Nel 1943 Clive Staples Lewis (1898-1963) pubblicava una raccolta di tre brevi saggi, dal titolo: L’abolizione dell’Uomo, che costituiranno la base dei contenuti espressi in quel racconto inquietante del 1945, Quell’orribile forza, il cui sottotitolo, Una favola moderna per adulti, sembrava stemperare l’incubo descritto nel libro. Per accostarsi al pensiero lungimirante di Lewis è necessario leggere e meditare le sue profonde analisi senza alcuna fretta. Credo che abbia ancora molto da insegnarci, soprattutto in merito alla comprensione delle condizioni storico-sociali che stiamo vivendo. Dobbiamo evitare quindi dannose scorciatoie di pensiero, pregiudizi irriflessi, lasciandoci così sorprendere dalla stupefacente genialità e attualità di questo grande scrittore. Ad esempio, iniziamo a chiederci cosa Lewis intendesse veramente con il titolo del primo saggio: “Uomini senza petto”, tappa per l’approdo finale dell’abolizione dell’Uomo.
Uomini senza petto
Elaborato nel contesto del sistema educativo, questo primo saggio contraddice quanto ancor oggi viene sottolineato con il luogo comune “Bisogna superare il sentimentalismo o l’emotivismo con la ragione”. Lewis contesta, soprattutto in merito all’educazione delle nuove generazioni, la convinzione che tutte le emozioni suscitate dalle associazioni di idee siano in sé stesse contrarie alla ragione. “Il compito degli educatori moderni – osserverà il grande scrittore nativo dell’Irlanda del Nord – non è di sfrondare le giungle, ma di irrigare i deserti. La giusta difesa contro i falsi sentimenti è di inculcare giusti sentimenti”.
Non si trattava quindi di salvaguardare le menti contro le emozioni ma, recuperando Sant’Agostino del De Civitate Dei, “definire la virtù ordo amoris, l’ordinata distribuzione degli affetti in cui a ogni oggetto è tributato quel genere e grado di amore che gli è appropriato”. L’educazione moderna era volta, secondo Lewis, a produrre Uomini senza Petto, laddove il Petto costituiva l’indispensabile collegamento tra uomo cerebrale e uomo viscerale; era in forza del Petto, sosteneva Lewis recuperando teologi e filosofi medievali, come ad esempio Alano di Lilla, che le emozioni erano organizzate in sentimenti stabili e in cui l’uomo poteva diventare un vero uomo.
Oltre allo sviluppo del pensiero – sosteneva Lewis – non si doveva impedire che la fertile e generosa emozione facesse la sua parte. WL’atrofia del petto – concludeva Lewis – faceva apparire la testa più grande dell’ordinario”. Il problema educativo non doveva considerare tutti i sentimenti come non-razionali, quasi fossero un velo tra il soggetto e gli oggetti reali. Non considerare il Petto significava portare avanti il ridimensionamento dell’Uomo, in quanto la testa governava il ventre per mezzo del petto.
Quale strada percorrere?
Nel secondo saggio, La via, Lewis si interrogava su quale strada intraprendere per evitare la distruzione della società e l’abolizione dell’Uomo, mettendo a confronto la saggezza antica originaria delle idee platoniche, aristoteliche, stoiche, cristiane e orientali, rinvenendo nella dottrina del valore oggettivo ciò che le accomunava tutte. Scelse l’espressione Tao quale Via da percorrere non tanto per un debito verso la secolare cultura tradizionale e religiosa cinese, quanto perché il Tao indicava, secondo le testuali parole dell’autore, la realtà oggettiva di là da tutti i predicati: “Poiché i nostri consensi e dissensi sono riconoscimenti di un valore oggettivo o reazioni a un ordine oggettivo, ecco che gli stati d’animo possono essere in armonia con la ragione o in disarmonia con la ragione…il cuore non potrà mai prendere il posto della testa: ma può, e dovrebbe, obbedirle”.
