Qualche tempo fa rimasi particolarmente colpito da una frase di un amico, un uomo di fede, di cultura e di cuore: c’è bisogno di uomini buoni. È così; il trionfo della volgarità, del malaffare, dell’invidia e della cupidigia, dell’indifferenza e della corsa sfrenata verso la ricchezza, il piacere effimero, lo sfruttamento e il successo sono soprattutto la vittoria di spiriti malvagi.
A Ferragosto siamo sotto l’ombrellone o tra i paesaggi maestosi della montagna. Se si ha la presunzione di disturbare le ferie e il riposo dei lettori, bisogna farlo con leggerezza, con il sorriso sulle labbra, con lo sguardo rivolto al bene. Nessuno ci sembra incarnare meglio di Gilbert K. Chesterton queste aspirazioni, nella speranza che sussista voglia della verità e della bontà scaturita dallo sguardo che scorge l’impronta del trascendente. Peraltro, fu un ateo, Martin Heidegger, ad affermare, nella sua intervista estrema, che solo un Dio ci può salvare.
Pochi hanno saputo parlare all’anima – ma anche al cervello e al cuore – come Chesterton, il grande scrittore e intellettuale inglese, del quale in queste settimane ricorre il centenario della conversione al cattolicesimo, maturata con gli amici padri O’Connor e MacNabb, oltreché con il fraterno sodale di tutta la vita, Hilaire Belloc.
Per questo suggeriamo la lettura di questo straordinario innamorato della vita, di Dio, degli uomini e del buon cibo (era un omone di un metro e novanta e di centotrenta chili), e di lasciarsi sorprendere dalla vastità della sua produzione intellettuale. Scrisse un centinaio di romanzi, molti racconti e migliaia e migliaia di articoli e saggi, riuscendo anche a fondare una teoria politica ed economica, il distributismo.
Per molti è un maestro senza albagia e senza senso di superiorità. Per qualcuno è un santo: vi è una causa di canonizzazione che lo riguarda, adesso bloccata. Anche per gli aspiranti santi vige la correttezza politica, benché pare che in privato l’allora cardinale Bergoglio si sia espresso favorevolmente alla santità di Chesterton.
È un piacere aggirarsi tra le sue intuizioni, i fulminanti aforismi, gli insegnamenti vivi e attuali, universali e profetici. Leggere o rileggere Chesterton è un piacere sottile, un’oasi di serenità e di forza, un richiamo alla bontà che sembra scomparsa dal nostro orizzonte. Scrisse Jorge Luis Borges, che “la letteratura è una delle forme della felicità; forse nessuno scrittore mi ha dato tante ore felici come Chesterton.”
Poco ci importa l’eventuale santità di Chesterton. Conta che sia stato un uomo buono e uno scrittore esemplare il cui insegnamento ha portato – o riportato – molti alla fede e la cui lettura ha offerto diletto e stimolato la riflessione a milioni di persone di ogni paese e condizione. Il suo personaggio più noto è Padre Brown, un parroco cattolico di provincia in una nazione a maggioranza anglicana. Buona parte dei racconti sono ancora inediti, sepolti nella grande massa di fogli, appunti e scritti incompiuti che lasciò.
Il personaggio di padre Brown impegnò Chesterton per venticinque anni, dal 1911 sino al 1936, quando morì. Il piccolo prete con il cappello a cilindro a larga tesa e l’ombrello al braccio è un amante della verità, un uomo convinto che il bene possa vincere sul male. Le sue indagini non hanno nulla di scientifico, si basano sulla conoscenza degli uomini e sulla capacità di immedesimazione anche nei lati più oscuri e nelle personalità più negative.
È significativo l’interesse per il personaggio mostrato da un intellettuale di spiccata acutezza, Antonio Gramsci. Per il pensatore sardo, Padre Brown è l’opposto di Sherlock Holmes, “un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti. Sherlock Holmes è il poliziotto protestante che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione. Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l’esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull’introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l’angustia e la meschinità.” D’altronde, conclude Gramsci, Chesterton è un grande artista, a differenza di Arthur Conan Doyle, il creatore dell’infallibile poliziotto di Baker Street.
Colpisce in Chesterton la costante tensione morale, la spiritualità intensa e insieme sorridente, mai incline al moralismo o all’abbandono mistico, la semplicità unità alla profondità. Tra un libro e un articolo della sua sterminata produzione, trovò il tempo di scrivere un intenso saggio su Tommaso d’Aquino, che chiamava, con affettuosa familiarità Tommy. Numerose sono le sue riflessioni diventate frasi celebri, perle di saggezza, spunti ineludibili di riflessione venate di ironia, intrise di una vasta cultura mai ostentata, tra sapienza e bontà.
Ci piace ricordarne alcune, esemplari per la loro universalità e perennità. “Tutti gli educatori sono assolutamente dogmatici e autoritari. Non può esistere l’educazione libera, perché se si lascia un bambino libero non lo si educa”. Con l’espediente della libertà astratta ci hanno privati della cultura e dell’istruzione. Scatta l’allarme di Chesterton: “senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite.” Il segno di quella mediocrità dilagante che per lui “consiste probabilmente nel trovarsi davanti alla grandezza e non rendersene conto.” Colpisce il britannico understatement dell’avverbio probabilmente, ma è un fatto che la mediocrità, la sciatteria, l’equivalenza, il disprezzo per l’eccellenza siano tra le caratteristiche della modernità, a cui non sono estranei alcuni elementi della cultura cattolica.
