Quattro anni sono trascorsi dalla morte di Mario Palmaro, di un vero soldato cristiano vissuto nell’epoca del pacifismo obbligatorio e della grande apostasia.
In questi quattro anni la macchina da guerra della necrocultura ha percorso distanze impensabili perché non le funziona più alcun freno – qualcuno ha deciso che bisogna arrivare presto al traguardo. Ma nonostante l’accelerazione impazzita, noi veniamo consegnati alla distopia belli che bolliti, come le rane di Chomsky. Tutto quello che ci raccontavano Huxley, Orwell, Burgess è cosa ormai fatta, e a tutti pare cosa magnifica e progressiva.
Quante volte mi trovo a pensare a quel che avrebbe detto Mario Palmaro se avesse assistito al tracollo che dopo la sua morte ha investito il mondo e la chiesa o meglio, rispettando le giuste precedenze, la chiesa e il mondo. So che è un pensiero stupido, ma mi viene istintivo.
In fondo, il succo di ciò che Mario avrebbe detto davanti a ogni nuovo, quotidiano insulto all’ordine naturale e divino, da parte della tecnocrazia necrofila e della sua succursale ecclesiastica, lo può ben immaginare chiunque lo abbia conosciuto, letto e ascoltato. Per il motivo semplice che, poste determinate premesse speculative, le conclusioni ci rotolano dietro e la loro traiettoria è segnata. In un tempo in cui il pensiero si è ritirato nelle formule e ha rinunciato alla ricerca della Verità, distaccandosi dalla realtà delle cose, Mario ci ha mostrato la disarmante linearità d’incedere proprio della autentica coscienza cristiana, votata a trovare sempre e senza esitazioni la via del Bene; una via che è accessibile all’uomo perché l’osservazione del reale rimanda al suo Artefice e perché la natura razionale che ci appartiene è fatta per orientarci.
Una costante dell’insegnamento di Mario è stata il marcare, senza mai stancarsi, l’abisso che intercorre tra i principi veritativi e i criteri di convenienza politica, e la reciproca irriducibilità tra i primi e i secondi. Ci ha esortati a combattere la buona battaglia nel nome della verità, tutta intera, con purezza di obiettivi e di mezzi, qualunque sia il luogo in cui ci si muove – sia esso Montecitorio, il tribunale, una cattedra, o il tinello di casa. E qualunque sia la realtà che si deve affrontare, fosse pure un punto di apparente non ritorno.
Per questo, si è guadagnato l’ostracismo spesso feroce di chi, incatenato a un miope pragmatismo, gli lanciava addosso accuse di integralismo, di purismo, di massimalismo utopista e sterile, negando così l’evidenza concreta che solo il rigore dottrinale, logico e giuridico può fare vero fronte a qualsiasi provocazione mondana.
Questa è stata la parte, magistrale (proprio nel senso etimologico, da magister) di Mario. Ha aperto la via e battuto il sentiero; dando a tutti noi gli strumenti per leggere sotto la giusta luce, cioè l’unica naturale e non falsata, i fenomeni degenerati, tutti concatenati, che ora sono giunti alla loro espressione estrema, finale, davvero apocalittica (e non è un’iperbole) e che stringono in una micidiale morsa, invisibile ai più, una società resa ormai incapace di capire, e quindi di reagire al proprio annientamento programmato, sia fisico sia spirituale.
Sta a ciascuno di noi fare buon uso della sua eredità.
Resta il fatto che la coltre di menzogna stesa a coprire i crimini perpetrati oggi, al riparo delle istituzioni, è diventata talmente spessa da rendere sempre più arduo ricostruire ad extra il filo della ragione, ormai irrimediabilmente sfilacciato in brandelli volanti nella testa della gente nutrita di propaganda.
Al pubblico, nelle vetrine che contano, viene esposta soltanto una resistenza simulata alla marcia trionfale del potere; una resistenza farlocca di cui la comunicazione di regime si fa bella, per fingere una dialettica che non c’è.
La chiesa, passata armi e bagagli dalla parte del nemico, fa un tutt’uno con i baracconi clericali, foraggiati con l’8 per mille ed eterodiretti dalla Conferenza Episcopale che usano abusivamente il titolo di associazioni per la vita o per la famiglia, e con tutte le conventicole sparse che si lavano la coscienza con innocue manifestazioni di retroguardia. Di questi, Mario diceva che «sono come i funghi tossici nel bosco: un buon libro di micologia deve segnalarli, per “carità” verso chi rischia di mangiarli».
