Banche e non solo: Caporetto capitale – di Roberto Pecchioli

di Roberto Pecchioli

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Lo Stato italiano, nella persona di Pantalone dei Bisognosi, cioè noi tutti, getterà almeno 17 miliardi di euro nel salvataggio delle due grandi banche venete decotte. Sono oltre 30.000 miliardi delle vecchie, rimpiante lirette, un punto abbondante del nostro PIL, ovvero di tutte le attività misurabili in denaro. La fattura del crollo senese di Monte dei Paschi, oltre cinque secoli di storia gloriosa distrutta da qualche decennio di politica rossa, massoneria e una fetta della torta per preti maneggioni è stata finora superiore ai sei miliardi, ma arriveremo facilmente a 20. Insieme, due punti e mezzo del solito PIL. All’orizzonte, si profilano altri casi pietosi: Carige deve trovare 600 milioni di ricapitalizzazione in pochi giorni, con due miliardi e mezzo forse di crediti inesigibili; le ferite di Banca Etruria e della altre banche fallite negli scorsi mesi sono ancora sanguinanti, esattamente come le ricadute politiche, i conflitti di interesse di membri del governo, il ruolo oscuro delle logge e tanto altro.

Contemporaneamente, la società dello spettacolo ci informa di altre cose, diverse, sì, ma collegate tutte nel declino penoso con moto accelerato di quella che fu una grande nazione. Un attore di secondo piano, tale Domenico Diele, drogato e per questo privato della patente di guida, ha ucciso una povera donna in un incidente stradale. Ha prontamente chiesto perdono (in Italia funziona sempre, con gran commozione di parroci scamiciati e maestrine lacrimevoli), il giudice lo ha mandato agli arresti domiciliari. La vita di una signora qualunque, un’italiana senza importanza, vale una notte di gattabuia. Dopo la beffa, il surreale contrordine: il buon Diele resti in cella, ma solo perché non ci sono i braccialetti elettronici anti evasione.

Nelle pagine interne di qualche giornale, passa inosservata un’altra notizia: il governo, in ossequio alle normative dell’Unione Europea, ha sottoscritto un accordo con Confindustria per il lavoro ai cosiddetti migranti o rifugiati. Sembra che qualche normativa di Bruxelles preveda che ai rifugiati debba essere data casa e lavoro entro nove mesi. Partoriscono leggi a migliaia ogni anno, tra regolamenti e direttive mai sottoposte al giudizio popolare eppure esecutive in 27 stati ex sovrani. Aspettiamo che analogo trattamento sia attribuito per legge ai cittadini italiani. Pensate che pacchia: nel tempo di una gestazione, casa e lavoro per tutti, con l’aiuto di Confindustria!

Nessun commento. Solo una richiesta: nel 2017, ad un secolo esatto dalla disfatta di Caporetto, la località slovena dell’alta valle dell’Isonzo, fiume una volta sacro alla Patria, sia proclamata capitale d’Italia. Avremmo finalmente il simbolo di quel che siamo diventati. Un secolo fa, i poveri fantaccini sbandarono e fuggirono a centinaia di migliaia verso la pianura per colpa di generali felloni, ordini errati, la mancanza di un piano di difesa. Il generale Cadorna, e Pietro Badoglio, sempre presente nelle ricorrenti disgrazie nazionali, diedero la colpa ai soldati, proponendo anche un piano di fucilazioni di massa come rimedio alla viltà dei ragazzi contadini massacrati nelle trincee. Aveva ragione Carlo Marx, affermando che la storia si presenta una volta in forma di tragedia e una seconda come farsa. Di questa farsa ignobile siamo spettatori e, pro quota, anche responsabili, poiché un declino così vasto e profondo non è colpa soltanto del tradimento delle classi dirigenti, ma di ciascuno di noi.

Caporetto capitale, dunque. Risarciremo gli sloveni offrendo loro la sovranità su qualche villaggio carsolino di confine, con probabile esultanza di molti abitanti, e noi potremo erigere un monumento alla nostra sconfitta. Sarà anche un utile promemoria per i “nuovi italiani” creati dallo ius soli e dalla cittadinanza facile, che magari preferiranno la più profittevole condizione di stranieri. D’altronde, Caporetto è, da sempre, un paese sloveno e non fu la cittadinanza italiana, negli anni dell’appartenenza alla provincia di Gorizia, a trasformare i montanari isontini in figli del Bel Paese. I prestigiatori del Partito Democratico, uniti in questo alla chiesa cattolica, ansiosa di liquidare l’Italia che non ha mai amato, hanno estratto dal cilindro l’arma definitiva: per risolvere il problema dell’immigrazione, basta abolire gli stranieri offrendo loro la cittadinanza italiana. Oplà, è fatta, come il colpetto in basso che permise a Colombo di tenere in piedi l’uovo.

