Settant’anni, ma non li dimostra
di Giovanni Lugaresi
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Le mani dei sacerdoti sono fatte per benedire, non per percuotere, comprese quelle del personaggio letterario protagonista del guareschiano ”Mondo piccolo”: don Camillo. Ed è in questa osservazione-intimazione da parte del Cristo crocefisso dell’altar maggiore che va verso l’epilogo il primo dei 347 racconti ambientati in quella fettaccia di terra compresa fra Po e Appenino, un “mondo piccolo”, per l’appunto, che si è però dilatato, nel tempo, ai quattro angoli del “mondo grande” conquistando milioni e milioni di lettori, in ciò favorito anche dalla serie di film interpretati da Fernandel e Gino Cervi.
Il racconto si conclude con una emblematica pedata, forse la più famosa della letteratura contemporanea, assestata a Peppone che la sta aspettando e che rappresenta un che di liberatorio per entrambi i personaggi: il prete e il capo dei rossi…
Ma perché siamo qui a rievocare quel primo capitolo della saga guareschiana? Semplicemente perché fra gli anniversari significativi a livello culturale di questa fine d’anno 2016, ce n’è uno caro a tantissimi lettori, di ieri e di oggi. “Don Camillo” compie 70 anni.
Nasceva infatti a Milano, il 28 dicembre 1946, il popolare personaggio creato da Giovannino Guareschi, che avrebbe dato il titolo a libri e film. Nasceva sulle pagine del numero 52 del settimanale Candido, ma in realtà, come lo stesso autore avrebbe successivamente detto, era nato “il 1° Maggio 1908, assieme a me”, e all’insegna del Mondo piccolo, appunto…
Come fosse andata la vicenda alla vigilia di quel 28 dicembre di settant’anni anni fa, ugualmente l’avrebbe spiegato ancora Guareschi nell’introduzione a “Don Camillo e il suo gregge” – il secondo libro della saga della Bassa. A causa delle feste, “bisogna finire il lavoro prima del solito. Bisogna ‘anticipare’. Oltre a compilare il ‘Candido’ scrivo dei raccontini per ‘Oggi’ e così, questa antivigilia mi trovo, come al solito, nei guai fino agli occhi: è già sera e io non ho ancora scritto il pezzo che manca per completare l’ultima pagina del ‘Candido’. Sono appena riuscito a scrivere, nel pomeriggio, il pezzetto per ‘Oggi’ che è già stato composto e messo in pagina.
Bisogna chiudere subito il ‘Candido! Mi dice il proto. Allora mi faccio cavar fuori il pezzetto da ‘Oggi’, lo faccio ricomporre e lo butto nel ‘Candido’.
“Sia come Dio vuole!”, esclamo. Poi, siccome per l’altro settimanale c’è ancora una mezz’ora di tempo, scribacchio una storiella qualsiasi e tappo anche quel buco rimasto.
E Dio ha voluto che succedesse quello che è successo. Infatti, il primissimo racconto di Mondo piccolo è il raccontino che avevo destinato a ‘Oggi’. E che, se fosse uscito in quella sede, sarebbe finito lì, come tutti gli altri raccontini, e non avrebbe avuto nessun seguito.
Invece, appena l’ho pubblicato sul ‘Candido’ mi arrivano tante e poi tante lettere da parte dei miei ventiquattro lettori, che scrivo un secondo episodio sulle vicende dei suoi personaggi della Bassa”…
Fu “Peccato confessato”, con la pedata finale del sanguigno prete al capo dei rossi, come già avvertito…
E avanti, dunque, fino ad arrivare a 347 racconti, che costituiscono la narrazione di un “Mondo piccolo” destinato a dilatarsi ai quattro angoli della Terra.
“Peccato confessato” avrebbe aperto anche il primo libro di trentasette racconti pubblicato da Rizzoli (prima edizione marzo 1948, seconda edizione maggio 1948), caratterizzati da un successo a cascata, per così dire. Sì, e in due sensi. Il primo: Guareschi fu praticamente… costretto a inventarsi altre storie per far camminare lungo le strade della Bassa (e oltre) i suoi due personaggi: don Camillo, il manesco parroco politicizzato, ma tutto fede e amore per la sua gente, e il polemico sindaco capo dei rossi, Peppone, del pari legatissimo al paese – con la non certamente secondaria “aggiunta” del Cristo crocefisso che parla, raffigurante la coscienza cristiana dell’autore.
