Ricordo di Gabriele Fergola
di Piero Vassallo
Cattolico nutrito di sulfuree letture evoliane, lo studioso napoletano Gabriele Fergola (1938-2011) fu acuto investigatore e puntuale interprete degli scismi e delle contraddizioni, che hanno tormentato la storia italiana.
Intelligenza precoce, Fergola esordì nel 1961 pubblicando Antirisorgimento, l’esplosivo saggio, che rappresenta l’atto di nascita della corrente revisionista, insediata da Silvio Vitale nella prestigiosa redazione della rivista borbonica l’Alfiere.
Fergola, dunque, deve essere rammentato quale avanguardista della scuola intesa alla rilettura della storia sedicente risorgimentale, scuola che ha separato la tradizione della migliore destra dalle fonti tossiche del risorgimento massonico, sabaudo e liberale.
Testimone attonito delle miserie cui si era abbassata l’Italia durante i giorni che seguirono la conclusione della guerra perduta, Fergola nutrì tuttavia un amore alto ed esigente per la Patria italiana. Di conseguenza fustigò con implacabile rigore i difetti che oscurano e nascondono la nobiltà della nostra storia.
Con la passione incendiaria comunicatagli dai suoi amici e maestri, Francisco Elias de Tejada e Gianni Allegra, rivendicò la Controriforma cattolica quale “difesa contro la sovversione riformistica e protestante, il senso medievale e tradizionale della ecumenicità imperiale, riesumato dalla monarchia universale di Filippo II e dei suoi successori, l’eliminazione dell’equivoco umanesimo rinascimentale“.
Nella Controriforma Fergola vedeva l’orizzonte spirituale dell’autentica cultura di destra, ossia un provvidenziale ostacolo alla sovversione moderna, avanzante al seguito dell’eresia luterana, dell’assolutismo monarchico e del falso umanesimo.
Infiammato dalle pagine reazionarie degli Uomini e le rovine, il saggio che Julius Evola dedicò alla giovane destra, della Controriforma Fergola rifiutò “il bigottismo rigoristico che sembrava imitare il nemico protestante, il quietarsi rassegnato dell’intera penisola alla dominazione a mezzadria fra Spagna e Vaticano, l’isterilirsi della stessa Cristianità cattolica locale ormai ridotta a una Chiesa meramente burocratica”.
La lettura cattolica dell’unità d’Italia rivendicata da Benedetto XVI e recentemente proposta da Paolo Pasqualucci rende giustizia alle quote di verità sospese nelle riserve avanzate da Fergola davanti al versante fragile della cultura controriformista e ai paradossi del patriottismo asservito allo straniero.
La considerazione dei limiti che stringevano l’Italia controriformista, suggerì a Fergola una spietata diagnosi dello scisma nazionale: “L’italiano oscilla tra due limiti costituiti l’uno dall’elemento romano, l’altro dall’elemento mediterraneo: sono il limite superiore e il limite inferiore delle possibilità che egli in genere racchiude in sé e di retaggio trasmessogli dai secoli”.
Il testo di Fergola non è del tutto indenne dalle divagazioni evoliane intorno alle razze dello spirito, una dottrina che ha per sfondo il nichilismo soggiacente all’eresia gnostica, ossia la tripartizione dell’umanità in ilici (tellurici in Evola), psichici (lunari) e pneumatici (solari).
Le ipotesi sulle razze dello spirito, infatti, introducono il nichilismo dichiarato da Evola in Cavalcare la tigre, un libro rivoluzionario, che fu stroncato da un memorabile articolo pubblicato da Silvio Vitale nell’Alfiere durante il tempestoso e polifrenico Sessantotto.
Nelle pagine di Fergola il pensiero evoliano incontra tuttavia l’ostacolo costituito da una passione di altro segno, che costringe a piegarsi a quel patriottismo cattolico, che Dante – guelfo bianco e tomista – dichiara nel VI canto del Purgatorio.
Memorabile è la severa ma splendida pagina dedicata da Fergola alla sorda e impietosa faziosità, che avvelena la vita della nostra gente. “Si potrebbe dire che la faziosità degli italiani non è un fenomeno peculiare e che trova riscontro anche altrove. In realtà è unica nella sua intolleranza, non ammettendo contrapposizioni concrete. Quando nel gennaio del 1945 Robert Brasillach, condannato a morte per collaborazionismo, attendeva l’esecuzione nel carcere di Fresnes, un gruppo di intellettuali francesi che avevano militato nella resistenza chiese la grazia al generale De Gaulle: fra essi Paul Claudel, François Mauriac, Albert Camus ed altri famosi. In Italia un gesto del genere da parte di un Moravia o di un Pasolini e di tanti altri, che non si sono lasciati scappare una parola di biasimo per l’ignobile assassinio di Giovanni Gentile”.
Il sincero patriottismo indusse Fergola a riconoscere, in sintonia con il Gentile del saggio su Gioberti e Rosmini, che “La vera guerra d’indipendenza italiana si ebbe tra il 1796 e il 1799, con le insorgenze antifrancesi verificatesi un po’ in tutta l’Italia in difesa sia della religione sia dell’identità nazionale contro un vero e proprio tentativo di assimilazione”. (I testi citati si trovano in: Italia invertebrata,Controcorrente, Napoli 1998).
Fergola fu anche un raffinato critico letterario. I suoi saggi su Robert Brasillach e su Don Chisciotte dimostrano il possesso di una straordinaria e rara sensibilità estetica.
In Brasillach, poeta in attesa nel carcere di Fresnes dei fucilieri gollisti, esecutori di una folle sentenza di morte, Fergola riconobbe il testimone di una fede vera, senza ombre di dubbio e tentennamenti. (Cfr. Apologia di Brasillach, Edizioni del Settimo sigillo, Roma 1989).
In Don Chisciotte Fergola vide da un lato “una delle tante incarnazioni del mito letterario e culturale dell’azione intesa in senso faustiano”, dal lato opposto il simbolo della sconfitta dell’Invincibile armata, dunque il “capovolgimento del cinico hegelismo per cui la storia è il tribunale del mondo, i vincitori hanno sempre ragione e i vinti hanno sempre torto“. (Cfr.: Nostro Signor Don Chisciotte, Controcorrente, Napoli 2006).
Un’antologia della destra in fase di rifondazione dopo gli sbandamenti e le confusioni che hanno avvilito gli anni recenti, deve per forza includere le appassionate pagine che Fergola ha dedicato all’Italia ideale e alle sue radici cattoliche.
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