L’elegante articolista della Repubblica ha vomitato un elaborato grumo di insulti sui “Fratelli d’Italia” colpevoli di avere organizzato la raccolta di firme contro la svendita sottocosto della cittadinanza italiana. Svendita che ha la sua ragion d’essere: se lo stato è in amministrazione controllata, la nazione deve morire e il popolo va sostituito in modo rapido e possibilmente incruento, è ovvio che anche la trovata della cittadinanza a prezzi stracciati aiuta.
Il tempo stringe e gli italiani vanno annientati prima che, in un rigurgito di orgoglio e di virilità, magari si rimettano a fare figli, o soprattutto, risvegliati finalmente dallo stato di semincoscienza, comincino inferociti ad alzare muri, dighe, barriere coralline e altre strutture difensive ben munite di offendicula, facendo rifluire la marea che ora viene spinta a forza verso le nostre coste o fatta risalire dalle frontiere orientali. Dunque ogni tentativo di opposizione va sventato: la resistenza, oggi, deve essere annichilita anche con l’insulto.
Si è parlato spesso su queste pagine di come l’esodo sia organizzato dall’interno e dall’esterno. E non occorre tornare adesso sulla macchina messa a punto per la sovversione antropologica, sociale, politica e religiosa e culturale di una comunità forgiata da secoli di storia come la nostra.Invece si parla ancora troppo poco dell’apparato per così dire ideologico, che sostiene proprio in Italia quel piano eversivo elaborato altrove. Anche se è forse fuori luogo parlare di ideologia, che in sé può anche essere una cosa seria, mentre in questo apparato di serio non c’è proprio nulla, come non c’è nulla di sensato. Del resto esso si avvale della nuova alleanza tra un laicismo diventato d’incanto clericale e una chiesa diventata agenzia politica laicista. E le unioni contro natura, si sa, generano mostri. Ne è nata tutta una logica distorta, che confonde il sacro col profano, il pubblico col privato, la ragione col miocardio, confonde le menti e spegne la capacità di reazione, falsando la realtà.
Perciò bisogna ricondurre tutto il discorso all’unico dato veramente essenziale, e che dovrebbe apparire chiarissimo a tutti: l’immigrazione è un fenomeno che riguarda anzitutto l’interesse pubblico. Non per nulla è disciplinata dal diritto pubblico che serve l’interesse collettivo. Di qui vengono anche le leggi che regolano dappertutto l’acquisto della cittadinanza, il primo dei veri diritti civili, che nulla hanno a che fare con quelli chiamati tali ad arte dalla macchina che manipola le coscienze manipolando le parole.
Le leggi dello stato sanciscono l’inviolabilità dei confini come garantiscono al privato l’inviolabilità del domicilio, e la difesa del diritto di proprietà. La stessa rimozione fisica delle barriere confinarie all’interno dell’area comunitaria europea non tocca di certo le altre, invisibili, che pure delimitano le diverse nazionalità. Insomma, la immigrazione clandestina è sanzionata da sempre perché viola un interesse fondamentale di quanti, nati e stanziati in una terra delegano allo stato la difesa e l’amministrazione della casa comune.
Questa norma di ordinata convivenza è tanto ovvia che occorreva offuscarla con una nube di parole truffaldine, di problemi falsificati e di idee fasulle. Ne è nato un vero e proprio repertorio, un vademecum per ogni demolitore di confini che si rispetti e che si può rileggere per sommi capi. Il vademecum stabilisce anzitutto il principio che il trasferimento di masse africane verso l’Italia è un fenomeno ineludibile e irreversibile, contro cui è vano agitarsi. Non per nulla si usa l’immagine del flusso migratorio, discendente e perpetuo come l’acqua che corre verso il mare. Così esso riceve anche la giusta consacrazione giuridica nella sfera iperuranica dei diritti umani.