Il secondo: al successo in patria, fece seguito quello a livello internazionale, con i racconti sul prete e il sindaco comunista tradotti in cinquanta lingue (manca il cinese, a tutt’oggi) – e con l’aggiunta dei film con impareggiabili interpreti Fernandel e Gino Cervi.
All’insegna del “Mondo piccolo”, che è un paese dell’anima, prima di esserlo… fisicamente, materialmente, con i suoi ritmi, gli usi, le tradizioni, e la lotta politica, ben s’intende, in primo piano, Guareschi avrebbe scritto, come detto, ben 347 racconti, sparsi in diversi libri e quindi raccolti, a cura dei figli Alberto e Carlotta, in tre volumi licenziati da Rizzoli, l’editore col quale Giovannino aveva incominciato a pubblicare nel 1936 (ottant’anni fa: un altro importante anniversario!) e che ha stampato poi i libri postumi, nonché nuove edizioni di quelli vecchi, in presenza di un successo che continua nel tempo.
Ma in virtù di quali elementi, “Don Camillo” ha conquistato milioni e milioni di lettori in Italia e ai quattro angoli della Terra?
In virtù di caratteristiche ben precise: la dialettica, la polemica, lo scontro politici, certamente e innanzitutto; poi quel saper ambientare figure ed eventi in un habitat rurale dove fra campi di grano e fattorie, vigne e prati, scorre il grande fiume, che è il Po; ancora, il sapere tratteggiare quelle figure medesime con segni inconfondibili, sia a livello fisico, sia a livello psicologico. E senza contare come, attraverso queste pagine, si venga a contatto con la realtà italiana, politica, sociale, del costume, a partire dall’immediato dopoguerra, caratterizzato da odi non sopiti, desideri di vendetta, nefandezze varie, ma sulle quali Guareschi stende come un velo di profonda pietas, che viene dal cuore, dall’anima.
Non ultima, l’invenzione del Cristo crocefisso che parla con il suo ministro, e lo redarguisce, anche duramente, per gli errori-peccati che commette.
Ma non è finita. Perché ci sono poi le “ragioni” della letteratura e quelle del… cuore. Le “ragioni” della letteratura vanno ricercate in quella prosa immediata, diretta, essenziale, aderente alle cose, ai personaggi, agli eventi e a quella che è stata definita “l’invenzione del vero”.
Quelle del cuore affondano in una umanità che prevale sempre sull’ideologia, e per fare soltanto un esempio citeremo il racconto dell’agonia, della morte, del funerale della “maestra vecchia”, che sulla cassa vuole la bandiera, la “sua bandiera”, con “lo stemma”, che è poi quello sabaudo!
Ora, il lettore non prevenuto non penserà alla fede monarchica di Guareschi, nell’imbastire questa vicenda, ma ad altro. E cioè che Peppone, benché comunista, sentiti gli interventi, dei vari capigruppo in consiglio comunale, alla fine compirà il grande gesto (prevaricatore, certo, di fronte ai pareri contrari di tutti) di decidere per il rispetto delle ultime volontà della maestra vecchia, in ciò dimostrando, appunto, una umanità che prevale sull’ideologia, il rispetto per la persona e le sue ultime volontà, pur non condivise!
I racconti del “Mondo piccolo” sono poi all’insegna di una fede autentica, forte, quale poteva essere quella di un cristiano cattolico che seppe coniugare nella sua non lunga, ma spesso sofferta esistenza (dall’esperienza dei lager nazisti alla galera italiana), credo religioso e senso di libertà. Una fede semplice, ma vera, appunto, proclamata e testimoniata, che gli avrebbe ispirato pagine non dimenticabili, non soltanto per quel che riguarda la saga del “Mondo piccolo”. Non a caso, il primo volume di “Don Camillo” si conclude con un’immagine di straordinario respiro e di vivo coinvolgimento spirituale. Del resto, è proprio scorrendo pagine come queste che si può pensare alla propria anima e riecheggiando le espressioni del Libro di Qoelet ripetere: “Vanitas vanitatum, et omnia vanitas…”.
Ma, ecco… Se non è frequente trovare, in un’opera letteraria, la presenza del Natale espressa con intensità di fede e un soffio di delicata poesia, si vada a leggere Giovannino Guareschi. Che nell’incarnazione di Dio che si fa uomo per il bene degli uomini ci credeva a tal punto da scrivere addirittura ben due “Favola di Natale”, e di dedicare all’evento diverse altre pagine. A cominciare, come si è detto, da quel finale di “Don Camillo” (il primo volume) nel quale Peppone, in una brumosa serata novembrina, andato in canonica a confidare certe sue preoccupazioni al parroco, si trova tra le statuine del presepe. Il vecchio prete sta lavorando infatti in largo anticipo sui tempi, perché – dice – Natala arriva in fretta cogliendoti magari di sorpresa.
