CULMEN ET FONS – rubrica settimanale di Andrea Maccabiani

Il cero pasquale e la benedizione degli Agnus Dei

Il cero (o cereo) pasquale è il simbolo per eccellenza di questo tempo liturgico. Viene benedetto e acceso durante la solenne veglia del sabato santo:

  • nel rito precendente la riforma di Pio XII il cero veniva acceso all’interno della chiesa posizionato in cornu evangelii e sorretto da un apposito candelabro. Veniva acceso mediante l’arundine (o tricerio) ovvero un candelabro alto e sormontato da tre candele che venivano accese col fuoco nuovo e portate in processione nella navata della chiesa, simboleggianti la Santissima Trinità. Il cero reca alcuni simboli: la croce e i 5 grani di incenso simboleggianti le cinque piaghe di Cristo.
  • nel rito del 1955 il cero pasquale veniva acceso direttamente all’esterno della chiesa col fuoco nuovo. Per la prima parte della veglia viene posizionato al centro del presbiterio per poi essere spostato in cornu evangelii prima dell’inizio della S. Messa. I simboli sono aumentati con l’aggiunta dell’anno in corso e le lettere alfa e omega.
  • nel messale di Paolo VI il cero viene acceso all’esterno della chiesa e posto immediatamente accanto all’ambone. L’apposizione dei vari simboli è facoltativa.

L’origine storica del cero è incerta, mentre la simbologia è di immediata comprensione: la luce di Cristo Risorto squarcia le tenebre della morte e del peccato. E’ anche simbolo della presenza del Risorto nella comunità degli apostoli e dei discepoli: nelle rubriche del messale antico infatti viene spento dopo la lettura o il canto del vangelo dell’Ascensione (nel rito nuovo dopo la festa di Pentecoste). Le apparizioni del Risorto sono infatti durate per un lasso di tempo di quaranta giorni al termine dei quali Cristo ascende in cielo, sparendo alla vista degli apostoli:

“Egli [Gesù] si mostrò ad essi [gli apostoli] vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio […] Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n’andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». »   (Atti 1,3-11)

Il canto del preconio pasquale (o Exsultet) è rivolto al cero, simbolo della notte gloriosa in cui Cristo ha vinto le tenebre del mondo. Vale la pena rileggere le parole di questo inno (nella versione romana in italiano) che si rivolgono direttamente al cero:

In questa notte di grazia
accogli, Padre santo, il sacrificio di lode,
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri,
nella solenne liturgia del cero,
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.

Riconosciamo nella colonna dell’Esodo
gli antichi presagi di questo lume pasquale
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio.
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore,
ma si accresce nel consumarsi della cera
che l’ape madre ha prodotto
per alimentare questa preziosa lampada.

 Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero,
offerto in onore del tuo nome
per illuminare l’oscurità di questa notte,
risplenda di luce che mai si spegne.

Salga a te come profumo soave,
si confonda con le stelle del cielo.
Lo trovi acceso la stella del mattino,
questa stella che non conosce tramonto:
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena
e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen

 

In antichità il cero fu utilizzato solo il giorno di Pasqua per poi essere rotto in pezzetti da distribuire al popolo come oggetto benedetto. Successivamente lo si mantenne per tutta la settimana dell’ottava di Pasqua fino a che, nelle rubriche del messale tridentino di San Pio V, venne stabilito che sia acceso fino all’Ascensione.

Fuori dal tempo pasquale il cero viene utilizzato, nel rito nuovo, nella celebrazione dei battesimi e in occasione delle esequie. Quando non utilizzato si conserva accanto al battistero.

Nella liturgia troppo spesso i simboli vengono complicati e tristemente depotenziati. La modernità liturgica, in nome della semplicità e della povertà, ha spesso portato ad esiti imbarazzanti e talvolta assurdi. Uno di questi è l’utilizzo dei ceri di plastica con inserite le cartucce di cera liquida in modo da non dover mai cambiare il cero che può essere dipinto e decorato con svariati simboli e rimanere intatto. Nelle parrocchie si trovano nella maggior parte dei casi, ceri vecchi di decenni dal tipico colore giallastro-sporco con applicati adesivi di dubbio gusto. Non è certo una spesa eccessiva dotarsi di un bel cero per la solennità più importante dell’anno liturgico. Come sempre vale l’assioma: dimmi come celebri e ti dirò quanto (e in cosa) credi.

 

La benedizione degli Agnus Dei

 

 

Collegata all’utilizzo del cero pasquale era la benedizione e la distribuzione degli Agnus Dei, dischetti di cera con impressa l’immagine dell’Agnello pasquale. Anticamente venivano consegnati il sabato in albis ai neofiti che avevano ricevuto il S. Battesimo la settimana precedente, come monito alla fedeltà per seguire l’Agnello ovunque egli vada (Ap 14,4). Questa benedizione era riservata al Sommo Pontefice il primo anno della sua elezione e ogni sette dei seguenti e si eseguiva solennemente il mercoledì in albis. I dischetti di cera ricavati dal cero pasquale del Papa venivano immersi dentro bacinelle con acqua, crisma e balsamo profumato. Pronunciata la formula di benedizione il Papa li estreva con un mestolo forato e, dopo essere stati asciugati, li consegnava agli astanti. Questo oggetto benedetto è considerato uno dei sacramentali più potenti. Veniva distribuito a chiunque ne facesse richiesta. Riporto di seguito una piccola pagellina a cura dei monaci trappisti delle Tre Fontane di Roma che ne descrive l’efficacia:

 

Questo rito è caduto in disuso.

Per una completa descrizione storica e cerimoniale rimando a questo articolo

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