di Corrado Gnerre (*)
Il libro del professor Roberto de Mattei sul Concilio Vaticano II e i successivi dibattiti che si sono aperti dalla pubblicazione mi spingono a fare alcune riflessioni.
Non entro nel merito del libro e quindi anche nella questione interpretativa del Vaticano II a cui ho già dedicato un articolo pubblicato su Il Settimanale di Padre Pio. Voglio invece concentrarmi sul rapporto tra tre elementi importanti per derimere una questione fondamentale, ovvero il rapporto tra Scrittura, Tradizione e Magistero.
Giustamente si è detto che la dottrina cattolica afferma che mentre la Scrittura e la Tradizione costituiscono regole remote della Fede, il Magistero vivente ne costituisce invece regola prossima. Tale affermazione è assolutamente vera e quindi non può essere affatto contestata. Va però detto che essa ha bisogno della necessaria conoscenza di cinque presupposti:
1.Il Magistero esiste perché esiste la Tradizione.
2.Il Magistero deve rendere “viva” la Tradizione.
3.Il Magistero è giudicato dalla Tradizione, quindi non la può contraddire.
4.Il Magistero non può contraddire se stesso.
5.Il Magistero non necessariamente rende più chiara la Tradizione e il Magistero precedente.
Il Magistero esiste perché esiste la Tradizione
Mentre il protestantesimo afferma che solo la Scrittura è la fonte della Rivelazione, il Cattolicesimo ha invece sempre affermato che le fonti della Rivelazione sono due: la Scrittura e la Tradizione; laddove però il rapporto non è paritario, nel senso che la Tradizione è giudice della Scrittura. Fu propria la Tradizione espressa dal primo Magistero a decidere quali testi dovessero essere inclusi nel canone. Una palese contraddizione di Lutero è quella di negare valore alla Tradizione e al Magistero e poi di accettarne i frutti. Infatti, anch’egli riconosce che i vangeli canonici sono solo quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Ora tutto questo fa chiaramente capire che se esiste il Magistero esiste proprio perché è riconosciuta la Tradizione. Si sa che ciò che contengono i vangeli è solo una piccola parte di ciò che Cristo disse e fece. San Giovanni lo afferma chiaramente nel suo vangelo: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (21,25). Tutto il resto allora dov’è? E’ appunto nella Tradizione.
Il Magistero deve rendere viva la Tradizione
Da ciò che abbiamo detto relativamente al primo presupposto si capisce che se la Tradizione non esistesse, non esisterebbe nemmeno il Magistero. Parafrasando la famosa espressione evangelica, possiamo dire che la Chiesa pur non essendo della storia è comunque nella storia. Ciò implica che la Tradizione debba sempre essere resa “viva”, nel senso che deve sempre saper “rispondere” ai singoli problemi che i diversi contesti storici possono presentare. Un esempio chiarificatore: nella Scrittura e nella Tradizione è contenuta la verità secondo cui i fini inscindibili della sessualità sono il procreativo e l’unitivo; ma ovviamente non possono nella Scrittura e nella Tradizione essere esplicitate la risposte ai vari metodi contraccettivi che il divenire storico può presentare. Sta al Magistero “attualizzare” la Tradizione, non inventando qualcosa di nuovo, né tantomeno tradendo ciò che è stato precedentemente affermato, ma “rinnovando” (nel senso di “rendere nuovamente nuovo”) gli eterni principi, e quindi condannando la pratica contraccettiva secondo le varie tecniche che la storia di volta in volta presenta. Un altro esempio lo si può fare con alcune questioni di bioetica. La Scrittura e la Tradizione non possono direttamente fare riferimento a tecniche di fecondazione artificiale. Ciò che ovviamente hanno in sé è il principio secondo cui l’uomo compartecipa (pro-crea) e non dispone dell’azione creatrice della vita che è unicamente di Dio. Sta dunque al Magistero “insegnare” questo principio in relazione alle recenti problematiche e quindi condannare qualsiasi fecondazione artificiale. Da tutto questo si capisce facilmente non solo perché il Magistero è regola prossima della Fede, ma anche perché non può mai essere oscurato. Ricordo che mentre la Chiesa potrebbe proibire, per particolari e gravi motivi, la lettura della Scrittura (in qualche periodo l’ha fatto), non può mai impedire la lettura del catechismo. Senza il Magistero non si può conoscere la Tradizione e la Tradizione resa viva per ogni determinato tempo.
Il Magistero è giudicato dalla Tradizione
Il Magistero non può contraddire la Tradizione. Come abbiamo già detto, il Magistero esiste perché esiste la Tradizione; e se la funzione del Magistero è quella di rendere viva la Tradizione stessa, allora diviene logico che il Magistero non possa contraddire la Tradizione. Non lo può fare, perché se lo facesse, automaticamente non sarebbe più tale, nel senso che verrebbe meno al suo essere, che è appunto quello di “rendere vivo” non un suo presunto pensiero, ma –appunto- unicamente la Tradizione. Il Magistero non possiede altra rivelazione che è quella posseduta da tutta la Chiesa nella Scrittura e nella Tradizione.
Il Magistero non può contraddire se stesso
Così come il Magistero non può entrare in contraddizione con la Tradizione, a maggior ragione non può entrare in contraddizione con se stesso. Ovvero non può entrare in contraddizione con ciò che ha reiteratamente insegnato nel corso della storia. Il Magistero, nella storia, può approfondire i suoi precedenti insegnamenti, ma non li può negare. Attenzione, qui non si sta parlando solo di negazione formale, ma anche di quella sostanziale. Cioè non è necessario che letteralmente si palesi la contraddizione, ma già che essa si esprima nella sostanza. Il progresso magisteriale deve sempre avvenire nella linearità, mai nella contraddizione. Proprio il Vaticano II nella Dei Verbum (10) dice: “Il Magistero non è superiore alla Parola di Dio (attenzione: la Parola di Dio non è solo la Scrittura ma anche la Tradizione), ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato, e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella Parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio.” San Paolo lo dice chiaramente: “(…) noi non la facciamo da padroni fra voi riguardo alla fede.” (2 Corinti 1,24)
Il Magistero non necessariamente rende più chiara la Tradizione e il Magistero precedente
C’è un altro punto importante. Se è vero che il Magistero ha la funzione di “rendere viva” la Tradizione, se è vero che il Magistero può approfondire e quindi rendere più chiaro l’insegnamento precedente, è pur vero che ciò non è affatto automatico e incontrovertibile. Potrebbe, infatti, verificarsi il caso di insegnamenti magisteriali meno chiari e insufficienti rispetto ad insegnamenti magisteriali precedenti. Il che non vuol dire errati, ma –appunto- meno chiari ed insufficienti. Insomma, non c’è nessuna garanzia che affermazioni magisteriali successive siano più precise e complete delle precedenti. Soprattutto, poi, se queste affermazioni sono legate a quella dimensione pastorale che tende a far “incontrare” la verità con il tempo.
(*) Corrado Gnerre è laureato in Filosofia e diplomato in Teologia. Insegna Storia dell’Utopia in età moderna e contemporanea e Storia delle dottrine teologiche presso l’Università Europea di Roma. Insegna, inoltre, Storia delle Religioni e Storia della Filosofia all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Redemptor hominis” di Benevento – Università teologica dell’Italia Meridionale.
1 commento su “PER CHIARIRE SUL RAPPORTO TRA SCRITTURA, TRADIZIONE E MAGISTERO – di Corrado Gnerre”
Solo se è coerente con le Sacre Scritture la Tradizione ha valore!