Fatto sta che, da quattro anni a questa parte, manca il sonoro: non c’è più un “micologo” autorevole che gridi ogni giorno dai tetti, per esempio, che la tecnica con cui si fabbrica l’uomo nelle provette – sì che l’uomo è diventato manufatto e quindi merce di scambio – è una faccenda di per sé mostruosa, cioè un male in sé, sempre, e che tutti gli effetti disumani della fecondazione artificiale – dall’affitto di uteri, alla compravendita di bambini, alla micromorte incruenta e massiva, al sovraffollamento di embrioni nei freezer, agli esperimenti di ibridi e chimere, alla manipolazione del dna – non sono altro che il “fisiologico” precipitato di quell’antefatto aberrante.
Ora quell’”antefatto” è nei LEA (livelli essenziali di assistenza) e ci è stato messo dalle patrone sedicenti cattoliche e pro-life, perché in effetti – come negarlo? – la fivet produce la vita. Che lo faccia attraverso una procedura sintetica e intrinsecamente blasfema, frutto della tracotanza diabolica dell’uomo che vuole farsi dio, con tutte le devastanti conseguenze del caso, non importa ai seguaci di Paglia e della sua morale alternativa. Che faccia un’ecatombe di embrioni – più morti dell’aborto di Stato – nemmeno. Anzi. L’obiettivo dei manovratori, chierici e laici, è un altro e prevale su tutto: è la desessualizzazione della procreazione e la selezione eugenetica della specie, in costanza di libera orgia.
Non per nulla tutti i cattoliconi di tutte le parrocchie hanno applaudito festosi la bella trovata della cattolicissima ministra Lorenzin, il Fertility day. Tradotto: la festa della provetta. Le multinazionali del farmaco, come sempre, ringraziano.
Siamo di fronte al grande tradimento, i grandi traditori hanno pure gettato la maschera, ma manca del tutto un controcanto al sistema che detiene il monopolio assoluto del mercato e delle idee.
Tanto che alla fine vien da chiedersi: bioetica, chi è costei, al tempo del CRISPR, degli ibridi, dell’utero artificiale, dell’eugenetica per legge e persino per dovere morale?
Nel tempo, cioè, in cui i cultori della morte sono riusciti nell’impresa incredibile di normalizzare il tipo umano del doktor Faust, trasformandolo anzi in novello benefattore seriale grazie alla solita menzogna umanitaria e alla retorica dei falsi diritti prostituiti a ogni capriccio? Nel tempo in cui la chiesa – sì, quella che si definisce Cattolica Apostolica Romana – ha firmato la pax bioetica con il laicismo mondialista libertario, ha sposato l’agenda di questo fino a spartire coi suoi esponenti le stesse cariche ecclesiali? La compenetrazione tra i due “mondi” è oggi davvero compiuta, persino fisicamente.
E la cosiddetta bioetica è nient’altro che un colossale inganno. Come osserva con molta ragione Richard Newhouse è ridotta a permission office, un “ufficio permessi” chiamato a vidimare qualsiasi esperimento sull’uomo e sulla vita col timbro dell’autorità scientifica e morale, magari frenando appena quando si mostri necessario preparare l’opinione pubblica prima di cuocerla definitivamente, ché non rischi la reazione che le salva la vita. Il ruolo degli “esperti” bioeticisti di Stato (e di chiesa) è quello di giocare al simpatico gioco della piantagione di paletti (o del maleminore, che è lo stesso), ben sapendo che la valanga è partita.
Ci manca tanto “quella specie di mostro ultratradizionalista formalista moralmente inflessibile e intollerante”, come diceva scherzosamente di se stesso, che dia al nostro film la giusta colonna sonora. Ci manca il tocco di Mario. Il tocco nitido e cristallino del pianista di talento, che è esito di quello studio, quell’esperienza, quel temperamento, quello sguardo e quella sensibilità, che appartengono insieme al giurista, al filosofo, allo scrittore, al padre di famiglia divenuto guerriero per vocazione e per dovere morale.
Mario è morto all’apice della sua maturità e nel pieno del combattimento, non ha conosciuto mai, nemmeno durante la malattia, la tentazione della stanchezza, dell’irenismo, del ripiegamento su se stesso, mostrandoci sempre tutta la libertà interiore che si tocca con mano quando la verità illumina il cuore e l’intelletto. Via via che si avvicinava all’epilogo di questa vita, attingeva a una chiave di lettura della realtà sempre più spirituale, e quindi (per paradosso) sempre più concreta, più lucida, e anche sempre più esplicita. Era come se osservasse le cose di questo mondo dall’alto, con un respiro ampio e onnicomprensivo. Lo percepiva lui stesso, questo, se scriveva a un gruppetto di amici del giro: «mi sento di poter fare qualche considerazione, spero utile, avvantaggiandomi del fatto che i vecchi barbagianni come me, appollaiati su una grande quercia in attesa di lasciare molto presto il bosco in cui vivono, hanno una visione delle cose un pochino avvantaggiata. Beninteso: rimango sempre il fesso di prima, ma ho una credibilità diversa».
