LA CRISI DELLA EVANGELIZZAZIONE – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

di P. Giovanni Cavalcoli, OP


Il Concilio Vaticano II ha promosso, come è noto, un rinnovamento dell’evangelizzazione e dell’azione missionaria. Esso, in questi ultimi quarant’anni, ha certo dato buoni frutti, ma, volendo fare un bilancio sulla situazione di fatto, mi sembra che ci troviamo in una grave crisi, dovuta non all’applicazione delle direttive conciliari – pensiamo ad esempio al decreto Ad Gentes e alle direttive magisteriali che ne sono seguìte -, quanto piuttosto alla loro mancata applicazione o ancor più ad una loro falsa interpretazione.

Sono noti i meriti delle indicazioni conciliari: il metodo dell’inculturazione, far precedere all’evangelizzazione la promozione umana, non imporre a tutto il mondo gli usi europei, usare il metodo della persuasione evitando inopportune pressioni, aver rispetto della buona fede altrui, rispettare le verità esistenti nelle altre religioni, possibilità di salvezza anche per chi senza colpa non appartiene alla Chiesa visibile ed anche per chi senza colpa non è giunto ad una conoscenza esplicita dell’esistenza di Dio.Gesù evangelizza

Senonchè però dobbiamo constatare che, stando alle statistiche, la realtà visibile della Chiesa cattolica oggi, salvo limitate eccezioni, non è per nulla in espansione nel mondo, anzi è in retrocessione, a volte impressionante e veloce. Certamente ciò non avviene necessariamente per azioni missionarie sbagliate, ma anche, come appare sempre più chiaro dagli ultimi anni, dall’esistenza di persecuzioni anticristiane per esempio in paesi islamici, nonché da una strisciante ostilità nei confronti del cristianesimo anche in paesi europei, tanto che si parla oggi di “cristianofobia” e i segni preoccupanti di ciò non sto ad elencarli, essendo ben noti, da certi fatti di costume a certe leggi dissacranti o immorali, a manifestazioni pseudoartistiche ed oscene, presentate falsamente sotto il segno della libertà e del progresso.

Certo ci si può sempre consolare ricorrendo alla considerazione che molti respingono la Chiesa o la fede cattolica per ignoranza invincibile e quindi senza colpa, per cui alla fine vengono ad appartenere comunque alla Chiesa senza saperlo e quindi sono incamminati verso la salvezza.

Ma la cosa a mio parere più preoccupante è che la crisi sembra nascere ormai da tempo dall’interno stesso della Chiesa, per cui esisterebbero molte occasioni di evangelizzazione che non vengono sfruttate perché manca una vera convinzione, un vero entusiasmo missionario.     Desidero allora elencare brevemente una serie di questi fattori di crisi provenienti dagli stessi nostri ambienti cattolici.

Un primo fattore è il fatto che spesso ci si adagia troppo sulla persuasione di cui sopra e, quel che è peggio, la si fraintende appoggiandosi alla ben nota teoria di Rahner dei cosiddetti “cristiani anonimi”, per la quale tutti sono almeno inconsciamente in grazia e sperimentano Dio in modo implicito ed atematico, per cui tutti in fin dei conti si salvano, anche se non hanno mai udito la parola del missionario né sono entrati nella Chiesa visibile.

Ma questa certezza che tutti sono in grazia, lo sappiano o non lo sappiano, è del tutto infondata e contraria alla fede cattolica, la quale invece ci insegna che col peccato si può perdere la grazia e di fatto la si perde, mentre per converso in realtà la salvezza consiste nel passaggio da uno stato di peccato allo stato di grazia. Per questo l’annuncio evangelico e i sacramenti restano sempre doverosi, per quanto è possibile od opportuno, sia perché ciò rientra nel comando esplicito del Signore e sia perché predicazione e sacramenti servono per comunicare la grazia laddove non è ancora giunta e per farla rivivere laddove è estinta col peccato. Si potrebbe qui parlare di evangelizzazione buonista.

