservatore, che scrive per il Foglio ma ha anche collaborato al Wall Street Journal e al Jerusalem Post, autore di libri come La fine dell’Europa, La tomba di Dio, Il suicidio della cultura occidentale, Notre Dame brucia. Il suo ultimo lavoro è I nuovi barbari. In Occidente è vietato pensare (e parlare)? Edito da Lindau. Un documentatissimo testo sul progressivo affermarsi in Occidente della dittatura del wokismo più becero, violento e, appunto, barbarico, perché distruttore della nostra cultura e della nostra civiltà. Un libro che si è dato lo scopo, perfettamente raggiunto, di sollecitare la nostra indignazione.
Poi George Guiscard, giovanissimo studente francese “identitario”, laureando in Scienze Politiche, che ha frequentato un master promosso dall’Istitut Iliade, (più esattamente “L’Institut Iliade pour la longue mémoire européenne”), meritoria istituzione francese ispirata al pensiero di Dominique Venner, che vuole adoperarsi per “l’affermazione della ricchezza culturale dell’Europa e per la riappropriazione della loro identità da parte degli Europei”. Guiscard ha scritto un appassionato testo dal titolo Il privilegio bianco. Chi vuol far la pelle agli Europei? edito da Passaggio al bosco, casa editrice che ha avviato da tempo una proficua collaborazione con l’Istitut Iliade. Un libro coraggioso e controcorrente che svela il “progetto del politicamente corretto per cancellare i nostri popoli e le nostre culture, incentivando una caccia al bianco che viene apertamente rivendicata in nome della tolleranza e del progresso.”
Il libro di Meotti è una denuncia forte, indignata e giustamente gridata contro lo spietato attacco mosso dal goscismo internazionale, dal trans-omosessualismo, dall’antirazzismo, dalle ideologie “anticoloniali”, dal wokismo e dalla cancel culture, evoluzioni persino in peggio della famigerata politically correctness, contro la nostra civiltà e la nostra cultura. È la nuova barbarie la cui emblematica sintesi Meotti presenta nella prima pagina del saggio: “Bambine di otto anni che vogliono cambiare sesso, tagliagole presentati come vittime del “razzismo sistemico”, “asili arcobaleno”, una ragazza che non va più a scuola per profetizzare la morte climatica, roghi di libri accusati di “colonialismo”, professori licenziati per aver usato il “pronome sbagliato”, ministri europei a processo per aver citato la Bibbia, anche la Chiesa cattolica che parla la Neolingua politicamente corretta…”.
Come è spesso è accaduto, la malefica infezione che ammorba le radici stesse della nostra civiltà è nata e si è sviluppata nel mondo anglosassone, massime in USA, dove oggi trionfa nella stampa, nell’accademia, nell’editoria, in tutti quei gangli della società dove si dovrebbe produrre, conservare e tramandare la cultura e che ha invece prodotto censure, norme liberticide, intimidazione dei dissenzienti.
Mentre alcuni editori inglesi stanno proponendo ristampe di testi della letteratura classica riscritti depurandoli di parole di parole come “negro”, “grasso”, “piccolo” (è accaduto persino coi libri di Ian Flaming e Agatha Christie), negli Stati Uniti molti classici sono semplicemente banditi alle scuole. È capitato con Omero, con Mark Twain nel Massachusetts. In un college di Portand, è stato vietato lo studio di Platone, di Aristotele, di Cicerone. All’Università della California sono stati soppressi i corsi su Chaucer, su Milton, su Shakespeare, prima obbligatori per la laurea in Inglese. Sono stati sostituiti con corsi su Gender, Race, Ethnicity, Disability e Sexuality Studies. A Toronto, Peter Pan è stato tolto dalla consultazione dalla biblioteca pubblica, perché “pieno di stereotipi razzisti”. Un collegio di Oxford, fondato da vescovi nel medioevo, ha vietato alle organizzazioni cristiane di partecipare alla tradizionale fiera delle matricole perché il cristianesimo sarebbe “una scusa per l’omofobia e il neocolonialismo”. Già nel 1988, a Stanford, furono eliminati Platone, Aristotele, Cicerone, Dante, Montaigne, Cervantes, Kant, Dickens e Tolstoj, per sostituirli con una cultura “più afrocentrica e più femminile”. Di esempi come questi Meotti ce ne propone a decine. Per questa nuova barbarie, sintetizza l’autore: “L’immigrazione è sempre un bene, l’Occidente deve espiare di esistere, la famiglia naturale è male, l’uomo bianco è chiamato a pentirsi ogni giorno che si sveglia sulla terra, i cristianesimo è un relitto da cancellare”.
