Uno dei grandi problemi della nostra società è quello legato alla concezione della morte: l’uomo vive pensando di non morire mai. E, se pensa alla morte, lo fa nel modo sbagliato non curandosi di procurarsi una “buona morte”. Da ciò consegue l’abbandono in cui versano tante anime, specie quelle dei moribondi. Ogni giorno in Italia periscono circa 150.000 persone: ma quante in grazia di Dio? La chiesa dell’uomo non si cura dell’uomo e ha abbandonato la sua principale mission: la salvezza delle anime. Ecco perché l’urgenza di un’opera pia, fatta di laici e qualche consacrato, che si occupi del grande mistero della morte, il momento più importante della vita di ogni uomo. Ne parliamo con il Prof. Isacco Tacconi, insegnante di religione e fondatore della “Compagnia della Buona Morte”, che presenterà un importante evento in programma il 26 maggio prossimo.
Professor Tacconi, quando e in quale contesto è nata la “Compagnia della Buona Morte”?
L’idea è andata crescendo negli anni scorsi a partire da alcuni eventi dolorosi, come la morte del mio nonno materno. La sua morte e forse ancor più i suoi ultimi anni di vita sono stati segnati dal dolore e dalla sofferenza. Il ricordo più edificante che conservo di mio nonno è il modo in cui ha vissuto i suoi ultimi anni, cioè come un vero e proprio monaco: la sua giornata era scandita dalla preghiera e, nonostante vivesse con tutta la nostra famiglia ed in mezzo ai nipoti, vissuta principalmente nella solitudine della sua cameretta che era una specie di “celletta”. Posso davvero dire che ha fatto una morte santa, il venerdì santo dopo aver recitato la Via Crucis e aver ricevuto l’Olio Santo. Questo è il punto di partenza della Compagnia, un evento storico preciso.
Perché proprio dentro al focolare domestico?
Banalmente direi che da qualche parte bisognava pur cominciare! È inutile nasconderci il fatto che il panorama ecclesiale contemporaneo è a dir poco desolante e intorno a noi è del tutto scomparsa la catechesi sui “Novissimi” (Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso) che invece dovrebbe occupare il posto centrale nella pastorale e nell’apostolato cristiani. Purtroppo è molto difficile far capire questo a molti sacerdoti, perciò insieme a mia moglie abbiamo semplicemente cominciato a pregare insieme per questa intenzione e a pensare a cosa si potesse fare per riempire un vuoto spirituale così grave. Da questo periodo di gestazione si è venuto formando un piccolo gruppo che ha coinvolto principalmente gli altri membri della mia famiglia, poi alcuni amici e via via a macchia d’olio sono germogliati gruppi di confratelli che hanno manifestato lo stesso desiderio di votarsi, con semplicità, alla preghiera d’intercessione e all’apostolato tra e per i moribondi.
Qual è l’operato della Compagnia e quali fini si propone?
La Compagnia è principalmente un’opera di preghiera d’intercessione ed espiazione per i peccatori moribondi, per questo ogni giorno imploriamo Dio per l’intercessione di San Giuseppe, San Michele e San Benedetto di aver pietà di tutti coloro che ogni giorno sono richiamati da questo mondo a rendere conto, come il servo della parabola, del loro operato. Seguendo l’esempio della Pia Unione del Transito di San Giuseppe fondata da Don Luigi Guanella sotto l’auspicio e la benedizione di Papa San Pio X anche noi ci siamo uniti alla “Santa Crociata” spirituale ed universale per la salvezza dei moribondi. In secondo luogo cerchiamo con i modesti mezzi di cui disponiamo di fare un po’ di apostolato per cercare di riportare al centro della vita spirituale il tema della morte e soprattutto della necessità di una “vita buona” che San Paolo sintetizza in questo modo: “per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). L’esito ultimo di una vita buona è per l’appunto una “buona morte”.
San Giuseppe, San Michele e San Benedetto. Perché proprio loro?