Emigrare è un diritto che l’uomo ha conquistato per sé guardando alle anguille, e che dunque va rispettato perché ha a che fare con le leggi della natura. Anche se l’analogia vale soltanto per il viaggio di andata. Una volta consacrato il diritto di emigrare, cioè di fluire liberamente, ad esso dovrebbe corrispondere l’obbligo della rispettiva autorità di non impedire l’espatrio. Come accadeva a chi, volendo emigrare da Berlino est, doveva buttarsi nella Sprea e raggiungere a nuoto la sponda opposta prima di essere centrato da una scarica di mitra. Ora invece la prospettiva è stata rovesciata, e al diritto di emigrare da un posto che non ci piace corrisponde non l’obbligo di consentire l’espatrio, ma quello della accoglienza indiscriminata da parte del fortunato paese prescelto dal migrante.
In altre parole, secondo questa nuova prospettiva, al mio diritto di emigrare in Svizzera deve corrispondere l’obbligo incondizionato del governo elvetico di farmi entrare, per farmi poi diventare, di lì a poco, cittadino svizzero. La cosa presenta indubbiamente dei vantaggi. Ad esempio, quando l’invasione dall’Africa avrà reso più difficile la coabitazione, magari per banali motivi di spazio, gli italiani potranno accomodarsi tranquillamente in Svizzera, anche senza prendere il catamarano.
Ma il motivo sostanziale, non burocratico, per cui un governo illuminato non pone ostacoli all’immigrazione via mare, sta nel fatto che gli ostacoli causano il naufragio, o se si vuole che il naufragio è conseguenza diretta di quelli. Sicché, se aboliamo ogni ostacolo, eliminiamo il pericolo di naufragio. Che è come dire: il diritto di circolare liberamente include quello di poter scavalcare un cancello e, siccome scavalcando i cancelli spesso ci si fa molto male, occorre togliere i cancelli, perché la difesa della proprietà privata, oltre a ledere la altrui libertà di locomozione, risulta molto pericolosa.
La forza possente del ragionamento ha sedotto persino gli oppositori dell’immigrazione, i quali sono giunti alla conclusione che bisogna impedire la migrazione per evitare i naufragi. Così, fautori e oppositori si trovano tutti d’accordo nel confondere le cause con gli effetti. E tutti, almeno in questo, possono vantare il medesimo grado di sensibilità umanitaria. Così il regista alla moda, pronto per la prima della Scala, compreso nell’alto dovere civile ed estetico di attualizzare la tragedia antica, perché “Euripide scriveva per i contemporanei” (sic!), al teatro di Siracusa immerge attori e coro nell’acqua fino al ginocchio a simboleggiare la mistica liquidità del porto aperto. Anche perché lo stesso Euripide, “che era un genio pazzesco” (sic!), ha previsto naufragi e porti chiusi.
Lo spettatore, scosso da tanta profondità, applaude. Con la stessa intensità morale e speculativa, altri signori tengono alto il tasso di rincretinimento collettivo dagli schermi televisivi, in parlamento o dalle cattedre episcopali e dagli aerei in volo, salgono sulle navi umanitarie, scrivono su Repubblica, tengono sofferte prolusioni accademiche, tirando anche in ballo la legge sacra dell’ospitalità e il rispetto per lo straniero, che stanno all’immigrazione clandestina come l’istruzione sta a Fioramonti. Tuttavia, anche se retto da una logica ferrea, il motivo del naufragio offre solo una giustificazione contingente. Invece l’obbligo morale di “accoglienza” da parte degli italiani poggia stabilmente su tre fattori imprescindibili: la colpa storica, la colpa antropologica, la colpa economica, tutte intrecciate e da espiare raggiungendo il traguardo del meticciato che. per la prima volta, quando Kalergi era ancora poco noto, fu vagheggiato da un lungimirante arcivescovo di Milano.
