L’interventismo del Quirinale e del governo ricorda i carri armati a Budapest e Praga
La guerra apre una frattura tra paese reale e nomenklatura
di Piero Laporta da Italia Oggi – Gruppo Class
La Libia apre una frattura orizzontale fra la nomenklatura politica italiana (partiti, sindacati, magistratura, alti dirigenti militari e civili) e paese reale.
I conflitti con l’Iraq e con l’Afghanistan lasciarono i distinguo fra le varie fazioni italiane. Oggi la base elettorale è contraria, la dirigenza politica è favorevole.
L’interventismo del Quirinale e di palazzo Chigi ha sapore analogo all’interventismo che nel 1956 e nel 1968 portò i carri armati a Budapest e Praga.
La decisione fu presa a Mosca (oggi Washington); fu sanzionato dalla conferenza dei «paesi comunisti fratelli» (oggi Onu); fu attuata grazie agli zelanti servitori di Mosca, cioè Praga e Sofia (oggi Parigi e Londra). Nessuno stupore, dunque, che l’Italia sia ai margini come lo fu la Romania.
Scrivemmo in tempi non sospetti che il sistema italiano fu caricatura di quello sovietico. La vicenda libica conferma che qualcosa è persino peggiorato.
L’Unione sovietica, sconfitta dalla Guerra fredda, dopo alterne vicende, grazie a Putin, ha recuperato la sua sovranità.
L’Italia è oggi l’unico paese europeo che, senza soluzione di continuità, alla subordinazione causata dalla sconfitta del 1945 aggiunge quella recata dal 1989.
Perdere la guerra significa mettere tutto nelle mani del vincitore: la finanza, l’industria, l’agricoltura, le forze politiche, le forze armate, le forze di polizia, i servizi segreti, la magistratura.
L’Italia subì quattro vincitori della Seconda guerra mondiale – Usa, Gran Bretagna, Francia e Unione sovietica – ciascuno dei quali si ritagliò uno spazio nei nostri interessi nazionali, vulnerandoli a suo piacimento o di concerto con gli altri.
Caduta l’Unione sovietica, le sue penetrazioni in Italia sono state rescisse oppure trasferite nelle mani dei rimanenti tre vincitori, cioè Usa, Gran Bretagna e Francia, i quali, ci dettano la linea senza neppure il fastidio del controcanto moscovita.
A parte qualche raro e incorreggibile vetero comunista nostalgico, oggi tutta la dirigenza politica è passata dai carri armati a Budapest ai bombardamenti su Tripoli con la medesima disinvoltura con cui andò da piazza Venezia a piazzale Loreto.
Un ultimo dettaglio è più preoccupante. Giovanni Paolo II fu netto contro gli attacchi all’Iraq e, sebbene io allora pensassi diversamente, oggi è ben chiaro che le armi di distruzione di massa non esistevano, mentre la destabilizzazione dell’Iraq e quella della Libia sono un tutt’uno.
Nel frattempo tuttavia dal Vaticano, dopo gli attacchi sulla pedofilia e sullo Ior, non giungono, a proposito della Libia, parole altrettanto limpide come nel 1991 e nel 2003, nonostante le chiarissime prese di posizione del clero cattolico libico.
La situazione italiana, pertanto, rispetto al 1945, al 1992 e al 2003, è ulteriormente peggiorata.