Ora che Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI, non appartiene più a questa terra come proseguiranno, se proseguiranno, le discussioni sulle sue dimissioni? Chi lo considerava come il papa legittimo ingrosserà le fila dei sedevacantisti? E il papa Bergoglio darà a breve le dimissioni, come più volte ha lasciato intendere, perché un papa emerito va bene, ma due forse sarebbero stati troppo?
Comunque sia la morte di Benedetto XVI lascia in noi cattolici “normali”, né progressisti né tradizionalisti, ma non per questo indifferenti o tiepidi, un vuoto, come se davvero da oggi cominciasse un’altra epoca.
Sono note tutte le imputazioni che da una parte gli vengono fatte di deviazione dalla retta dottrina, in questi ultimi anni si è avuto modo di studiarle con attenzione. Personalmente, sono arrivato alla conclusione che Joseph Ratzinger abbia utilizzato tutte le risorse del suo vasto ingegno e della sua profonda cultura per coniugare la verità della fede, senza rinunciare a nessun punto non negoziabile di essa, con il mondo che intorno a lui cambiava sempre più velocemente. E questo non è certo un male, se semplicemente non si corre dietro al mondo per adeguarvisi e assecondarlo. Questo è semplicemente realismo cristiano.
Non è facile valutare appieno, dal punto di vista teologico, quanto il Concilio Vaticano II, di cui Benedetto XVI è stato un importante sostenitore, abbia contribuito alla pessima situazione nella quale oggi si trova la chiesa cattolica. Per quanto riguarda la principale frattura con la chiesa preconciliare, lo stravolgimento della liturgia, Joseph Ratzinger si era comunque adoperato per lasciare la possibilità a chi avesse voluto di frequentare la messa tridentina, e chissà che sviluppi avrebbero potuto esserci se egli avesse potuto e/o voluto continuare la sua missione.
Ecco: le sue dimissioni, o, più propriamente, la sua abdicazione, valida o no che sia stata. E di cui è utile rammentare il passaggio centrale in cui le annunciò in concistoro il 10 febbraio 2013.
”Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.
Questo è il punto di cui non è facile farsi una ragione. Perché è indubbio che questa decisione ha lasciato i cattolici del mondo in una dolorosa confusione, soprattutto alla luce di quello che è avvenuto dopo. Nove anni nei quali chi non si è accorto che nella Chiesa stava cambiando proprio tutto era cieco o in malafede.
Benedetto XVI ha portato il segreto nel sepolcro, e a nulla servono oggi supposizioni delle quali non potremo mai essere certi. I tempi, già da un po’, sono quello che sono. I cambiamenti in atto sono vorticosi e sempre più sconcertanti, anche a voler rimanere in un’ottica razionalista, che non è la nostra. Cosa accadrà adesso lo sa solo nostro Signore. Noi ci attacchiamo, con quel filo di fede che ci sostiene, a quelle parole: non praevalebunt.