RECENSIONI

A destra per caso

 di Carlo Gambescia e Nicola Vacca. Edizioni il Foglio di Piombino (LI), collana “Saggi”; pp. 90, euro 10,00

 http://www.ilfoglioletterario.it/catalogo_saggi_a_destra_per_caso.htm

“La rivolta” (1911), tela dai colori sgargianti del futurista Luigi Russolo, avvolge la prima e la quarta di copertina con un piacevole effetto visivo. Evidente l’intento corsaro e provocatorio del libro. Si tratta infatti, di una vera e propria scorribanda in stile futurista tra gli autori e le idee della destra italiana, romana e fiorentina soprattutto. Gli autori, Carlo Gambescia e Nicola Vacca, un sociologo il primo, un giornalista-scrittore il secondo, dichiarano fin dal titolo e apertis verbis l’accidentalità della loro militanza “a destra”. Una dichiarazione che forse era necessaria, considerando lo squallido panorama politico del momento. Ma non si tratta naturalmente solo di una proclamazione di autonomia e indipendenza intellettuale o di una presa di distanza da un’ambiente che è divenuto sempre più l’ombra di se stesso, si è anche voluto dare alla destra che fu, il giusto riconoscimento che merita, sia in termini di azione politica che di ideazione progettuale e culturale. E ai meriti riconosciuti oggettivamente, si aggiunge la stima e il rispetto per talune personalità di quel mondo dall’indiscutibile valore umano.

La destra italiana dunque nelle sue luci e nelle sue ombre.

Ma nel libro che stiamo esaminando non c’è solo questo -che già sarebbe abbastanza. C’è anche un giudizio storico sul Fascismo e sulle sue diverse anime; ci sono valutazioni sulle vicende interne del MSI-DN; ci sono ritratti vivi di alcune delle personalità più interessanti di quel mondo, ma anche ritratti impietosi e senza sconti di altre, nate bene ma finite assai male, magari per opportunismo e a volte anche per veri e propri “disturbi della personalità”. Lasciamo comunque alla curiosità dei lettori il piacere o il dispiacere di andarseli a leggere.

Diciamo invece qualcosa dei due autori e sulla loro casuale convergenza a destra.

Di Carlo Gambescia abbiamo già parlato, anche dalle pagine di questo blog e chi ci segue è ormai informato che il nostro gode della nostra più sincera stima, sia in termini umani che intellettuali, e che lo consideriamo un amico. Gambescia è professionalmente un sociologo; ha al suo attivo una decina di volumi oltre a numerose collaborazioni con riviste italiane e straniere e proviene dal cattolicesimo sociale e liberale. Il suo incontro con la Destra risale agli anni ottanta. Per caso, appunto, mise piede nella storica libreria Europa di Enzo Cipriano, allora situata in Via Pietro Cavallini, alquanto vicino alle Mura Vaticane. Fu spulciando tra le numerose testate di area, che il nostro si imbatté nel mensile fiorentino “Diorama Letterario”, diretto da un allora giovane trentenne Marco Tarchi. Per chi non lo sappia o non lo ricordi, diciamo che si trattava di una rivista di recensioni librarie e di un laboratorio di idee che si ispiravano in realtà assai liberamente e senza dogmatismi all’opera e al pensiero di Alain de Benoist. Quest’ultimo aveva fondato in Francia un movimento politico-culturale denominato Nouvelle Droite (Nuova Destra) a cui anche Tarchi e il suo gruppo di giovani intellettuali di rango si rifacevano apertamente. Tra Tarchi e Gambescia nacque così un’amicizia e in breve tempo il nostro si unì alla redazione di “Diorama”. L’articolo di esordio fu una scheda di presentazione del sociologo russo-americano Pitirim A. Sorokin. Di lì a qualche anno Gambescia sarebbe anche diventato direttore editoriale delle edizioni Settimo Sigillo di Enzo Cipriano.

La vicenda di Nicola Vacca è invece alquanto diversa. Vacca proveniva dal socialismo liberale e riformista, ed era un giornalista professionista, uno scrittore, un’opinionista, un critico letterario. Dopo la chiusura dell’Avanti! e la profonda crisi del PSI, Vacca era alla ricerca di una collocazione ideale. In qualità di giornalista parlamentare per il “Giornale d’Italia”, conobbe nel ’98 Gennaro Malgieri, allora alla direzione del “Secolo d’Italia”, che gli offrì la conduzione di una rubrica sulla pagina culturale del quotidiano. Vacca accettò e visse da protagonista quello che si può considerare sotto il profilo culturale, il periodo storico più bello ed entusiasmante di quella testata.

Queste in breve sintesi le vicende e i profili dei nostri due interlocutori “a destra per caso”.

Il racconto-intervista parte rievocando questi “esordi”, ricordando le tante personalità conosciute, incontrate, ammirate, amate. Ivo Laghi, “persona rigorosa e umanamente splendida”; Giano Accame, “un vero intellettuale”, “ricco di candore e di umiltà verso le idee altrui”; Enzo Cipriano, scomodo, indipendente e in splendida solitudine nel suo avamposto culturale, “baldante come Falstaff”; Enzo Erra, “uomo coltissimo”, “lettore attento di Evola e Steiner”; Marco Tarchi, “una delle migliori persone che io abbia mai conosciuto” (Gambescia).

Le dolenti note vengono dopo, soprattutto nei capitoli che seguono e i cui titoli ci rendono subito edotti sulla fatale deriva della cultura di destra e soprattutto di quelli che da molti erano ritenuti i suoi più degni rappresentanti: “La Destra nuova”, “Cerchiobbotismo e dintorni”, “I collaborazionisti del nulla”, “La destra che non c’è”.

Nessuno dei nomi che contano vengono taciuti e i giudizi, per quanto taglienti, colgono sempre perfettamente nel segno. Alla fine degli anni novanta entriamo a pieno regime nella fase dell’omologazione servile, della politica senz’anima, della mistificazione, dell’involuzione e dell’insignificanza. “Addio dibattito e approfondimento, avanti argomenti glamour” (Vacca, p. 42).

Su questa “Destra nuova”, nata già vecchia -staremmo per dire: nata postuma- i nostri due autori si soffermano nelle ultime pagine in una intellettualmente onesta e spietata requisitoria. Alla fine sembra non esserci più spazio per la speranza: “il pensiero della politica è nelle mani dei mercenari delle idee”, “dei peggiori”. Così Vacca (p. 88). E Gambescia di rincalzo: “Il guaio è che i peggiori lo sanno. E ci contano”.

Ma se le cose stanno così, e non c’è che da riconoscerlo onestamente, allora che senso ha oggi continuare a stare a destra? Se lo chiedono i due autori che dal “centro della destra” vorrebbero ora allontanarsi per magari ritornare alle rispettive “case” di provenienza. Ma il problema è che le “case” da cui partirono non ci sono più. E allora? E allora, meglio darsi “alla macchia”, anzi meglio, “passare al bosco”, varcare con le proprie forze il “meridiano zero”. Come il “Ribelle” di Jünger. Come l’ultimo indimenticabile Giano Accame, ricordato con riconoscenti e commosse parole anche dai nostri due autori di “A destra per caso”.

Aldo La Fata

(Fonte: il Corriere Metapolitico)
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