di Roberto Dal Bosco
Il 14 maggio passato il New York Times, ossia il giornale più importante d’America, quindi – verrebbe da dire – del mondo, pubblica a sorpresa un particolare editoriale. Si intitola My Medical Choice, «La mia scelta medica». A sentire un americano pronunciare la parola choice, «scelta», un cattolico dovrebbe già cominciare a tremare, ma quello che segue è davvero imprevedibile: l’estensore dell’articolo è la celeberrima diva hollywoodiana Angelina Jolie. In quelle righe la Jolie rivela di aver subito, tre mesi prima, una doppia mastectomia preventiva: le mammelle le sono state asportate su sua richiesta, benché sane. «Ho scoperto di essere la portatrice di un gene “difettoso”, BRCA1, che incrementa molto il rischio che io sviluppi cancro al seno o alle ovaie». Seguono dettagli: come portatrice di questo gene la possibilità di ammalarsi di tumore è l’87% per il seno e il 50% per le ovaie, quindi inizierà dal seno; il seno le è già stato ricostruito (a quanto dicono, per mezzo di un allo-trapianto); l’amorevole fidanzato Brad Pitt è stato sempre con lei durante l’operazione; i costi dello screening genetico sono ancora troppo alti per permettere alle donne di fare questa scelta. Quindi l’appello finale: «scelgo di non tenere segreta la mia storia perché ci sono molte donne che non sanno che potrebbero vivere sotto l’ombra del cancro. La mia speranza è che anche loro siano testate geneticamente, e se fosse rinvenuto un grande rischio, sappiano di avere un’opzione forte» che sarebbe amputare una parte del corpo sana. Mutilazione preventiva. Per quanto possa sembrare controverso, è facile capire cosa stia succedendo: dal centro del mondo, per bocca della dea più grande dell’Olimpo di celluloide, è partito – ancora una volta – un messaggio, un ordine.
Il mondo, compresa la nostra Italia da periferia dell’Impero, recepisce.
RAI 3, domenica scorsa, ore 12.45 circa, milioni di famiglie italiane collegate mentre pranzano. Va in onda Telecamere, immortale vetrina per politici condotto dalla corpulenta Anna La Rosa. Ospite è l’on. Beatrice Lorenzin, capace e promettente giovane del PDL, ora ministro della salute nonostante le numerose critiche, forse anche strumentali, riguardo alla sua presunta incompetenza in materia (la Lorenzin ha solo il diploma di Liceo classico). Il tema di questa parte della trasmissione però esula totalmente dalla politica, e lascia stupefatti: si parla di Angelina Jolie. La conduttrice si lancia in una sperticata laudatio della Jolie, del suo «coraggio», per aver fatto del bene a molte donne dichiarando in mondovisione di essersi amputata le mammelle perché a rischio di cancro: è subito lanciato un servizio della Jolie, e la conduttrice la incensa in modo ancora più forsennato, al punto di dipingerla come una eroina mondiale. Tornati in studio, Anna La Rosa ringrazia ancora la Jolie, poi chiama da dietro le quinte una bella ragazza italiana, la fa accomodare su un trono dove, dice, non permette di sedere nemmeno ai politici: la ragazza nel 2007 si è fatta mutilare il seno perché portatrice della stessa mutazione del gene BRCA della Jolie, e come questa ha una storia di mamme e zie che hanno sviluppato il cancro al seno. La scelta della mastectomia preventiva viene descritta come giusta, irrinunciabile: come non crederle? È bella e giovane e il petto, per quanto sintetico, pare ancora bello presente. Poi ecco che da fuori scena viene chiamato un altro ospite, un distinto uomo in divisa che si accomoda, sorridentissimo. È un colonello medico dell’esercito, l’uomo che diagnosticò non il cancro, ma la possibilità di contrarlo, alla ragazza. L’idea che tutta questa questione – tagliare via parti del corpo totalmente sane, come nel medioevo – possa essere minimamente controversa non lo sfiora neppure. Lo spettatore quindi può sperare nella ministra Lorenzin, che è volitiva anima del centrodestra, pronto a perdonarle anche una uscita manichea («l’operazione va bene, ma bisogna distinguere…» etc.): macché, anche la Lorenzin, nei 30 secondi rimasti prima che chiuda la trasmissione, vola via dritta decantando la «ricerca avanzata» che il nostro Paese dimostra anche qui di saper mettere in mostra.
Insomma, lo vuole la società civile, lo vuole il governo, lo vuole la TV, lo vuole perfino l’esercito (!): quelle tette vanno tagliate.
