Borghesia in crisi. Sotto il denaro, niente
Nei Miserabili, Victor Hugo definiva i borghesi come la “parte del popolo soddisfatta”: una definizione suggestiva ed efficace, che ha avuto diverse declinazioni, ben oltre l’idea marx-engelsiana, secondo cui “per borghesia si intende la classe dei capitalisti moderni che sono proprietari dei mezzi della produzione sociale e impiegano lavoro salariato”.
La declinazione più immediata è stata quella economica, legata al potere del denaro, all’acquisto di beni, all’ostentazione del lusso. Unita ad essa quella culturale, determinata dalla trionfante visione della vita e del mondo, di marca utilitaristica. Poi, ancora, la faccia politica, segnata dal formalismo democratico, a base egalitaria, e dallo status.
La “soddisfazione borghese” ha permeato di sé gli Stati, le idee, gli apparati, i modelli comportamentali. Si è fatta sistema complesso e onnicomprensivo, in grado di travolgere e metabolizzare vecchie appartenenze ed identità radicate. Tutto questo fino a quando la borghesia non è stata costretta a misurarsi con le sue intime contraddizioni, con il suo “appagamento”, vedendo sfarinarsi certezze che parevano immutabili, destini storicamente segnati, perfino la sua stessa esistenza.
L’ideologia del futuro, del progresso infinito (soprattutto nella produzione e nei profitti), a cui la borghesia ha legato i propri storici destini, oggi è morta. È morta in quell’Occidente che è stato il bacino naturale di vita della borghesia, dopo essersi trasferita all’interno di culture e realtà socio-economiche ben lontane dai naturali bacini d’incubazione e di crescita del produttivismo occidentale. È emigrata in quelli che un tempo si definivano “Paesi in via di sviluppo”. Ha decentrato nei loro grandi spazi le produzioni sporche e a basse tutele sociali, ivi trovando bacini adeguati alle nuove domande energetiche e di consumo. Ma ha anche incontrato nazioni giovani e vitali, fortemente motivate, avviate sulla strada dell’affrancamento sociale e dell’orgoglio nazionale, dopo avere patito, per secoli, il servaggio della carestia.
Senza un’idea di Patria, ma neppure senza un’idea europeista e internazionalista, in grado di comprendere e ricomprendere i nuovi scenari della globalizzazione, la borghesia, dopo avere galleggiato per decenni nei suoi piccoli, melmosi interessi, pare destinata ad affondare.
Fino a ieri l’ha salvata, a fasi alterne, la propria autostima, fondata sul benessere domestico e sull’idea che questo fosse sufficiente non solo a legittimarla, ma a garantirle anche una visione universale. All’interno di un sistema chiuso, autoreferenziale, a base professionale, la borghesia si è difesa alzando i ponti levatoi del proprio egoismo, incapace però di guardare che cosa si profilava all’orizzonte, quali scenari nuovi venivano a delinearsi, quali rischi per la sua sopravvivenza. Priva di idee in grado di contenere le mutazioni socio-economiche ed antropologiche del tempo della globalizzazione, la lumpen borghesia si è illusa che l’enunciazione dei vecchi principi potesse essere sufficiente a rilegittimare il suo potere.
Ora sotto i colpi dell’emergenza sanitaria la vecchia borghesia è costretta a guardarsi allo specchio e a fare i conti con i limiti della propria “soddisfazione”, prefigurando una crisi epocale che dovrà inevitabilmente costringerla a ripensare un modello di sviluppo, oggi slegato da ogni base nazionale; a ridiscutere l’utilitarismo, che ha legittimato la sua ragione d’essere, guardando ad una visione solidale del Sistema Paese; a ritrovare l’idea di Stato, troppo rapidamente messa in archivio; a guardare alle inadeguatezze del modello di rappresentanza politica, oggi che sono le competenze a dettare legge e la decisione a rimarcare i tempi della politica. Nuove aspettative sono all’ordine del giorno della Nazione. Farsene carico sarà la sfida del domani delle classi dirigenti. Andare oltre la vecchia cultura borghese sarà la vera scommessa del domani.