Un secondo freno all’espansione della Chiesa è dato da una malintesa opera di inculturazione della dottrina cattolica, per la quale i dogmi della fede perdono la loro assolutezza ed universalità, perché li si ritiene relativi alla cultura europea, per cui ci si sforza di inventare nuove formulazioni dogmatiche o al limite si rinuncia all’idea stessa di dogma, con l’utilizzare concetti o credenze già esistenti nell’ambiente da evangelizzare, i quali vengono imprudentemente ritenuti  come equivalenti alle formule tradizionali, in quanto si pensa così di esprimere i medesimi contenuti in modo adatto alla capacità di comprensione dei destinatari dell’annuncio.

Quello che conta, in questa visione, ossia il contenuto di fede, non è tanto il dogma, che viene relativizzato al mutare dei tempi e dei luoghi, ma – e qui abbiamo ancora una teoria di Rahner -, sarebbe una fantomatica ed inesprimibile “esperienza trascendentale soprannaturale di Dio”, atematica e preconcettuale, unico contenuto assolutamente vero della divina rivelazione, del resto presente nel fondo dello spirito di ogni uomo. Opera del missionario, quindi, non sarebbe quella di comunicare un dato di fede ignoto all’evangelizzando, ma di svegliare o risvegliare in lui, sia pur sempre con parole adatte, quell’esperienza trascendentale di fede che già, in forza della sua esistenza umana, egli possiede. Si potrebbe qui parlare, in terzo luogo, di evangelizzazione trascendentalista.

Questo relativismo dogmatico si accompagna con un quarto fattore di crisi dell’evangelizzazione: l’indifferentismo religioso, per il quale viene meno la coscienza dell’universalità dottrinale del cattolicesimo, e quindi la sua destinazione a tutte le genti, e di conseguenza l’obbligo per tutti di abbracciare la fede cattolica, secondo il comando del Signore stesso, e invece si ritiene che ogni religione contenga un certo numero di verità particolari, diverse da religione a religione, e sufficienti per la salvezza dei fedeli di quella religione, per cui i cattolici si salvano nel cattolicesimo, i protestanti nel protestantesimo, gli ortodossi nell’ortodossia, gli ebrei nell’ebraismo, gli islamici nell’islamismo e così via.

L’importante è che ciascuno viva con convinzione e sino in fondo i valori della propria religione: così similmente in una società non a tutti sono date le medesime mansioni. L’importante è che ciascuno compia bene il proprio lavoro, quale che esso sia.

E’ chiaro che in questa visuale sorge un quinto fattore di estinzione dell’evangelizzazione, ossia vien meno la coscienza del primato del cattolicesimo sulle altre religioni, primato che comporta che, se nelle altre religioni esistono verità salvifiche, esse però sono frammiste ad errori e carenze, del tutto assenti nella religione cattolica, unica tra tutte ad essere di fondazione divina e divinamente assistita nel corso della storia.

Abbiamo allora l’egualitarismo religioso: non si dà una gerarchia di perfezione nelle religioni, ma tutte hanno lo stesso valore. La pretesa di considerare la propria religione come superiore ad un’altra, sarebbe segno di presunzione, condurrebbe ad opprimere i fedeli di quell’altra e sarebbe quindi causa di conflitti religiosi.

Si pensa allora che ogni religione abbia il medesimo valore, per cui i fedeli di qualunque religione devono rispettarsi vicendevolmente senza complessi di superiorità o inferiorità rinunciando a qualunque proselitismo o respingendo qualunque invito a cambiar religione, e solo così sarebbe garantita una convivenza pacifica tra i credenti delle varie religioni. In modo simile siamo tenuti tutti a rispettare il diritto alla vita di ciascun nostro simile, rifiutando qualunque idea che noi possiamo aver più diritto di vivere di un altro o che la nostra vita valga di più di quella di quell’altro.

Un sesto fattore di crisi è dato da una concezione secolaristica dello stesso cattolicesimo, che minimizza, per non dire sopprime del tutto, la finalità e la dimensione soprannaturale della dottrina e della vita cristiana, per un’esagerata ed indiscreta accentuazione della promozione umana e dell’opera di sostegno e di difesa dei diritti umani. In tal modo l’evangelizzazione si riduce ad occuparsi esclusivamente di bisogni materiale ed economici o al massimo di educazione politica e culturale, tacendo e trascurando l’annuncio specifico del Vangelo, l’educazione alle virtù cristiane, la promozione della vita ecclesiale e sacramentale, nonché l’invito ad entrare nella Chiesa cattolica.