Ma non illudiamoci che l’Italia sia immune da queste follie. Il morbo dell’anti-cultura wokista, anti-bianca, trans-omosessualista, russofobica sta infettando anche le università e altri istituti culturali italiani. Dilagano gli “studi postcoloniali”, in realtà propaganda contro la cultura europea, apologia dei processi (spesso sanguinosi e brutali contro i bianchi) di “decolonizzazione”, che giustamente alcuni autori francesi “identitari”, definiscono, in realtà, di “decivilizzazione”.
Avanza anche il vuoto nichilistico e falsificante dei “gender studies” (non per nulla Patrick Zaki a Bologna si è laureato in questa “disciplina”). Si moltiplicano osservatori, centri studi sul gender: oltre all’Università di Bologna, alla Sapienza di Roma, a Catania, a Milano, a Trento. L’università della Bicocca di Milano, quella che per bieca russofobia aveva cancellato un corso su Dostoevskij, in compenso propone seminari sul “pensiero decoloniale”. All’Università Cattolica di Milano (osserva tristemente Giulio Meotti, “che di cattolico ormai ha solo il nome”) si tengono cicli di conferenze a favore di Black Lives Matter. Il fisico Alessandro Strumia, che al Cern di Ginevra aveva difeso competenza e merito e aveva attaccato l’ideologia americana della diversity, è stato sospeso dall’Istituto italiano di fisica nucleare.
Poi i più miserabili episodi di anti-cultura russofobica, come il già citato caso della Bicocca. Cantanti, registi, concertisti russi cacciati dagli spettacoli e dalle orchestre, corsi su autori russi vietati e così via.
Spigoliamo ancora dal testo: in Francia, “genitori” omosessuali impongono nelle scuole la cancellazione della “Festa della mamma”. Nel 2022 Gianni Infantino, presidente della FIFA, ha avuto la sfrontatezza di dichiarare: “Oggi mi sento qatarino, arabo, africano, gay e lavoratore migrante […] Gli europei dovrebbero scusarsi per quello che hanno fatto nel mondo negli ultimi tremila anni”. Nessuno ha chiesto le sue dimissioni per queste sue parole. È ancora al suo posto.
Concludiamo con questa denuncia: “Un nuovo barbaro ha instaurato in Occidente un clima di paura che porta ad applausi unanimi a cose sempre più strane e detestabili, a cui ti viene detto che è meglio sottomettersi perché sono “irreversibili”. La “giustizia” è ora enunciata da militanti isterici, decadenti e in preda al panico.” Contro tale “clima di paura” questo libro ci aiuta a lottare.
Il privilegio bianco. Chi vuol fare la pelle agli Europei? di George Guiscard è un testo che si muove su una “strada parallela” a quella di Meotti, denunciando anch’esso gli episodi di cancel culture, ma andando oltre, cercandone le cause anche nell’isteria anti-bianca (a cui talvolta non sono estranei Bianchi di sinistra e autolesionisti) che accusa i Bianchi di un cosiddetto “razzismo sistemico” e di un presunto “privilegio bianco”, causa di tutti i mali della Terra.
È l’odio razziale contro la civiltà bianca ed europea e i popoli che la rappresentano: “Ciò che viene negato, scrive Guiscard, è la libera esistenza dei Bianchi in quanto Bianchi, col loro stile di vita il loro essere in quanto collettività e il loro diritto all’identità.” Un presunto, sistemico “privilegio bianco” è il nuovo peccato originale di cui noi europei dovremmo pentirci continuamente “risarcendo” i “non-Bianchi”.
La giornalista canadese Barbare Kay ci dice che: “L’obiettivo è quello di sancire un sentimento di eterna vittimizzazione dei non bianchi e di eterna colpevolezza dei Bianchi”. Così scattano perversi sistemi di diffamazione, incitamento all’odio, discriminazione contro i Bianchi, spesso praticati dai Bianchi stessi per conformismo ideologico e sottomissione nei confronti le ideologie antirazziste e wokiste. Così, in molte Università americane, visto che gli afro-americani hanno risultati inferiori ai Bianchi e agli asiatici ai test e agli esami di ammissione, ecco che vengono assegnati bonus di punteggi che consentono loro di prendere il posto, nelle graduatorie di ammissione, di ben più meritevoli studenti Bianchi o asiatici. Alcune storiche “Grandes Écoles” francesi hanno iniziato pratiche similari.