Il mondo di Chesterton ha al vertice Dio e al centro la famiglia: “chi parla contro la famiglia non sa quello che fa, perché non sa che cosa disfa.” La storia dell’ultimo mezzo secolo ha dimostrato che i distruttori della famiglia sapevano assai bene quello che facevano. Il loro obiettivo era precisamente la decostruzione di uno dei fondamenti della persona umana. Eppure “la famiglia è la prova della libertà, perché è l’unica cosa che l’uomo libero fa da sé e per sé”. C’è di più. “Il luogo in cui nascono i bambini e gli uomini muoiono, dove la libertà e l’amore fioriscono, non è un ufficio, un negozio o una fabbrica. Qui vedo l’importanza della famiglia.”
Il mondo nel frattempo è impazzito, ma “pazzo non è chi ha perduto la ragione, ma colui che ha perduto tutto, tranne la ragione”. La ragione chiusa, materialista, ottusa che riconosce solo se stessa e impedisce di cogliere l’essenziale, invisibile al microscopio degli scienziati. Greve e senza speranza, arrogante e insieme disperato è il materialismo che Chesterton, morto nel 1936, ha intuito, sfiorato, ma – per sua fortuna- non ha visto dispiegarsi fino in fondo.
Il fatto è, spiega, che “quando si smette di credere in Dio, si è disposti a credere a qualsiasi cosa.” Una fotografia profetica dell’uomo occidentale contemporaneo, che crede a idoli di paccottiglia, miraggi, magie da spettacolo di varietà, diritti civili (e non…); che presta fede -se la parola ha ancora senso- a qualunque novità, sciocchezza, credenza, diffusa dai padroni della comunicazione.
Chesterton visse ina società a cavallo tra un puritanesimo di facciata, sottoposta alle regole soffocanti di una moralina accigliata e superficiale che sarebbe presto esplosa nella miscredenza, e il montante relativismo morale e pratico. Fu uomo di minoranza anche nel tentativo generoso di creare – con concreto realismo – una società più giusta in cui la ricchezza fosse distribuita al maggior numero di persone e nella quale la proprietà – della terra, della casa, della bottega- fosse il luogo della responsabilità e di un benessere che non si chiudesse in egoistico “ben-avere” come nel capitalismo.
Per Chesterton il problema è che i capitalisti sono troppo pochi, ovvero che la ricchezza e il potere sono concentrati in pochissime mani. Che direbbe del capitalismo ultimo, padrone di tutto, dell’irresponsabilità e del disprezzo per l’uomo contenuto nel tragico slogan “non avrete nulla e sarete felici”? Chesterton, uomo pratico, sapeva che alcuni uomini non hanno bisogno, per essere, di avere. Sapeva tuttavia che la personalità umana cresce nella quotidianità a cui serve la responsabilità, l’amore per ciò che si fa e si costruisce. Per questo voleva un mondo di proprietari, non di proletari o di monadi dipendenti dal consumo, dalle passioni, dalle mode.
Profondamente avverso al marxismo, lo era anche al materialismo elitario di chi vuole cambiare la natura dell’uomo. “Marx chiamava la fede l’oppio dei popoli, e io la chiamerei piuttosto il vino dei popoli. In questo caso è interessante mettere a paragone il logico con il letterato, che da sempre è più logico del logico. Quando Aldous Huxley creò la sua orribile utopia materialistica fu particolarmente attento ad evitare questa contraddizione. Il punto di Brave new World (Il mondo nuovo) di Huxley non è che la religione è l’oppio dei popoli. Il punto è che l’oppio è la religione dei popoli”. Si riferiva alla droga “benefica”, il soma, che imposta per tranquillizzare il cuore eternamente inquieto dell’uomo.
Diffidente verso ogni tentativo di cambiare l’essenza della creatura umana, vi dedicò un racconto, L’uomo che fu Giovedì, la bizzarra storia di un gruppo di sette anarchici decisi a cambiare il mondo per conseguire la vera felicità, che risultano tutti, tranne uno, infiltrati del governo intenti non a lottare contro il male, ma a combattersi tra loro. Un’allegoria in cui, alla fine, il bene può trionfare; è questo il filo conduttore, intimamente religioso, del pensiero di Chesterton.
Qualcosa di profondo stava già accadendo all’uomo del suo tempo, che le sensibili antenne dell’artista percepivano al di là delle convinzioni spirituali. Nasceva – l’artista lo capiva meglio dell’uomo di fede – un’umanità nuova insensibile alla verità, oltreché allo spirito. Perciò Chesterton, consapevole dell’attacco ai fondamenti della realtà, scrisse, con il tono profetico tanto distante dall’animo suo, un brano di cui avvertiamo la portata solo da pochi anni: “fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo la incredibile virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, incredibile universo che ci fissa in volto”. Quel momento è giunto.