Nulla di strano, quindi, se la nuova capitale non sarà una città italiana: è solo portarsi avanti con il lavoro. Sembra uno scherzo, o una provocazione da bar dello sport, ma non è così. Lasciamo da parte il resto, e limitiamoci alla questione delle banche: una volta di più, esiste un preciso colpevole, ed è la perdita di ogni sovranità da parte dello Stato italiano, cioè del nostro popolo. Il tradimento delle classi dirigenti che lo hanno permesso è così grande che non viene più neppure percepito, specie da un popolo che ignora il principio- responsabilità. Le colpe sono sempre altrove, il problema, ripetono “è un altro “. Ma quale, di grazia?  Fanfare, tromboni e trombette celebrano i fasti della costituzione, ma nessuno la osserva o la applica.

Nel più puro stile della sceneggiata mediterranea, organizziamo cerimonie, cordoglio a comando, lacrime di coccodrillo, pensose passerelle sui “red carpet” delle istituzioni (libere e democratiche, così dicono) per i vari padri della patria (minuscola!) che passano a miglior vita. L’ultimo è Stefano Rodotà, definito dall’orchestra di stato (minuscolo!) l’ “uomo dei diritti”. Pace all’anima sua, ma sono proprio i nuovi diritti quelli che ci hanno fatto precipitare. Peraltro, quel suo aspetto ascetico, perennemente indignato e sofferente per eccesso di profonde riflessioni ne avrebbe fatto un magnifico propagandista dei doveri e delle responsabilità, proprio ciò che manca all’Italia di Caporetto, anzi Kobarid, nel rispetto del pluralismo. Dicono che fosse “innamorato della Costituzione”: bizzarro complimento, ma allora, come la mettiamo, italioti di Caporetto, con l’articolo 47 della stessa?

“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Sembra di essere sul palcoscenico di Zelig, in attesa della risata liberatoria del pubblico pagante. E non è che il primo comma. Recita il secondo: “Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. In un manuale ad uso delle scolaresche, la cui prefazione è di Luciano Violante, un altro venerato maestro, il commento degli illustri autori è in fondo di un’ammirevole sincerità: “Nell’ applicazione pratica, queste norme sono sempre state poco valorizzate. Esse sono state considerate per lo più come indicazioni di principio o obiettivi programmatici, che non comportano però in capo al legislatore alcun obbligo “. Ci hanno preso in giro, quindi, e ce lo confermano apertamente.

Vale la pena, nel merito, rammentare che il controllo del credito – esercitato con tanta professionalità da non aver intuito il crollo delle banche di cui parliamo – è in capo ad una società per azioni privata di nome Banca d’Italia, la cui autonomia operativa è sancita da leggi nazionali e da trattati internazionali (Maastricht, art.107, quello che ci ha sottratto la sovranità monetaria). Controllore e controllato sono il medesimo soggetto, tenuto conto che Carige e Monte dei Paschi fanno parte dei partecipanti della banca centrale, e che, gigantesco conflitto d’interessi, Intesa San Paolo, cui sono state regalate le banche venete, è, con Unicredit, il principale azionista della stessa Bankitalia.

Incidentalmente, facciamo osservare che i governi italiani non hanno una politica della casa da circa sessant’anni (piano Fanfani) e che non si comprende, nel testo costituzionale, la preferenza per “i grandi complessi produttivi del Paese”. Anzi, si comprende benissimo guardando alle scelte compiute nonostante sia la piccola e media impresa la colonna portante del sistema Italia, e preso atto che è oggi assai difficile indicare quali siano i grandi complessi produttivi rimasti. Ma, carta canta, illustri costituzionalisti ammettono che i costituenti hanno scherzato, almeno nel caso dell’art. 47. Erano dei buontemponi inclini alla burla, come gli amici di Buffalmacco nei confronti dello sciocco Calandrino, tanto è vero che hanno scritto addirittura che la sovranità appartiene al popolo. Per rendere più clamoroso lo scherzo, c’è addirittura l’articolo 1.

