Bentornato in Scozia. Così mi sono detto una volta arrivato a Edimburgo. Un viaggio di ritorno, in una terra dove mi recai per la prima volta nel 1982, quando ero un giovane di ventitré anni che da tempo sognava questa terra. Caledonia dreaming era il mio canto. Vi andai dopo essermi riempito la testa e il cuore dei romanzi di Scott e Stevenson, di Bruce Marshall e della storia tragica di Maria Stuarda e dell’avventura eroica del Bonnie Price Charlie che tentò di riconquistare nel 1745, in un’impresa disperata e romantica, il trono che era stato dei suoi avi. Vi andai con nelle orecchie le melodie dell’arpa delle Ebridi e il suono marziale di “Pipes and drums”, cornamuse e tamburi. Le marce che hanno sempre accompagnato le avventure degli Highlanders.

Avevo un po’ di timore: quello della delusione. Avevo paura di trovare una realtà molto diversa da quella che mi ero immaginato, ma non fu così. Mi sentii a casa. Un sentimento che venne replicato l’anno dopo, quando visitai l’altra terra dei miei sogni, l’Irlanda. Anche lì fu come essere a casa, la vera casa. Da allora non temo più di essere deluso quando mi reco nel Gaeldom, la terra dei Gaeli, sia che si tratti di Scozia che di Irlanda. Certo, molte cose sono cambiate, e l’ombra scura dell’omologazione, della globalizzazione si stende anche sull’Isola di Smeraldo, e sulla terra del Tartan e dei Clan. Ma l’identità di queste terre non viene meno.

Dunque, sono tornato. Per rivedere ancora una volta Edimburgo, il suo castello, i vicoli della Old Town che ispirarono Stevenson, la casa natale di Arthur Conan Doyle, a fianco della Cattedrale cattolica di Saint Mary, Grassmarket e Greyfriars, e salire in cima a Carlton Hill al tramonto per ammirare tutta la città, nell’abbraccio di uno sguardo, dal porto di Leith al Palazzo Reale di Holyrood, che vide la presenza di Maria, la Regina martire, e del Principe Charlie, quando la libertà sembrava a portata di mano.

Perché tornare in scozia? Per rivedere questo, per ammirare le rovine maestose di castelli come Dunnottar o Urquhart, o camminare tra le pietre della distrutta Abbazia di Arbroath, dove 700 anni fa i capi dei Clan, l’aristocrazia guerriera di Scozia, estese una Dichiarazione che fu inviata al papa con cui si chiedeva il diritto – davanti a Dio e davanti agli uomini – di esistere come nazione. E il pontefice del tempo, colpito da quelle parole, vibranti e frementi di amore per Dio e per la propria terra, accordò alla Scozia il titolo di Specialis Filia Ecclesiae, figlia speciale della Chiesa. Un privilegio che garantì la pace a questa terra per un po’ di tempo, fino a quando Enrico VIII non vi sputò sopra, e volle rinnovare la brama di annessione che era già stata dei suoi antenati.

Si può andare in Scozia per molti motivi: per la bellezza mozzafiato dei suoi paesaggi, dal Mare del Nord ai laghi, alle vallate brulle delle Highlands. Si può andarci per la musica, per il whisky, per tante attrattive. Io ci vado per la storia. “The past, the present and the future”, dice una canzone del Celtic, la squadra di Glasgow nata dalla Fede di immigrati irlandesi e autoctoni scozzesi, con un nome che riassume la storia e le radici di entrambi.

Qui c’è il passato, ma anche un presente e il sogno di un futuro. C’è una storia commovente, tragica e gloriosa; c’è un presente difficile, quello di una Nazione ancora senza Stato, incatenata a quella innaturale unione che è il Regno Unito, un regno che potrebbe e dovrebbe finire. La Brexit potrebbe rivelarsi per Londra un’arma a doppio taglio: se gli inglesi rivendicano il diritto di lasciare l’Unione Europea, perché allo stesso modo gli scozzesi non avrebbero il diritto di lasciare l’Unione britannica. È la speranza per il futuro: quella di tornare ad essere una nazione indipendente, fiera della propria identità. Una nazione dove non sventolerà più l’Union Jack, ma il meraviglioso vessillo scozzese, il Saltire, la Croce di Sant’Andrea bianca in campo blu, blu come il cielo di Scozia. Nella speranza che oltre all’identità nazionale possa anche rifiorire la Fede. Quella dei santi Ninian, Columba, del martire John Ogilvie e di tanti altri. Il fiore di Scozia.

4 commenti su “Caledonia dreaming. Cartolina dalla Scozia”

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