La colpa storica dell’Italia deriva dalle navi negriere americane, e dalle deportazioni degli africani nelle colonie francesi. Così, dopo avere pianto per tanti anni sulle deportazioni dall’Africa, ora si piange sugli ostacoli posti dai malintenzionati alla nuova deportazione filantropica. E se prima si sono sradicati delittuosamente gli africani dalle loro terre per bassi motivi economici, ora si ha il dovere morale di sradicarli in nome dei diritti umani che fanno almeno da paravento ai motivi economici altrui. Questione di stile. Tuttavia, ad essere onesti, non possiamo dimenticare il moretto smaltato messo a reggere le luci nell’ingresso di tante case perbene e perfino di palazzi aristocratici. Una trovata razzista ante litteram, che soltanto l’eterno prestigio concesso al Moro di Venezia, da Shakespeare a Gardini, passando per Giuseppe Verdi, ha potuto riscattare nel tempo.
Ecco dunque come alla coscienza infelice dell’Italia boldriniana si presenta anche il fantasma onnipresente del diverso, dal quale siamo afflitti ormai quotidianamente, perché connesso con quello strettamente razziale che gli americani hanno esorcizzato con successo sostituendo al negro il colorato. Insomma, una volta stabilita la colpa storica, va brandito il pregiudizio razziale, detto icasticamente razzismo. E si passa dalla psicanalisi alla critica del giudizio.
Qui il ragionamento si fa ancora più sofisticato. Come si sa bene, in nome della superiorità razziale sono stati fatti sfracelli. Eppure tutto poggiava su una premessa impossibile perché le razze non esistono, se esistono sono uguali, e se non sono uguali devono diventarlo. Stando così le cose, facendo largo agli africani si fa largo ai propri uguali che, avendo il diritto di emigrare e la sfortuna di naufragare, debbono essere collocati nel territorio che per ragioni di logica cosmopolita è naturalmente anche il loro. A chi avanza ancora ottusamente qualche dubbio sulla mancanza delle differenze e sulla compatibilità tra diversi, occorre spiegare che ogni differenza e ogni eventuale incompatibilità verrà appianata in via quantitativa quando qualche centinaio di milioni di africani assorbiranno facilmente gli italiani residui nella nuova grande razza meticcia, questa veramente superiore a tutte le altre che, del resto, non esistono e dunque non contano, e se esistono, ancora una volta vanno eliminate. Prima di tutte quella bianca, perché inferiore. Chi non riesce ad abbracciare e fare proprio questo quadro grandioso che può esaltare giustamente solo quelli dotati di grandezza morale e intellettuale, sulla scia della guida spirituale che ci guida dai giardini vaticani, è destinato ad essere gettato nella pattumiera della storia.
Ecco dunque le buone ragioni per cui, ora che il progetto sostitutivo ha di nuovo il vento in poppa e l’ultima trovata boldriniana può accelerarne efficacemente la realizzazione, l’indomita Meloni e i suoi accoliti vanno fermati democraticamente, anche con l’insulto. Rozzi, ignoranti e violenti sono solo capaci di difendere l’identità di un popolo al quale il mondo sinistro di Repubblica e affini giustamente non appartiene.
4 commenti su “Anatomia del pensiero evoluto”
Ma tanto ormai ci sarà presto LA FINE DEI TEMPI; N. S. GESU’ CRISTO sta per ritornare sulla terra come giusto giudice…..si vedono tutti i segni da moltissimo tempo;
non mancherà ancora molto e le cose terrene passeranno, buone o cattive che siano.
Preghiamo per la Sua venuta (“Venga il Tuo regno…”) ed attendiamo fiduciosi…..il male ed il demonio hanno ormai i giorni contati per prosperare.
Che Dio salvi l’Italia e la Sua santa Chiesa!
Il fatto strabiliante è l’autolesionismo dei fautori delle porte aperte all’immigrazione. Le passioni, ancor prima dell’interesse (presunto), giocano brutti scherzi.
Il piano distruttivo e criminale viene attuato con una energia e una protervia da lasciare allibiti. La nostra inerzia ricadrà sui nostri figli. Grazie alla dott.ssa Fermani e a Ricognizioni per questo po’ di verità e di luce (almeno quello).
Marco Boggia: “La nostra inerzia ricadrà su i nostri figli”.
Come su di noi, signor Boggia, ricade quella dei nostri genitori!