La questione del salvataggio delle banche è un caso di scuola per capire quale sia il livello delle nostre classi dirigenti. In premessa, va detto che l’intervento sul sistema bancario andava fatto, pena un crollo di sistema di dimensioni enormi, di cui peraltro l’opinione pubblica è stata accuratamente tenuta all’oscuro, in ossequio ai principi del colonnello Buttiglione di Arbore e Boncompagni, l’inetto che non si arrendeva neppure dinanzi all’evidenza. Il fatto è che interventi più decisi, realizzati in tempi diversi e mostrando i denti ai padroni europoidi e agli stessi “mercati”, avrebbero gravato per molti miliardi in meno sulle tasche dei contribuenti e, probabilmente, avrebbero consentito allo Stato di recuperare un ruolo diretto nel credito, come ai tempi, mai così rimpianti, delle vecchie banche di interesse nazionale svendute dal trio Ciampi, Prodi, Andreatta, con la partecipazione di un brillante funzionario il cui nome era Mario Draghi, e la discreta presenza di un “servitore della repubblica” di lungo corso come Giuliano Amato, l’attuale presidente della Corte Costituzionale. Loro non vanno mai in pensione, anche se ne incassano diverse, ciascuna da decine di migliaia di euro al mese.

Basta, non si può, le norme europee vietano “gli aiuti di Stato” e comunque tutto deve essere in mano privata. L’Unione Europea, creatura privilegiata della globalizzazione, ha un’ideologia precisa, che è il liberismo economico unito al liberalismo antropologico, iscritti inesorabilmente nelle legislazioni. Il nome di questa ideologia nefasta, pervasiva, sfuggente e decisa ad affermare la propria irreversibilità è ordoliberalismo, ovvero liberalismo preordinato nei codici e nei trattati.

Veniamo alle cifre, facciamo qualche conto, tanto le tasche sono le nostre, partendo da una dichiarazione di Roberto Gualtieri, deputato europeo in quota PD, presidente della Commissione Affari Economici e Monetari del parlamento europeo, l’ente inutile per eccellenza. “Ereditiamo una situazione che ha visto pratiche di misselling (vendite fraudolente N.d.R.) con uso improprio (leggi cessione di derivati) delle obbligazioni subordinate”. Se la lingua italiana ha ancora un senso, unita al prestigioso sfoggio di tecnoinglese dell’onorevole Gualtieri, questo significa truffa, o altri reati.  Ci aspettiamo dunque azioni penali nei confronti dei signori Zonin e Consoli, amministratori di Veneto Banca e di Popolare di Vicenza, insieme con i consigli di amministrazione e gli organi di controllo interno.

Se “misselling” c’è stato, ovvero sono stati venduti ai clienti titoli tossici delle banche o obbligazioni subordinate, così come se sono stati sbolognati prodotti “derivati” del valore di carta straccia, la colpa non può essere scaricata sulle spalle della manovalanza, i direttori di agenzia, spesso costretti da minacce, circolari interne, rappresaglie sulla carriera, ma da chi davvero esercitava potere. I patrimoni personali di codesti gentiluomini saranno stati messi al sicuro, del resto in questo sono specialisti, ma uno Stato serio non dovrebbe aver pace sinché non sia riuscito a colpire negli affetti più cari, cioè nei gonfi portafogli, chi ha tradito e rovinato.

Diciassette miliardi di euro che aumenteranno: 5 vengono elargiti a Banca Intesa, il benefattore che rileverà i due istituti, mandando a casa 4.000 persone, chiudendo  centinaia e centinaia di sportelli, eliminando pericolosi concorrenti nelle aree più attive del Belpaese, gli altri sono l’accollo degli ammortizzatori sociali e le garanzie pubbliche (cioè nostre) per l’attività dei liquidatori delle vecchie banche, le cosiddette “bad bank” che tenteranno di vendere i crediti non esigibili, i NPL. Poche settimane fa, il gruppo spagnolo Santander ha rilevato una banca fallita in quel paese per un euro, la stessa cifra pagata (si fa per dire) da Intesa. Tuttavia, si è dovuta assumere attivi e passivi. Delle due l’una: o i banchieri spagnoli, la potente famiglia Botìn, sono dei fessi, o il governo iberico è più serio del nostro. Valuti il lettore.

Un intervento statale eseguito per tempo, diciamo un anno fa, avrebbe limitato la fattura almeno dei 3,5 miliardi del fondo Atlante costituito a difesa del sistema bancario nazionale. La Commissione UE si è poi messa di traverso, pretendendo l’intervento privato (gratuito!). Un altro miliardino abbondante andato in fumo. Il governo assicura che parte dei 17 miliardi saranno recuperati con la cessione dei crediti non performanti. Balle: ci vorranno anni, forse decenni, ed avremo ingrassato i fondi avvoltoio e probabilmente consegnato distretti produttivi interi all’interessato acquisto tedesco. La Grecia insegna. Caporetto fu una disfatta e non una sconfitta per un semplice motivo: non esistevano piani alternativi, si prevedeva solo lo sfondamento del fronte nemico, senza approntare difese nelle retrovie.