È tragico. L’incredibile siparietto appena descritto è solo un innocuo rivolo di quello che la rivista Time ha denominato, con tanto di copertina, l’«Effetto-Angelina». E cioè, il processo emulatorio – come succede per ogni aspetto della vita di una superstar hollywoodiana – tramite il quale valanghe di donne si sono recate in clinica per richiedere una doppia mastectomia, come Angelina. L’«Effetto-Angelina» però è andato ben oltre le masse, riuscendo a colpire anche le sfere del potere politico e scientifico: William Hague, segretario agli esteri britannico, plaude alla Jolie come ad una «ispirazione per molti». L’esperto di genomica Eric Topol, famoso in USA per aver contribuito con una accesa campagna a bloccare la vendita del farmaco cardiaco Vioox, arriva a parlare dell’importanza simbolica del caso Jolie come del «momento che scatenerà in avanti la propulsione della medicina genomica».
Tutto il mondo ai piedi di Angelina. Nessuno, pare, osa dire che un organo si dovrebbe amputare quando è malato, e anche se la mutazione del gene BRCA produce l’87% di possibilità di sviluppare il tumore al seno, c’è sempre quel 13% in cui possono giocare la loro parte la corretta alimentazione, il destino, la bioenergetica, o perfino Dio, nel caso qualcuno ci creda ancora.
Allo stesso tempo, non è stata messa in luce l’aspetto più agghiacciante, omicida, dell’«Effetto-Jolie»: quanti genitori, che oramai dispongono l’aborto del proprio figlio per un labbro leporino o una deformazione del pollice, decideranno di continuare la gravidanza di una bambina portatrice di questa mutazione del gene BRCA?
Il gene BRCA, della cui mutazione ipoteticamente “cancerogena” la Jolie sarebbe portatrice, era sotto il brevetto della multinazione biotech Myriad Genetics, per cui il test genetico era venduto a caro prezzo (circa 3.000 dollari). Avendo stabilito la Corte Suprema USA lo scorso 13 giugno che un gene non è brevettabile, il prezzo del test crollerà, garantendo il feticidio di milioni di simili della Jolie, la cui unica sfortuna è nascere con la possibilità di contrarre il cancro.
Molti segni portano a considerare che il possibile genocidio dei feti affetti dalla mutazione del gene sia un effetto calcolato dalla Jolie: tutto nella sua biografia lo lascia pensare: dall’idea mutante che ha della famiglia, al suo spregiudicato uso di modificazioni chirurgiche, all’affiliazione all’ente feticida chiamato Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. L’ente dove lavorava anche il Presidente della Camera Laura Boldrini, che distribuiva nei campi profughi i kit abortivi per assicurare alle rifugiate la «salute riproduttiva»
Anche questo segna un nuovo capitolo oscuro nella vita della popolarissima attrice, che – annaffiata dai miliardi di Hollywood come da quelli dell’ONU – di queste dinamiche di morte non pare del tutto inconsapevole. Anzi, appare in tutto e per tutto cosciente vettore della Cultura della Morte. Lo Jolie, paradigma vivente di sfida alla legge naturale, non è esattamente l’ultima arrivata.
Qui entriamo nel cuore nero del caso Jolie: il transumanismo da lei emanato, consapevole ed oltranzista, è evidente in tanti aspetti dell’operato della diva, la quale – ricordiamolo – è un prodotto che assomma la cifra di Hollywood a quella dell’ONU. Angelina, come noto, è stata Goodwill Ambassador dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, atterrando ovunque a mostrare il cruccio sul suo viso iper-chirurgico, mentre abbraccia un bambino africano o redarguisce le autorità italiane nella Lampedusa degli sbarchi clandestini..
L’aborto, lo sappiamo bene, non è visto come un male dalle Nazioni Unite, anzi, un diritto alla «salute riproduttiva», del quale far godere anche le popolazioni più sfortunate, come i rifugiati: la presidentessa della Camera Boldrini, vecchia «collega» della Jolie, si occupava appunto di diffondere tra le profughe kit abortivi.
Non solo la sua affiliazione all’ONU fa presagire la caratura problematica di questo diva oscura. Non c’è un singolo tabù che la Jolie non abbia percorso: dall’odio per il padre John Voight, alle voci di incesto con il fratello, al rapporto lesbico con l’attrice Jenny Shimizu, alle voci più fantasiose che ha certo volutamente alimentato (come quella per cui berrebbe il sangue).