Viceversa l’opera dei grandi missionari del passato, pensiamo per esempio ad un Bartolomé Las Casas o un S.Francesco Saverio o un Matteo Ricci, mostra come la vera promozione umana nasca da una profonda vita di pietà e  dall’ardente aspirazione a comunicare Cristo alle anime.

Nessuno nega la fondamentale importanza di accompagnare l’evangelizzazione ad una solida promozione umana, sia perché questa è preciso dovere umano e cristiano, anche indipendentemente dall’azione missionaria, e sia perché l’interesse umano per il prossimo è nel missionario segno di credibilità della sua testimonianza evangelica. Inoltre tutti sappiamo come in certe circostanze un certo annuncio esplicito può essere controproducente o incompreso, da qui la necessità o l’opportunità di rinunciarvi almeno provvisoriamente, mentre può essere urgente o gradita la solidarietà sul piano dei bisogni e dei diritti umani.

Quella che invece non si può approvare è una certa concezione del cattolicesimo – si pensi per esempio alla cosiddetta “teologia della liberazione” -, la quale esclude, minimizza o falsifica per principio un sufficiente riferimento alla finalità ed alla dimensione sacrale e soprannaturale del cattolicesimo, per adagiarsi in visioni meramente immanentistiche, sociologistiche, politiche o storicistiche, le quali a volta, per giunta, mancando di equilibrio e prudenza, possono entrare irragionevolmente in conflitto con le autorità politiche locali, irritandole inutilmente, tanto che a volte, come sappiamo, esse reagiscono con la violenza, provocando quelli che magari vengono chiamati “martiri”, ma che forse in realtà erano dei semplici sovversivi.

Infine – settimo punto – un fattore di indebolimento dell’azione missionaria è dato a mio avviso dal fatto che non viene presentato l’annuncio evangelico con sufficiente serietà, cosicchè la gente non si rende conto di che cosa c’è in gioco con l’annuncio cristiano. C’è un po’ l’abitudine di presentare la fede cattolica come una specie di optional, rifiutando la quale non succede nulla, un po’ come se respingiamo la pubblicità di un certo dentifricio o di una certa bevanda non è che dobbiamo temere chissà quali conseguenze.

Così è per certi modi di annunciare il Vangelo: non fanno capire che mettono in gioco il destino eterno dell’uomo o di salvezza o di dannazione, non hanno quella chiarezza e quella perentorietà che troviamo nelle parole di Nostro Signore: “chi non crederà, sarà condannato”, “se non vi convertirete, perirete tutti” e parole del genere. Si potrebbe parlare qui di evangelizzazione irresponsabile. Per certi missionari l’annuncio evangelico non è, come dice Cristo: “Se vuoi la vita eterna, osserva i comandamenti”, ma “sei salvo già adesso, qualunque cosa tu faccia. Basta che tu creda che sei salvo”. Ora però questa è l’eresia di Lutero.

Tale modo troppo blando e ingannevole di proporre il Vangelo si abbina con la falsa convinzione, dalla quale sono partito, che comunque tutti sono in grazia e si salvano. Da qui tutti gli altri errori che ho segnalato. Sono tutti collegati tra di loro: trascendentalismo rahneriano (“cristiani anonimi”), falsa inculturazione, relativismo, indifferentismo, egualitarismo, secolarismo, irresponsabilità. Spero di averlo dimostrato.

Esiste allora il modo di rimediare a tutti questi inconvenienti, rifiutando il principio dal quale discendono tutti. E qual è questo principio? E’ la poca fede, che si riflette negli errori che ho segnalato, e che potrebbero essere chiamati nell’insieme con l’appellativo di buonismo irresponsabile.

Occorre pertanto che ci rendiamo veramente conto dell’importanza della fede, correggendo i suddetti errori, in una piena fedeltà agli insegnamenti della Chiesa, una fede che sfocia nella carità, ossia nella consapevolezza che come missionari ed evangelizzatori siamo chiamati a rendere un servizio prezioso. Allora vedremo il moto di decrescita trasformarsi in crescita e potremo ripetere le grandi imprese dei nostri Santi missionari del passato.

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