San Giuseppe è tradizionalmente il patrono per eccellenza della Buona Morte e protettore dei moribondi perciò non è possibile non ricorrere a lui quando si tratta di affrontare la nostra agonia o accompagnare quella altrui. La scelta di San Michele è stata suggerita all’inizio da una semplice simpatia o devozione che ho sempre provato verso questo spirito beato che poi ho scoperto essere un vero e proprio patrono dei moribondi nell’attimo in cui l’anima abbandona il corpo e deve essere presentata al cospetto di Dio (come si vede in moltissime raffigurazioni pittoriche in cui Michele è colui che deve soppesare i meriti delle buone azioni di ogni singolo uomo). I Padri e la liturgia lo chiamano Praepositus Paradisi cioè il custode, potremmo quasi dire l’“ostiario” (cioè il “portinaio”, dal latino ostium, «porta») del Paradiso. Per quanto riguarda San Benedetto, direi che non siamo stati tanto noi a scegliere lui quanto lui a scegliere noi. Anzitutto da anni ormai sono legato a San Benedetto grazie ai monaci benedettini di Norcia i quali hanno traghettato me e la mia famiglia alla Messa tradizionale e a tutto quello che è il tesoro inestimabile della Liturgia Cattolica così come ci è stata tramandata dagli Apostoli, dai Santi e da tutte le generazioni di cristiani che ci hanno preceduto. Ed è proprio attraverso la liturgia tradizionale che ho scoperto essere San Benedetto un altro potente e antichissimo patrono della buona morte, motivo per cui a fortiori anche il suo patrocinio è entrato in maniera naturale e spontanea nell’opera della Compagnia.
Quali sono gli obblighi e come ci si iscrive alla Confraternita?
I confratelli hanno soltanto un unico obbligo: recitare tre giaculatorie al mattino e alla sera in onore dei nostri Santi Patroni Giuseppe, Michele e Benedetto. Viene poi loro chiesto all’atto di incorporarsi alla Compagnia di recitare un atto di consacrazione a san Giuseppe e a san Michele dinanzi ad un sacerdote. Un gesto importante che da una parte serve per solennizzare l’impegno che vanno ad assumersi dinanzi a Dio e dall’altra per sottolineare che la nostra è un un’opera della Chiesa, che facciamo nella Chiesa per mandato della Chiesa e per amore della Chiesa nostra Madre la quale oggi sta attraversando la medesima Passione che Nostro Signore ha patito per la nostra salvezza. Viene poi raccomandato ai confratelli di osservare la disciplina ecclesiastica riguardo a digiuno e astinenza così come la Chiesa ha insegnato e prescritto nel Catechismo di Papa san Pio X. Inoltre ci impegniamo a festeggiare in modo particolare le solennità dei Nostri Patroni (19 marzo e 1 maggio, 29 settembre e 8 maggio, 21 marzo e 11 luglio). In ultimo si raccomanda caldamente la recita dell’Ufficio dei Defunti secondo il Breviario Romano, vale a dire secondo la liturgia tradizionale. Per iscriversi alla Compagnia è sufficiente farne richiesta scrivendo a bonaemortisjmb@gmail.com e rispedendo compilato il modulo che si può trovare facilmente sul nostro sito web o che viene inviato a chi fa richiesta di adesione. Il sito si triva a questo indirizzo http://bonaemortis.wixsite.com/compagniabuonamorte e sta riscuotendo un discreto successo. Siamo presenti inoltre su vari social network attraverso un canale molto attivo e visitato su Youtube, un canale Gloriatv ed una pagina Facebook.
All’interno delle attività varie, c’è anche la produzione di qualche oggetto o libro?
