Esce in questi giorni dai torchi dell’editore senese Cantagalli “Il posto di Dio nel mondo“, una avvincente antologia dei discorsi controcorrente su potere, politica e legge, tenuti da Benedetto XVI e diligentemente raccolti da Stefano Fontana.
di Piero Vassallo
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La chiarezza e la profondità dei testi pubblicati, induce a rammentare che papa Ratzinger ha elevato il tono della cultura cattolica, avviandola, con erudizione sicura e illuminata cautela, all’oramai irreversibile cammino di restaurazione post-conciliare.
Malgrado le contrarie apparenze, dopo il pontificato di Benedetto XVI, è iniziata il riscatto della verità cattolica, sofferente sotto la massa imprigionante/umiliante dei coriandoli lanciati dalle finestre dell’irenismo teologizzante.
Nella tormentata storia della Chiesa durante l’età delle neo-rivoluzioni, la figura di Benedetto XVI rappresenta la volontà di sciogliere il nodo stretto dalla incauta/illusoria mitologia conciliare intorno all’autocorrezione dei moderni erranti.
I puntuali ragionamenti di papa Ratzinger sulle scolastiche, che avviliscono e tormentano la politica in scena nelle nazioni occidentali, comunità uscite (apparentemente) dall’incubo ideologico, sono finalizzati alla confutazione degli errori piuttosto che alla loro paciosa/precipitosa assoluzione e alla loro empiamente pia assimilazione.
Nella post-fazione monsignor Giampaolo Crepaldi, quasi aggredendo l’opinione di Karl Rahner sui cristiani anonimi, sottolinea opportunamente il rifiuto opposto da Benedetto XVI al relativismo e rammenta che “la libertà di religione non vuol dire che qualsiasi scelta religiosa conferma e verifica la libertà di religione”.
Ora Benedetto XVI indica la causa della fragilità/volubilità della cultura di massa nella presunzione scientista: “La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale”.
Di qui la critica spietata al positivismo giuridico. Il 22 settembre del 2011, nel magistrale discorso al parlamento tedesco, Benedetto XVI, indicando la via d’uscita dall’irenismo, affronta il nodo del positivismo giuridico elucubrato da Hans Kelsen, attribuendolo a una ragione mutilata e perciò “non in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale” e perciò diventata strumento degli “ismi” di nuova e velenosa generazione: “Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi minaccia la sua umanità“.
Al seguito lo svolgimento di un magistero finalizzato alla correzione dell’ottimismo infondato. Il 17 settembre del 2010, rivolgendosi alle autorità del Regno Unito, Benedetto XVI, dopo aver citato l’eroismo di San Tommaso Moro, ha segnato gli stretti confini oltre i quali la moderna democrazia non può essere condivisa: “Se i princìpi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza“.
Benedetto XVI ha affrontato anche il nodo dell’assolutismo democratico: ammesso quale strumento indispensabile la decisione a maggioranza osserva che “anche le maggioranze possono essere cieche o ingiuste. La storia lo dimostra in modo più che evidente: quando una maggioranza- per quanto preponderante – opprime con norme persecutorie una minoranza, per esempio religiosa o etnica, si può parlare ancora di giustizia o in generale di diritto?”
Per uscire dal circolo vizioso avviato dall’assolutismo, inversione demoniaca dell’ordine civile, occorre superare “il culto politico opposto alla verità, che è culto dei demoni, mettere l’unico universale servizio alla verità, che è libertà“. Il problema che angustia i politologi postmoderni, conseguenza, è ricondotto alla verità intravista dal greco Evemero da Messina (330-250 a. C.), il quale sosteneva che “tutti gli dèi sono stati in origine una volta uomini”.
Considerata alla luce della tragica esperienza della mitologia politica in scena nei secoli delle rivoluzioni sterminatrici, la demistificazione di Evemero suggerisce il riconoscimento della bontà insita nell’unica rivoluzione che può interrompere il circuito della democrazia tiranna: il riconoscimento che “ogni religione pagana poggia su una iperbolizzazione di sé da parte dell’uomo“.
In definitiva l’orizzonte della libertà è attingibile solo da una scienza politica capace di percorrere la via di una demistificazione che abbia per bersaglio la tracotanza degli uomini abbagliati e fulminati dal potere del loro denaro e storditi dagli inni declamati dai loro servi.
Obbediente al consiglio evangelico di rinunciare al corteo funerario degli illusi e dei devianti, Benedetto XVI non chiama in causa gli intontiti banditori di un umanesimo integrale concepito nella luce modernizzante/abbagliante emanata dagli errori di rivoluzioni in corsa lungo le piste sanguinarie del delirio e dell’autodistruzione. Non corre contro l’inevitabile fallimento ottenuto dall’umanesimo democristiano, ma indica una via di liberazione dalla avventizia chimera incombente sulla vita politica, ossia l’illusione di aver chiuso vittoriosamente la partita con le ideologie emanate da secolo dei lumi/lumicini.
La filosofia politica proposta da Benedetto XVI mostra la via difficile che i cattolici devono percorre per non estenuarsi nelle manfrine politicanti al suono dei pifferi di montagna.
1 commento su “Benedetto XVI. Potere, politica, legge – di Piero Vassallo”
E pensare che persino Napoleone, caduto nella polvere dell’esilio a S. Elena, ha ammesso che l’Europa, senza il ritorno a Cristo, è destinata al fallimento. L’ha detto lui, che aveva portato nel continente la seminagione dell’orgoglio dei lumi, nella sua umiliazione, aveva riscoperto la bellezza di quella fede che avevaricevuto in eredità dalla sua cattolicissima madre.
Non so se l’Europa di oggi debba arrivare a tanto per riscoprire – ma a quale prezzo! – che quel valore e quella Presenza le erano indispensabili!