Eccolo, dunque, ricevere la visita del sindaco e capo dei rossi, mentre sta ripulendo e sistemando le statuine della sacra rappresentazione…
Allora prende il Bambinello e un pennellino, affidandoli a Peppone per i ritocchi necessari di pulizia e di coloratura. Incombenza alla quale il nostro omone non si sottrae, anzi…
E uscendo, annota Guareschi, “Peppone si ritrovò nella cupa notte padana, ma oramai era tranquillissimo, perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa”.
L’epilogo del racconto, non v’è chi non veda, poi, essere all’insegna di una fede semplice e forte: “il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi, sotto l’argine, ed era anch’esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e ancora continuava.
E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all’acqua, c’erano voluti mille anni.
E soltanto fra venti generazioni l’acqua avrà levigato un nuovo sassetto.
E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per fare cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino”…
Don Camillo ha 70anni? Sì, ma non li dimostra, come si suole dire, per chi è, pur avanti con l’età, ancora fresco, pimpante e gradevolissimo. E’ il caso, appunto, fra tanta letteratura da gettar via, della creatura (delle creature) di Giovannino Guareschi.
Felicitazioni e auguri, dunque!
7 commenti su “Buon compleanno, Don Camillo! – di Giovanni Lugaresi”
Penso che litigare tra destra e sinistra, tra comunisti e capitalisti mantenga giovani: l’Italia in 70 anni ha cambiato 63 governi. Non siamo mai contenti.
Il Santo Timor di Dio
Dalle opere di Giovannino emerge sempre un valore fondamentale per la vita terrena finalizzata al Paradiso: il Santo Timor di Dio. E’ quello che prima del Concilio pastorale veniva insegnato dai genitori cristiani, dalle suore, dai sacerdoti e salendo fino al Vicario di Cristo, ovviamente salvo eccezioni. Poi con l’invenzione del “buonismo” della Gaudet Mater Ecclesia si scoperchiò il vaso di Pandora che fu richiuso, solo dopo che si era rovesciato completamente sulla “pastorale”, con il sigillo della dichiarazione sulla libertà religiosa “Dignitatis Humanae” sponsorizzata dall’ONU. Nel prooemio del documento si legge: “la verità non si impone che in forza della stessa verità (?), la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore” (?). Dopo 50 anni, questa dichiarazione, a lungo contestata anche durante il Concilio da circa il 10% dei Vescovi e comunque 70 si dichiararono contrari, fu promulgata 7 dicembre 1965 da Paolo VI e ora vediamo, con disperazione umana solo confortata dalla assicurazione di Cristo: “Portae inferi non praevalebunt”, che il Santo timor di Dio è stato sostituito dalla gioia di poter ballar la “olaola” a Copacabana da S.S. Francesco unito ad altri Vescovi bailarines alla Giornata mondiale della Gioventù 2013.
La cosa che mi viene in mente di primo acchito, è che l’Italia era credente, e il sensun fidei guidava le scelte e scandiva il quotidiano in una normalità impensabile in questi tempi così bui. Ammesso e concesso che sono solo delle storie uscite dal genio di Guareschi, ciò che fa impressione e che i ” compagnoni” comunque la domenica andavano a la Messa, e che si sottoponevano anche volentieri alle sferzate di don Camillo . Tutto in quei racconti è straordinariamente normale, dal rapporto genitori figli, al rispetto per le autorità, degli anziani e dell’infanzia, in poche parole la società era sana, nei principi naturali, tutto godeva di ottima salute. Che abisso colla nostra società ! mi fa venire la nostalgìa di un tempo che non ho mai vissuto. Chissà se un giorno potrò conoscere anch’io un mondo così.
http://www.giovanninoguareschi.com/1948-18-aprile.pdf
http://www.giovanninoguareschi.com/1941-1953-guareschi-e-stalin.pdf
http://www.giovanninoguareschi.com/contrordine-compagni.pdf
Conobbi un sudcoreano una ventina d’anni fa. Una volta gli domandai chi fossero gli scrittori italiani più letti nel suo Paese. Senza esitazione mi rispose: “più di tutti Guareschi”.