Il quadro della rotta nazionale è aggravato, anzi reso drammatico dalla concomitanza con la resa dei conti finale in Monte dei Paschi. Nel 2016, dopo il fallito aumento di capitale (lorsignori non investono in perdita) l’erario sborsò 6,6 miliardi a titolo precauzionale. Non risulta che i responsabili siano in carcere, come sarebbe avvenuto nella Mecca del capitalismo, gli Usa, né che siano diventati poveri e frequentino le mense di carità. Rocca Salimbeni, diventata statale, ha però ancora 26 miliardi di “sofferenze”. La crisi morde, ma anche la nuova dirigenza non deve essere formata da maghi della finanza, se nel solo ultimo trimestre 2016 i crediti non performanti sono cresciuti di altri due miliardi. A beneficio di chi legge, va detto che è uso iscrivere a bilancio tali somme per un valore del 40 per cento, ma che difficilmente se ne ricava la metà. A Siena, nel Palazzo Pubblico, ci sono i due magnifichi affreschi sugli Effetti del Buono e del Cattivo Governo sulla città di Ambrogio Lorenzetti. Non sarebbe male trasmetterne le immagini in apertura e chiusura di tutti i telegiornali.

La fattura senese minaccia, intanto, di allargarsi come una voragine e franare sui conti pubblici e sull’intero sistema produttivo nazionale. Quanti saranno i fallimenti, quante le aziende strozzate, quante le famiglie rovinate? E’ il mercato, bellezza, qualcuno vince e moltissimi perdono, anche se ci hanno fatto credere che il gioco non fosse a somma zero, ma si trattasse di un gigantesco Eldorado, simile ai magazzini pieni di merci da cui ognuno poteva prelevare quanto gli serviva teorizzati da Marx come esito del comunismo.

Adesso sappiamo, per triste esperienza diretta, che non è così, che ci hanno trascinato in un casinò con i tavoli truccati, ma, ancora una volta, il rimedio imposto è correre più veloci nella stessa folle direzione. Tanto, finché ce n’è, il vituperato Stato, noi tutti, paga il conto a imbroglioni, incapaci e criminali. Si chiamano mercati, inutile usare pseudonimi. E, giusto per essere chiari, su Banca Intesa qualche informazione avalutativa, come prescrisse Max Weber.  Delle circa sedici milioni di azioni ordinarie, circa il 15 per cento sono in mano a Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariplo e Cassa di Risparmio di Padova, il resto è “mercato”, cioè è posseduta dai grandi fondi speculativi esteri. E’ a costoro che il governo ha regalato due banche, caricando su di sé le perdite. Finanza vince, popolo paga. Anzi ringrazia, poiché poteva andare peggio.

Riaffiora la nota legge di Murphy, secondo la quale ciò che potrebbe andare male, ci andrà. E anche quella sulla stupidità umana, enunciata con levità dall’economista pavese Carlo Cipolla. Gli stupidi danneggiano l’intera società; gli stupidi al potere fanno più danni degli altri; gli stupidi democratici usano le elezioni per mantenere alta la percentuale di stupidi al potere; gli stupidi sono più pericolosi dei banditi perché le persone ragionevoli possono capire la logica dei banditi; i ragionevoli sono vulnerabili dagli stupidi perché generalmente vengono sorpresi dall’attacco; non riescono ad organizzare una difesa razionale perché l’attacco non ha alcuna struttura razionale. La disgrazia è che siamo guidati da stupidi manipolati da banditi. Brutti tempi, disse Re Lear, quelli in cui i pazzi guidano i ciechi. Peggiori ancora quelli in cui i pazzi fingono follia come Enrico IV ed i popoli restano ciechi e muti. Senza difese, come a Caporetto, la nostra capitale.

Un secolo fa, le risorse morali e quelle materiali della nazione, nella persona dei diciottenni chiamati alle armi, ribaltarono la situazione, ed avemmo, un anno dopo, Vittorio Veneto. Temiamo fortemente che quei capitali di sangue e volontà siano esauriti da tempo. Stiamo consumando le ultime rendite. Mancano persino i braccialetti per gli assassini, ed in fondo, è la morale più diffusa, anche gli assassini non sono così malvagi: basta che si pentano, a favore di telecamera ed in presenza di un prete ministro di misericordia.

I veri cattivi, gli autentici problemi da risolvere sono altri, come dicono sempre. Un esempio?  Accusare di associazione sovversiva un manipolo di esaltati che progettavano (progettavano…) di portare un carro armato finto in Piazza San Marco. Eversori, nemici del popolo, farabutti, assassini! Colpirne uno per educarne cento. A Caporetto Capitale usa così. Zonin, Consoli, quelli di MPS, di Carige e Banca Etruria, i mille e mille traditori delle caste d’Italia ringraziano.

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