“L’elaborazione del pensiero democratico cristiano (direi piuttosto sociale cristiano), quale appare inconfutabile negli scritti degli uomini più qualificati e rappresentativi, sbocca e si concreta nella corporazione e nel corporativismo”. Con queste sintetiche parole, Alberto Canaletti Guadenti, professore presso la Pontificia Università Lateranense e l’Università Internazionale “Pro Deo”, nel 1950, su un articolo de “Il Giornale d’Italia”, entrava nel vivo di una polemica che si era sviluppata in quegli anni all’interno del mondo cattolico.
La questione era incentrata sull’identità dottrinale e culturale del partito Democrazia Cristiana, a cui un nutrito numero di intellettuali imputava il difetto di essersi impadronita del monopolio della rappresentanza cattolica senza portare avanti con coerenza e serietà una visione economico-sociale chiara ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa. Riprendendo gli insegnamenti di grandi pensatori del cattolicesimo sociale quali Emanuel Von Ketteler (1811-1877) in Germania, Renè de La Tour Du Pin (1834-1924) in Francia e Giuseppe Toniolo (1845-1918) in Italia e riprendendo i principali contenuti delle encicliche sociali Rerum Novarum (1891) e Quadrigesimo Anno (1931), una parte del mondo cattolico italiano aveva infatti maturato la consapevolezza che la democrazia cristiana, una visione cioè democratica e non aristocratica, monarchica o autoritaria dello Stato, poteva concretamente realizzarsi in un modo solo: attraverso il corporativismo.
Netta e lucida era, da questo punto di vista anche la critica verso il tentativo corporativo portato avanti dal fascismo, accusato di aver tradito la natura stessa del corporativismo, impedendo e soffocando l’autonomia reale delle corporazioni, trasformate in strumento di controllo verticistico.
Questa visione era molto simile a quella che, qualche decennio prima, cioè a partire dall’inizio del XX secolo, sugli stessi presupposti filosofici e culturali, avevano sviluppato G.K.Chesterton, H.Belloc e padre McNabb, dando vita al distributismo. A differenza però dei vari contributi italiani degli Anni Cinquanta, condizionati dalle drammatiche recenti vicende storiche, i distributisti inglesi, ispirati esplicitamente ai principi del senso comune e della ragionevolezza della tradizione tomistica ed immersi in un contesto economico-sociale di capitalismo e socialismo avanzati, riuscirono con maggior chiarezza a delineare con precisione e profondità intellettuali quali fossero i grandi paradigmi, le grandi direttive che separavano e separano la visione economico-sociale cattolica da quella liberal-capitalista e social-comunista.
Non ebbero quindi alcun dubbio nell’individuare nel corporativismo, ben prima del tentativo maldestro del fascismo, un elemento indispensabile, necessario e insostituibile per realizzare un ordine sociale ispirato al cattolicesimo. Giunsero a questa conclusione non sulla base di un’astratta elaborazione concettuale, ma come risultato della tenace adesione ai molteplici dati che avevano raccolto dallo studio della filosofia, della storia, dell’economia, della sociologia, dati che, nel corso dei decenni successivi, si sarebbero poi accresciuti per diventare ancora più cogenti.
Allo stesso modo in cui il senso comune spingeva i distributisti a considerare il possesso della proprietà produttiva requisito insostituibile per garantire la vera libertà economica, così essi ritenevano che tutti coloro che condividono uno stesso ambito lavorativo abbiano il diritto/dovere di ritrovarsi assieme a decidere le principali questioni della loro vita socio-professionale, tanto più che questo era ciò che era avvenuto storicamente in tutta Europa a partire dal medioevo, da quando cioè l’ora et labora benedettino aveva trasformato il lavoro da attività servile in strumento di partecipazione all’attività divina e di riscatto umano.
Purtroppo però, sia in Inghilterra, sia in Italia ed in Europa, queste proposte, radicate sull’adesione al reale e la ragionevolezza, furono spazzate via dalle violenze di una guerra mondiale e dai venti ideologici che dopo di essa, con l’appoggio sostanziale dell’oligarchia economico-finanziaria al potere, hanno imperversato.