Ma si sa che l’ortodossia, nell’era post-cattolica, è derubricata a evento antimisericordioso: la misericordia ha cambiato ufficialmente indirizzo e non abita più insieme al Bene e alla giustizia, ma convive more uxorio (in unione che fu adulterina, ora è “civile”) con la compiacenza, il lassismo, la connivenza, il capriccio, l’istinto belluino liberato dai lacci della ragione.
Era un’altra la misericordia che Mario invocava alla fine della sua vita terrena quando scriveva: «…Spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello».
Termini desueti, propri di un orizzonte cavalleresco e di una fede salda e virile per la quale non c’è più spazio nelle chiese che battono bandiera arcobaleno; una fede antica il cui senso grande e imperituro Mario, finché ha potuto, ha saputo diffondere anche dai microfoni di una radio ingrata:
«Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Non c’è ragione di stato che possa legittimare la firma, il voto, il sostegno, l’accettazione passiva di una legge ingiusta. Questa è la grandezza della testimonianza cristiana. Se i primi cristiani, di fronte alla prospettiva di bruciare un po’ di incenso alle divinità pagane o all’imperatore, avessero ragionato come ragionano questi politici cosiddetti cattolici, noi oggi non saremmo cristiani. Ma per non bruciare un po’ di incenso questi cristiani si sono fatti sbranare dai leoni. Questa è la sequela di Cristo. Questa è la storia della Chiesa. Questo vuol dire essere cristiani. Questo ci è richiesto».
Questo ci è richiesto.
Elisabetta Frezza
5 commenti su “Ci ha esortati a combattere la buona battaglia nel nome della verità – di Elisabetta Frezza”
Aiutiamo l’Associazione San Giuseppe per aiutare la famiglia di Mario Palmaro ed i suoi 4 figli piccoli. Mario preghera’ per noi dal Cielo. Siamo Provvidenza per questa famiglia. Ho perso mio padre quando avevo diciassette anni e mio fratello dodici. La Provvidenza non ci ha mai abbandonati.
https://www.riscossacristiana.it/si-e-costituita-lassociazione-san-giuseppe-provvedere-al-sostentamento-con-vitalizio-mensile-della-famiglia-di-mario-palmaro/
https://www.riscossacristiana.it/un-appello-dellassociazione-san-giuseppe-a-sostegno-della-famiglia-di-mario-palmaro/
http://sangiuseppeassociazione.blogspot.it/ Ecco il NUOVO IBAN BANCARIO DELL’ASSOCIAZIONE SAN GIUSEPPE.
Grazie per questo bellissimo ricordo di M. Palmaro, unito a diagnosi tanto esatta quanto spietata del nostro oggi.
Molto commovente il ricordo di Mario Palmaro, che conosco solo ora dal dolore espresso dai suoi amici. Commento l’intervento di Elisabetta Frezza perché tocca due argomenti sui quali sto pensando da molto tempo. Il primo è la Verità. Quando al processo Cristo disse che lui era la Verità Pilato si pose la domanda: che cosa è la verità? E’ la verità che riguarda Dio oppure è tutta la verità, anche quella del mondo materiale? Non ci fu una risposta ma una rissa millenaria che coinvolse il ruolo della Scienza. Il secondo è il coraggio dei primi cristiani ai quali venivano mosse le stesse critiche che vengono mosse anche oggi. La storiografia laica arriva a mettere in dubbio la realtà storica di Cristo, ma non può dare una giustificazione di questo coraggio senza dover poi riconoscere che dietro doveva ben esserci una realtà concreta. Eppure oggi sono pochi i credenti forti e coraggiosi come Palmaro. E non si tratta di sfidare i leoni ma solo l’impopolarità.
Può ben essere felice Mario, che non conobbi, di aver lasciato qui degni amici come voi! Mario non ti ho conosciuto prima ma che bella cosa, adesso, la comunione dei santi per poterti pregare sapendo di essere sentita!
Ho conosciuto Mario tramite le feste del Timone come semplice abbonata e, subito, mi sono sentita in sintonia con lui.
Ad ogni altro incontro era una gioia rivederlo, come quella volta a Modena in cui è venuto con la moglie ed il piccolo
Benedetto Maria…
Due mesi prima della sua morte gli feci un messaggio per condividere la sua analisi sulla situazione della Chiesa e
per esprimergli la mia solidarietà circa la “cacciata” dalla radio in cui aveva prestato mirabilmente la sua opera e,
mi emoziono ancora al ricordo, ebbi il grande onore di ricevere la sua risposta in cui mi ringraziava e mi invitava a
pregare per ritrovarci in Paradiso, forse passando dal Purgatorio. Che uomo! che cristiano! Gli voglio tanto bene.