La famiglia è però l’istituzione che la Jolie ha sistematicamente attaccato nel concreto: innamorata della Cambogia, si porta via da lì un bambino locale e lo rende figlio adottivo, anche se in pratica all’epoca era una donna sola. Poi, sempre più desiderosa di emulare una pubblicità di Benetton, adotta un’infante etiope. C’è il figlio asiatico, c’è la figlia nera: manca il bambino biondo: ecco che nel 2004 la Jolie – sempre donna sola, all’epoca – vola ad un orfanotrofio di Mosca per scegliersi l’orfanello ariano. A bloccare questa oscena raccolta di figurine è solo l’imbufalito intervento in parlamento russo del partito di Zhironovsky, che fa negare l’adozione. La diva mica si scoraggia: nel 2007 si rifà con un trovatello vietnamita.
Ma la cavalcata anti-familista della Jolie non si ferma: dolente prodotto dichiarato di una famiglia distrutta dall’infedeltà del padre, diventa lei stessa una homewrecker («sfasciafamiglie») quando non ci pensa un secondo a distruggere il matrimonio del bel Brad Pitt con la collega Jennifer Aniston. Con Pitt, che ovviamente non ha ancora sposato, la nostra decide di esperire la gravidanza, prendendo in ostaggio (di persone con un simile potere stiamo parlando) un intero Paese, la Namibia, che viene chiusa a giornalisti e curiosi, per dare alla luce – con parto cesareo, ça va sans dire – la figlia della super-coppia Shiloh Nouvel. Nel 2008, nella più comoda Francia, altro cesareo per gli ultimi arrivati, Knox Léon e Vivienne Marcheline, gemelli eterozigoti: se siano stati concepiti naturalmente (raro, ma possibile) o siano un prodotto di fecondazione in vitro non è detto, ma la Jolie, come abbiamo visto, certe remore proprio non le ha.
In numerose foto dei red carpet di anteprime, Festival etc., la Jolie pare mostruosamente magra, le vene e le ossa di braccia e gambe orrendamente in vista. Qualcuno sostiene che possa trattarsi di eccesso di jogging e dieta, altri ipotizzano somministrazione di costosissime fialette di GH, l’ormone della crescita ora in uso fitness presso gli abbienti. Comprendiamo che il corpo, per Angelina, sia un insieme di elementi sostituibili, un supporto modificabile a piacimento, dove la Natura è cancellata, la distinzione tra l’organico e l’inorganico (parte della sua protesi mammaria) è cancellata… chi la ricorda, nel 1992, giovanissima e sensuale, nel brutto videoclip «Alta Marea» di Antonello Venditti (incredibilmente, è lo scimmiesco cantante romano il primo vero scopritore della Jolie) non può che notare come la chirurgia plastica ne abbia sconvolto le fattezze.
Può stupire dunque che abbia già dichiarato che intende sottoporsi anche a ovariectomia: si asporterà l’utero, poiché, a quanto dice, la sfortunata diva ha il 50% di possibilità che questo generi il cancro.
Insomma, in tutto e per tutto, la Jolie è un esempio vivente di cultura transumanista: il corpo come insieme di parti intercambiabili, la vita si può estendere indefinitamente, ognuno decide della propria vita e della propria morte come ritiene, secondo le possibilità tecnologiche della propria epoca. Angelina Jolie è un manifesto umanoide.
Di più: la Jolie è uno dei più evidenti, internazionali, pericolosi vettori di determinati grandi potentati mondiali. Nemica acerrima della famiglia naturale, è fautrice di un finto terzomondismo che in realtà è sotterraneamente sempre in linea con gli interessi USA – ogni suo film è geopolitcamente significante: in Salt si attacca la Russia per i suoi rinnovati sogni di potenza, in Beyond Borders la si pizzica per la Cecenia, nel suo debutto alla regia In the Land of Blood and Honey il bersaglio è la Serbia, in Un cuore grande si mette alla berlina il Pakistan per i rapporti coi talebani. Al contempo, la nostra eroina è attiva propalatrice del mito caritatevole e peloso dell’ONU, venduto come ente benevolo a prescindere, il cui operato rappresenta senza possibilità di dubbio il bene per l’umanità..
La Jolie è una figura geopoliticamente schierata in un preciso disegno.
La riprova è in questi giorni nelle sale cinematografiche. Brad Pitt, il compagno della Jolie, sbanca il botteghino con il kolossal d’azione «World War Z», ennesimo film a base di zombie. Nel plot, un’epidemia di Zombie mette in ginocchio il mondo. Chi risolve la situazione e salva l’umanità? Semplice, l’agente dell’ONU Brad Pitt, aiutato ovviamente dall’esercito americano.
Al lettore lascio di tirare le conclusioni su cosa questo possa implicare nell’immaginario collettivo.
Certo è che dobbiamo iniziare a prendere sul serio quanto fa la Jolie, perché non ci troviamo davanti ad una innocua divetta capricciosa.
Angelina Jolie è – forse non solo simbolicamente – una alta sacerdotessa di vaste forze oscure.