Il risultato è purtroppo davanti agli occhi di tutti. Liberalismo e social-comunismo, come avevano brillantemente e lucidamente indicato la maggior parte dei pensatori cattolici in Europa, e in particolare il distributismo in Inghilterra, hanno miseramente fallito nella loro pretesa di migliorare la condizione umana ed apportare equità e prosperità.
Dal punto di vista politico, inoltre, oggi il cittadino medio si chiede amaramente in quale forma di democrazia stia vivendo, visto che è stato praticamente spossessato di tutti i poteri reali, a parte quello di inserire un foglio dentro un’urna una volta ogni 4 o 5 anni, con la conseguenza che il partito al momento più rappresentato è quello del non voto.
I vari Chesterton, La Tour du Pin e Toniolo già ai loro tempi non avevano dubbi: il sistema partitocratico è solo uno strumento di controllo dell’attività legislativa da parte della minoranza economico-finanziaria che lo controlla; la democrazia, quella vera, o è corporativa o non è. I fatti indubbiamente hanno dato ragione a questa analisi e dobbiamo quindi prendere piena consapevolezza che dobbiamo continuare su questa strada, la strada della ragionevolezza e del senso comune, se vogliano operare davvero in favore del bene comune e finalmente soddisfare le sacrosante richieste di giustizia sociale, equità e benessere che ci giungono, oggi come sempre, dalla popolazione.
6 commenti su “Corporativismo: contro il logorìo della (falsa) democrazia moderna”
Il buonsenso non si insegna a scuola, anzi a volte dalla istruzione primaria alle istituzioni pubbliche più alte, si vedono cose che sembrano fare a pugni con la logica
La democrazia, regime della partitica concorrenza sleale e della divisione intestina, si regge su una corruzione del popolo elettore. Ne consegue l’inevitabile perversione sociale, che solo qualche evento straordinario (guerra, comunismo, capopopolo Trump) può interrompere.
La democrazia è dominata dalla plutocrazia mondialista. La Pro Deo peggiorò, complice Bea, e si trasformò nella LUISS.
Democrazia significa “potere del popolo”. Semplicemente la partitocrazia non è “potere del popolo”, e quindi una vera democrazia, ma potere dell’oligarchia finanziaria che la controlla. Per avere il “potere del popolo”, un popolo articolato ed organicamente organizzato, e quindi una vera democrazia, sono necessarie gilde o corporazioni di arti e mestieri dotate di un potere politico reale, autonome ed indipendenti rispetto all’oligarchia finanziaria. Questo è il pensiero del distributismo.
Matteo Mazzariol
Articolo lucido e condivisibile, ma…
… la nozione più promettente di corporativismo, cristianamente inteso come trasformazione del lavoro (quando c’è) da “attività servile a strumento di partecipazione all’attività divina e di riscatto umano”, è tradotta dalla produzione di “valori d’uso” (viabile solo, ma non è poco, con riferimento ai Beni&Servizi di prima necessità) già sperimentata dalla Società delle famiglie cristiane fondata da Davide Lazzaretti alla fine dell’ 800 (soffocata nel sangue, dalle élite che già allora comandavano, in quanto vittima del suo successo) e basata sull’auto-produzione “multi-famigliare (o comunitaria)& multi-attività”.
Da allora la versione COMUNITARIA della produzione di valori d’uso è stata rimossa dall’immaginario collettivo e questa è stata, da un lato, affidata allo Stato (nel Sistema Collettivista) o alla famiglia (nel Sistema Islamico) e, dall’altro, sabotata dall’intellighenzia economica al servizio delle élite fautrice della sola produzione di “valori di scambio” (implicante Mercato e…la moneta) nel Sistema Capitalista che oggi, entrato nella sua fase terminale mostra la sua vera faccia (Economia che uccide) e va urgentemente rimpiazzato.
Con che cosa? La risposta, che si trova nei due volumetti “La Dignità delle Nazioni” e “Manifesto del Civismo” (*)pubblicati da World-Lab (www,worldlabnetwork,ru), consiste in un Sistema, assurdamente inedito, tecnicamente denominato Tradizionale Dinamico Rigenerativo e, più famigliarmente, Economia cristiana, realizzabile in tempi brevi (max 5 anni) senza bisogno di finanziamenti pubblici, attraverso la re-introduzione e la diffusione della produzione di “valori d’uso” in versione comunitaria ( e conseguenti “effetti domino”) attuata nell’ambito di Distretti di Sviluppo Locale (DSL) dove, per costruzione, c’è posto per tutti (nell’auto-produzione per lavorare basta rimboccarsi le maniche e mettere le mani in pasta, come in famiglia quando si fa il pane).