Alcuni nostri confratelli hanno incominciato la produzione di rosari artigianali molto resistenti la cui particolarità è la presenza di un piccolo teschio, o come si diceva un tempo di una “capoccetta di morto”, al posto dei grani del Pater noster e la croce di san Benedetto che è un potente sacramentale in vita e in morte. Questi rosari sono disponibili richiedendoli per email al negozio online “Pumpstreet” presso questo indirizzo http://www.pumpstreet.it/. La Compagnia poi ha provveduto alla ripubblicazione dell’Ufficio dei Defunti in una bella edizione bilingue (latino-italiano) secondo la versione del Breviario Romano, disponibile presso l’editore Fede&Cultura. La particolarità di questa edizione è senz’altro la possibilità di pregarlo sia in latino che in italiano e soprattutto il fatto che tale Ufficio segue la liturgia tradizionale della Chiesa Cattolica che si dimostra estremamente più ricca e chiara della liturgia riformata da Paolo VI nella quale questa devozione per i defunti e le anime del Purgatorio, insieme alla pratica delle indulgenze e della preghiera satisfattoria d’intercessione, è praticamente scomparsa del tutto. Basti pensare alle immense differenze tra il messale romano tradizionale e il messale riformato riguardo alle Messe da Requiem, all’eliminazione della Sequenza dei Defunti (il Dies Irae) di antichissimo uso, all’eliminazione dei paramenti neri eccetera. La Compagnia dunque cerca di recuperare e far conoscere il tesoro che la Chiesa possiede e che qualcuno ha voluto sottrarre od occultare ai fedeli di oggi i quali, per lo più, ne ignorano l’esistenza.
Come è vista dall’uomo moderno la morte?
Istintivamente mi viene da dire che la morte “non è vista” dall’uomo moderno. Cerco di spiegarmi. Voglio dire che la maggior parte dei nostri contemporanei non riesce a visualizzare la realtà della morte, essa non è presente nell’orizzonte esistenziale dell’homo faber molto spesso ridotto a mero homo oeconomicus, preso esclusivamente dalle preoccupazioni della vita terrena senza alcuna prospettiva oltremondana: si vive come se non si dovesse morire mai. A questa scomparsa, veramente antiumana, della riflessione sulla morte ha contribuito senz’altro l’aumento del benessere e forse ancor più l’illusione della felicità che proviene dal benessere fisico, economico e materiale. Per questo la Scrittura dice: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sal 48,13). Gli uomini e le donne di oggi vivono per la terra, e appena si parla loro di morte ricordando la caducità della vita umana (una mera costatazione di fatto) un oscuro terrore li attanaglia e si turano gli occhi e le orecchie per non vedere la realtà. Paradossalmente in una società edonista e materialista come la nostra la morte è la vera “regina” degli uomini poiché tutti al contempo la temono e cercano, invano, di sfuggirle.
E dal cattolico moderno?
Qui bisognerebbe chiedersi anzitutto chi è il “cattolico moderno”? Qual è il suo credo? Nel grande marasma in cui annaspano i fedeli di oggi, alimentato dall’ambiguità e dall’estro rivoluzionario di molti pastori, è difficile stabilire cosa credano o pensino i cattolici moderni su un qualsiasi argomento sia esso di morale, fede o politica: parrocchia che vai fede che trovi! Tuttavia, nella mia esperienza, non risulta che la meditatio mortis sia al centro delle preoccupazioni del “cristianesimo aggiornato” che oggi va per la maggiore. La verità è che il relativismo la fa da padrone anche fra i cattolici e non di rado ognuno si ritaglia una “fede” o una “spiritualità” su misura. La morte e la salvezza delle anime immortali in questo senso sono l’ultimo dei problemi, oggi sembrano più urgenti il problema dell’immigrazione e della disoccupazione giovanile…
Quest’anno si terrà a Modena, sabato 26 maggio, la 1º Giornata Nazionale della Compagnia: vuole parlarcene?
Si tratta di una giornata di formazione culturale, spirituale e dottrinale. Fra i vari relatori che avremo il piacere di ospitare interverranno il giornalista e scrittore Alessandro Gnocchi e il professor Matteo D’Amico i quali parleranno rispettivamente del “Timore e tremore: l’uomo davanti alla morte nei Padri del deserto” e della “Medicalizzazione della morte e tramonto della vita spirituale”, due temi molto diversi e molto densi che ci permetteranno di affrontare questioni di grande attualità. La giornata poi culminerà con la celebrazione della Santa Messa da Requiem nel rito tradizionale in suffragio di tutti i fedeli defunti e si concluderà con la recita del Santo Rosario e la benedizione eucaristica per ricordarci che tutta la nostra vita dev’essere incentrata su Cristo, l’unico che può dire di sé stesso: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se morto vivrà” (Gv 11,25).