Questa discriminazione dei Bianchi ha addirittura investito la grafia utilizzata in alcuni quotidiani: il “prestigioso” New York Times, amato dalla sinistra e dall’ultra-sinistra mondiale, ha deciso che il termine Blacks vada scritto con la lettera maiuscola, ma whites no. Giustificazione: “perché bianco non rappresenta una cultura e una storia condivise come per Nero”. Altre testate hanno aderito a questa discriminatoria scelta.
Come risultato, scrive Guiscard: “I Bianchi sono sempre più denigrati. […] Tutto ciò che è occidentale è fondato sul razzismo. Quindi tutto ciò che è occidentale deve essere messo sotto accusa. Stile di vita, scienza, arte, storia. E nulla sfugge alla vendetta contro il privilegio bianco, che deve essere sfidato e decostruito ovunque.”
L’autore porta un esempio: “La musica classica è troppo bianca. È quanto ritiene una parte dei professori di Oxford, che chiede una riforma per prendere le distanze dal repertorio classico – Mozart, Schubert, […] Beethoven – perché si focalizza su “la musica europea bianca del periodo della schiavitù”.“L’insegnamento del solfeggio non è stato liberato dal suo passato coloniale”, il che provoca “un forte disagio agli studenti di colore”. Occorre dunque “decolonizzare” la musica classica”.
Anche la matematica è troppo bianca. In Virginia, i corsi avanzati di matematica sono stati soppressi, “perché mancano di diversità”, mentre viene contestata l’idea che “esista un unico modo corretto di fare della matematica; il concetto di matematica meramente oggettiva è senza dubbio falso”.
Ma l’ideologia antirazzista non ha prodotto solo stravaganze falsificanti la realtà come queste, ma anche ben peggio. Guiscard ricorda: “lo scandalo delle bande di stupratori musulmani, soprattutto di origine pachistana, che imperversano dall’inizio degli anni ’80 nel Regno Unito. Nonostante le testimonianze e gli indizi, né la polizia, né i servizi sociali, né le autorità politiche hanno voluto agire per timore di apparire razziste. Una giornalista che indagava su questi stupri fu costretta a subire un seminario di sensibilizzazione al razzismo e la diversità. Decine di migliaia di giovani Bianche hanno subito le peggiori sevizie a Rochdale, Telford o Rotherham, in nome del multiculturalismo e del politicamente corretto”. Da aggiungere che anche in Italia, quando lo scandalo di queste sevizie e di questi stupri in Gran Bretagna divenne noto, la stampa di regime lo silenziò.
Il libro di questo giovane, coraggioso autore identitario è un invito pressante a tutti noi, una sfida a difendere e preservare la nostra etnia, la nostra cultura e la nostra civiltà contro le aggressioni distruttive della cancel culture antirazzista (che non è “cultura della cancellazione”, ma “cancellazione della cultura”). Nell’introduzione al suo famoso e profetico Il Campo dei Santi, che preconizzò già nel 1973 la “Grande Sostituzione” oggi tragicamente in corso, Jean Raspail ci ammonisce che “ogni uomo – e ogni nazione – ha il sacrosanto diritto di preservare le proprie differenze e la propria identità in nome del proprio futuro e del proprio passato”.
In questi tempi di nuovi invasori che puntano, grazie al nostro welfare, a un parassitismo sociale di massa, se non alla possibilità di delinquere grazie a leggi lasche e una magistratura indulgente, in questi tempi in cui leggi liberticide e dittature mediatico-culturali cercano di impedirci ogni legittima reazione, ascoltare le parole finali di Georges Guiscard non può che farci capire meglio quale sia il nostro dovere anche nei confronti di chi ci ha preceduto e di coloro che ci seguiranno:
“È una nuova guerra quella che devono affrontare oggi i Bianchi, ovunque vivano nel mondo, che lo vogliano o no. Una guerra identitaria nella quale dovranno affermarsi, con la minaccia di perdere tutto, perché non c’è alcun terreno d’intesa possibile, nessuna concessione che possa essere ritenuta sufficiente. I loro avversari vogliono tutto. Il risveglio europeo, l’unico capace di arginare la grande cancellazione, sembra dover passare attraverso una tale minaccia esistenziale. […] È perché la guerra è condotta contro gli Europei, odiati per ciò che fondamentalmente, essenzialmente sono, e cioè dei Bianchi, che essi potranno ritrovare la capacità di battersi per difendere l’eredità della propria civiltà. […] Ciò che vogliono distruggere i detrattori del supposto privilegio bianco è un lascito di cui gli Europei sono depositari. Un patrimonio bianco costituito tanto dal genio quanto dalla sofferenza dei loro antenati, tramandati dalla continuazione della loro specifica espressione e dalla loro stessa esistenza sulla terra dei loro padri.”