Quella che Lewis indicava come Via, il Tao, si sarebbe potuto chiamare, secondo le stesse parole dell’autore, Legge Naturale o Morale Tradizionale o Primi Principi della Ragione Pratica o Primi Luoghi Comuni (le maiuscole erano così scritte dall’autore medesimo). Cosa rappresentavano allora i sistemi ideologici moderni, dall’evoluzionismo all’eugenetica, dallo scientismo al transumanesimo, se non la pretesa esasperata di strappare un frammento del Tao dal contesto globale e, dopo averlo isolato, imporlo arbitrariamente?
Ecco, come, attraverso una significativa immagine, Lewis condensava la rivolta delle ideologie contro il Tao: “È la rivolta dei rami contro l’albero: distruggendolo, i ribelli scoprirebbero di avere distrutto sé stessi”. Nell’illustrata Appendice a conclusione del libro, di là dall’intenzione di fornire paralleli eruditi, Lewis confrontava ed evidenziava un medesimo nucleo di Legge Naturale che scaturiva dalle fonti sapienziali dell’Antico Egizio fino a quello Ebraico, dall’Induismo agli Analetti di Confucio, dai Greci ai Latini, dall’Antico Norvegese al Babilonese, fino ad arrivare agli Aborigeni australiani e ai Pellirosse.
Il potere dell’Uomo sulla Natura
Nell’ultimo saggio, dal titolo L’abolizione dell’Uomo, Lewis si chiedeva cosa significasse il potere dell’Uomo sempre più esteso sulla Natura, portando ad esempio tre oggetti: l’aeroplano, la radio, i contraccettivi, scorgendo in essi quanto l’Uomo ne fosse dipendente, dalle bombe dell’aeroplano a quelle propagandistiche della radio fino alla contraccezione, attraverso la quale veniva negata l’esistenza. Il potere dell’Uomo sulla natura si configurava quindi come un dominio di alcuni uomini sopra molti altri uomini.
Quando ancora oggi ci si preoccupa quale mondo migliore lasciare ai nostri figli, l’argomento sarebbe stato ridimensionato da Lewis, in quanto egli sottolineava che le generazioni successive sarebbero state indebolite, in quanto soggette all’ipoteca dei grandi pianificatori e condizionatori. Nel rimarcare quindi il potere di alcuni di fare degli altri ciò che vogliono, Lewis paventava l’ultimo stadio della lotta dell’Uomo con la Natura, con la possibilità di produrre coscienza e quale genere di coscienza; quale Via, o Tao artificiale produrre, quale tipo di concetto di “bene” instillare. Questa piccola minoranza di Condizionatori, una volta allontanatisi dal Tao, avrebbero fatto un salto nel vuoto arrivando a produrre artefatti umani: “La conquista finale dell’Uomo si è rivelata come l’abolizione dell’Uomo”.
Con la liquefazione dell’Uomo dovuta ai condizionamenti subiti, l’Uomo diventava in realtà schiavo e fantoccio di colui al quale avrà ceduto l’anima: “Una volta che abbiamo rinunciato alle nostre anime, il potere così acquistato non ci apparterrà”. In questo processo senza limiti e senza controllo, dove i valori tradizionali erano ridimensionati e dove il genere umano era modellato secondo la volontà di alcuni, il problema sarebbe stato quello di sottomettere la realtà ai desideri dell’Uomo e non, come la saggezza dei tempi antichi, conformare l’anima alla realtà.
Conclusioni
Il campanello d’allarme suonato un’ottantina di anni fa da Lewis era volto a recuperare nell’uomo la sua originaria unità tra anima e corpo, tra giusti sentimenti e ragioni plausibili, tra immaginazione creatrice e, al tempo stesso, razionale e affetti saldi ben riposti: “L’uomo che definiva sublime la cascata non intendeva semplicemente descrivere le proprie emozioni: proclamava anche che l’oggetto (la cascata) era tale da meritarle”. Il rifiuto della Strada Maestra, della Legge Naturale, della Via o del Tao avrebbe portato, come ammoniva con lungimiranza Clive Staples Lewis, all’abolizione dell’Uomo, alla produzione di “scimmie vestite” o “beoti cittadini”. Nello stadio finale della conquista, la natura umana sarà l’ultima parte della Natura ad arrendersi all’Uomo. Allora la battaglia – ammoniva perentoriamente Lewis – sarà vinta e pochi saranno liberi di fare di miliardi di altri uomini qualsiasi cosa vogliono.