La vicinanza del Natale dovrebbe stimolare la riflessione, indurre ai bilanci, fermare la corsa insensata del presente e soffermarsi, prendere fiato, guardare indietro per poi proseguire il cammino. Quest’anno più di quelli passati ci mette di fronte a noi stessi. È stato l’anno del virus, dei contagi, di un cambiamento repentino e straordinario nel modo di vivere, di essere. Se il mestiere di vivere si imparasse, il tempo del virus dovrebbe essere l’università. Non è così: più di sempre, guardiamo soltanto a noi stessi, alla nostra pellaccia, nel chiuso di casa, nascosti dalla mascherina, in attesa dell’ennesimo bollettino sanitario, verso sera.
È stato, ahimè, l’anno in cui ci ha lasciato una generazione intera, quella che ci ha insegnato a vivere. La gran parte dei morti del maledetto coronavirus sono i nostri genitori e i nostri nonni. Almeno a Natale, almeno da parte di chi ha ancora un cuore e un’anima, vogliamo ricordarli, salutarli, dire loro grazie e chiedere scusa. Grazie per averci accompagnati, sostenuti, educati, grazie per esserci stati, grazie per averci insegnato dei principi e aver dato l’esempio, con semplicità. Idee senza parole, trasmesse quotidianamente, che in gran parte abbiamo disperso. Ecco il primo motivo per chiedere scusa: non siamo stati, non siamo e ancor meno saremo alla vostra altezza. Per di più, con tutta la nostra scienza, tutta la nostra retorica buonista, vi abbiamo lasciato morire soli. Negli ospizi che chiamiamo pudicamente RSA, residenze sanitarie assistite, negli ospedali, nelle case, troppi si sono spenti in solitudine, decine di migliaia di vite si sono chiuse senza il conforto di una mano amica, privati del volto di figli, coniugi, fratelli e nipoti.
Nessun “conforto religioso”, come recitano i necrologi sui muri delle città, spesso senza un funerale, per molti neppure una degna sepoltura. Fosse comuni e la sinistra sensazione, per chi mantiene il senso dell’umana civiltà, che sia stato raggiunto il punto di non ritorno. Così scriveva G.B. Vico nella Scienza Nuova: “Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti; né tra nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più consacrate solennità che religioni, matrimoni e sepolture. (…) Che da queste tre cose incominciò appo tutte l’umanità, e per ciò si debbano santissimamente custodire da tutte perché ‘l mondo non s’infierisca e si rinselvi di nuovo”.
A chi ha occhi per vedere, il 2020, tempo del Covid 19, sembra l’inveramento del timore del grande napoletano. Il mondo “si infierisce e si rinselva”, ovvero regredisce rapidamente alla ferocia egoista dell’uomo homini lupus. La religione arretra, il rispetto per i morti finisce e il matrimonio è un contratto privato revocabile da cui è assente il progetto di alleanza tra sessi e generazioni, la riproduzione biologica e civile della società.
Se ne è andata soffrendo in solitudine l’ultima generazione che visse ricevendo una tradizione e trasmettendola ai figli. Scusa, scusa davvero, anonimo morto nel 2020, se non abbiamo avuto rispetto per te, se non ti abbiamo tenuto la mano, chiuso gli occhi, sepolto con il rispetto che meritavi. Abbiamo perfino lasciato che tanti, tantissimi, morissero convinti di essere abbandonati. Le ultime figure umane che hanno visto sono state le sagome simili a palombari di medici e infermieri intabarrati nei dispositivi di protezione.
A queste vittime chi scrive dedica un’omelia del suo vecchio parroco, tanti anni fa, in occasione della festa di Ognissanti, non ancora decaduta a Halloween. Don Adolfo Bellani ricordò non gli eroi della Chiesa, i santi del calendario, Francesco, Chiara o Antonio, ma i suoi genitori. Gente di paese che aveva mandato avanti la famiglia, trasmesso il valore dell’onestà, del sacrificio, del lavoro. Ci hanno insegnato il mestiere di vivere, ma noi abbiamo rifiutato l’eredità.
Questo è il triste significato delle morti solitarie e lontane mentre da ogni parte si leva il desiderio di dominare non solo la vita, ma anche la morte. Che cosa sono, se non volontà di onnipotenza, l’eutanasia e il suicidio assistito, che affermano di restituire dignità alla morte? E’ in corso – e il virus dovrebbe farcelo notare con forza speciale – una terribile rottura morale, anzi antropologica, esistenziale. Cambiano i fini dello Stato e della stessa comunità: da difendere la vita si passa a essere responsabili della morte inflitta.
Nell’anno che sta terminando è mancato un accompagnamento integrale – sanitario ma anche etico e spirituale – al dolore e alla fine. Segno di una involuzione profonda, che proprio gli anziani morti di Covid riconoscevano e dalla quale ci mettevano in guardia con il loro attaccamento ai valori in cui vissero tante generazioni. Siamo più soli, senza di loro. Perdiamo i punti di riferimento e diventiamo più poveri. Nelle generazioni falciate dal virus non c’erano né veline né sardine, ma uomini e donne che hanno compiuto il loro dovere. Ricordiamo un insegnamento di un inverno lontano, in un mattino nevoso. Non volevamo andare a scuola, ma c’erano gli esempi silenziosi di papà, tornato dal lavoro notturno impegnato a spalare la neve e della mamma che lo aiutava.