L’Economia cristiana, così denominata in quanto conforme alla Dottrina Sociale della Chiesa, non è una Economia PER i cristiani (diversamente dall’Economia islamica che è PER i mussulmani) ma può essere realizzata ovunque.
Sia dove l’ “Economia che uccide” imperversa, diffondendo una adeguata variante “monetizzata” del DSL, denominata Convivio, ma anche in regioni remote come l’Amazzonia diffondendo una variante “non monetizzata e più solidale”, denominata Agape, nella quale vige il principio “da ognuno secondo le sue possibilità e ad ognuno secondo i suoi bisogni” applicato in famiglia o anche in comunità “residenziali” per maschietti o femminucce, come gli antichi Monasteri (quelli moderni producono “valori di scambio”, generalmente alcolici quali le birre di Abbazia o amari alle erbe) o altre comunità “residenziali” per famiglie come i Kibbutz delle origini (quelli attuali producono solo “valori di scambio”)
Il denaro, sterco del diavolo, si è infiltrato ovunque con grande soddisfazioni di coloro che lo controllano (soggetti …privati!) per i quali il “bene comune” è un concetto alieno.
L’Istituzione privata più adeguata a realizzare l’Economia cristiana (attraverso il suo semplice patrocinio) è la Chiesa cattolica (dove oggi però va per la maggiore il suo patrocinio nei confronti di imprese “buone” che producono “valori di scambio” e fanno profitto…da dedicare alla filantropia,.. peccato per la dignità personale dei beneficiari).
Ma l’iniziativa può essere presa anche altre Chiese cristiane o sedicenti tali quali la JWO o altre ancora.
Insomma, un altro mondo è possibile ma, per ora, nessuno sembra volerlo.
Nemmeno i giovani che sembrano accontentarsi di “protestare chiedendo” ( potenti del mondo) ma non evolvere verso il “protestare facendo” cioè voltare le spalle (boicottare) la produzione offerta da terzi dietro denaro, cominciando con l’auto-produzione di beni di prima necessità e poi ridurre l’acquisto di beni voluttuari).
(*) Per ottenere gratuitamente le versioni elettroniche dei due volumetti (il primo disponibile nelle versioni linguistiche IT, SP, EN, FR, RU) e altra documentazione, più sintetica, chiedere a W-L per SMS al numero 3276722864 fornendo recapito e-mail).
“Grazie per la sua articolata risposta. Non conosco il modello che lei ha esposto ma da quanto ha riferito risulta che sia in linea con una visione di economia e di scambi civili incentrata sulla retta ragione e sui principi della Dottrina Sociale della Chiesa, in cui l’uomo ed i suoi bisogni reali e non fittizi assumono un ruolo centrale rispetto ad ogni logica speculativa o meramente commerciale. Il corporativismo cattolico a cui Toniolo, Chesterton e tutto il distributismo fanno riferimento, e che, secondo noi del Movimento Distrubutista Italiano, rappresenta un’alternativa concreta e praticabile al fallimento della partitocrazia, non è in alternativa al modello che lei ha descritto, anzi. Il corporativismo distributista, unito cioè al fermo riconoscimento della centralità della famiglia naturale, dell’unione tra capitale e lavoro e di una moneta priva di debito ed interesse, pone le condizioni e la giusta cornice politico-istutuzionale perché la gente, suddivisa per comparti socio-lavorativi, possa riappropriarsi della possibilità di discutere e decidere sulle questioni pratiche della propria vita.
Matteo Mazzariol
Quando i pensatori e fondatori della costituzione americana si confrontarono, per scegliere il tipo di costituzione, presero in considerazione i vari esempi del passato, per confrontarli fra loro e trarne ispirazione per una nuova.
L’esempio medievale e italiano dei liberi comuni, basato sulle corporazioni, fu scartato già dall’inizio e considerato obbrobrioso dalla loro mentalità protestante.