La generazione di anziani falciata dal Covid è l’ultima di quelle che hanno fatto grande l’Italia e trasmesso un benessere che non fu mai povertà morale, generosamente offerto a noi che sprechiamo il lascito ogni giorno. Hanno piantato alberi per un’altra generazione, come chiedeva Cicerone, hanno lavorato e vissuto più per i figli che per se stessi. Noi, quegli alberi li stiamo strappando a uno ad uno con tutte le radici per sostituirli con surrogati artificiali, la corsa del piacere, della carriera, un ridicolo progresso in cui chiamiamo civiltà ogni distruzione dell’eredità ricevuta dal sangue del nostro sangue.
Avevano ancora il senso dell’onore, del decoro e della sobrietà, quei vecchi a cui non abbiamo neppure detto addio. Abbiamo spezzato il filo e non abbiamo nulla da trasmettere ai pochi figli nostri. Neppure il senso della vergogna, la colpa di averli abbandonati dopo averne disperso i principi. A noi capiterà lo stesso: è il giusto testamento della generazione dei colti, degli “esperti”, dei civilizzati, di quelli che si sono emancipati dall’ignoranza dei padri e liberati dalle loro idee e modi di vita. Noi toglieremo il disturbo disperatamente, con un’iniezione in ambiente sterilizzato, dopo aver pagato il ticket. Loro insegnavano il mestiere di vivere, noi quello di morire. Riposino in pace, i vecchi eliminati dal virus, per la gioia dell’INPS e delle spesa sanitaria. La loro vita non fu una statistica, come è diventata la loro morte. Ci sarà un vaccino contro l’indifferenza?
5 commenti su “Addio a chi ci ha insegnato a vivere”
Mia madre mi ha insegnato che le libertà di contraccezione, aborto, divorzio, suicidio assistito ed orientamento sessuale sono conquiste di civiltà. Mio padre non mi ha insegnato nemmeno quello. Non perché non lo credesse, anzi, ma perché non aveva tempo per parlare: doveva lavorare.
Ad ottobre ho letto nei loro occhi il terrore di non riuscire a fare il vaccino antinfluenzale, ma alla fine ce l’hanno fatta. Poi, in farmacia hanno acquistato il vaccino antipolmonite: se non glielo farà il medico se lo faranno loro.
Trascorrono 5 ore al giorno tra la lettura dei quotidiani ( La Stampa ed il Corriere della sera) e la televisione, ognuno per conto proprio.
Hanno entrambi già programmato, alla fine dei loro giorni, di mettere in una scatoletta le ceneri della loro bara (vabbè, si chiama cremazione). Potrei continuare, ma basta così.
I miei genitori hanno 80 anni. Non so a chi il signor Pecchioli intenda riferirsi, ma di certo non a loro.
Caro Pinco, sono profondamente addolorato da quanto descrivi, comprendo i tuoi sentimenti, spero allora che tu abbia seguito con i tuoi figli un percorso diverso… Buon Natale
Aborto, divorzio, suicidio assistito non sono conquiste di civiltà ma modi per fare uccidere qualcosa : un bambino, la pace propria e dei figli e la promessa di felicità data il giorno del matrimonio ed infranta, e infine se stessi e i legami con chi ci vorrebbe ancora vivi. Se Einstein, Bocelli , ma anche Luigi, Massimo e….Pinco sono nati è perché allora non c’era l’aborto.
Questi vecchi ci hanno insegnato che tra due strade, quella del sacrificio a portare avanti una nuova vita difficile o un matrimonio in crisi e quella di uccidere , loro hanno scelto la via più ardua…ma la società in cui hanno vissuto era più felice di quella di oggi, dove non mancano l’infelicità e il rimorso di chi ha abortito ( sindrome postabortiva) e quella di chi vede i genitori bisticciare e li vede a settimane alterne.
la generazione dei nati negli anni ’30 è la generazione di passaggio, a metà tra l’ultima generazione cresciuta umanamente e cristianamente – quella degli anni ’20, di mio nonno buon’anima – e la prima generazione della dissoluzione, quella degli anni ’40. Temo che la mia generazione, quella dei millennials, nati tra gli ’80 e i ’90, sia l’ultima generazione a conoscere i nonni e soprattutto le nonne! Le nonne, chi nasce oggi rischia di non avere nemmeno idea di cosa fossero; chi nascerà nei prossimi anni, estinta la generazione degli anni ’20 e primi ’30, le potrà conoscere solo dai racconti nostri e dai film, e come “nonna” rischierà spesso di avere vecchie laide sessantottarde o anziane donne in carriera imbruttite, o ancora divorziate emancipate conviventi, femministe, ecc. Sarà sempre più raro conoscere le nonne. Basterebbe questa triste constatazione per rendersi conto del cambio d’epoca, della fine di una umanità e di una civiltà
La maggior parte delle persone ormai è schiava del dio denaro, tutti hanno paura più di vivere che di morire quasi come se non ci fosse più un futuro per chi rimane, “maledetto l’uomo che confida nell’uomo” verremo trascinati a fondo lentamente tutti assieme, saremo pochissimi quelli che si salveranno, hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non sentono, onore e gloria al Signore Gesù e a DIO Onnipotente.
Ottime riflessioni ma sembra di predicare al vento Signor Pecchioli.